- Aveva ragione Enrico Letta. Alle elezioni del 25 settembre scorso lo scontro era tra il rosso e il nero. Tra i due colori che si sono contrapposti lungo tutto il Novecento e che non hanno smesso di avere valenza politica nemmeno in questo nuovo tempo.
- In Europa, solo il partito di Giorgia Meloni, nemmeno l’Afd tedesca, rivendica una continuità simbolica e affettiva, ovviamente depurata dagli aspetti più sulfurei, con il fascismo storico e i suoi epigoni postbellici.
- Non ci possono essere incertezze su quanto il nero di Giorgia Meloni sia inquinante per la democrazia italiana. Molti non l’hanno capito il 25 settembre. Il 25 aprile è l’occasione per ricordaglielo?
Aveva ragione Enrico Letta. Alle elezioni del 25 settembre scorso lo scontro era tra il rosso e il nero. Tra i due colori che si sono contrapposti lungo tutto il Novecento e che non hanno smesso di avere valenza politica nemmeno in questo nuovo tempo.
Sembrava un’antitesi sorpassata dalla storia, dopo la Seconda guerra mondiale, invece è riemersa, e non solo in Italia. In tutta Europa dalla fine degli anni Ottanta, e con velocità crescente dopo la grande crisi del 2008, si sono sviluppati partiti insediati all’estrema destra dello scacchiere politico.
Queste formazioni hanno raccolto consensi grazie a una agenda originale che insisteva su alcuni nodi irrisolti dei sistemi democratici a cominciare dallo spaesamento dei ceti popolari di fronte alle trasformazioni economiche e culturali di fine secolo. L’Italia si differenzia da questa tendenza, sia per le peculiarità del fenomeno leghista sia, soprattutto, per il retaggio ideologico dell’altro interprete dell’estrema destra, oggi incarnato da Fratelli d’Italia.
Il nero
In Europa, solo il partito di Giorgia Meloni, nemmeno l’Afd tedesca, rivendica una continuità simbolica e affettiva, ovviamente depurata dagli aspetti più sulfurei, con il fascismo storico e i suoi epigoni postbellici. La connessione con il passato emerge dalla cifra identificativa di Fratelli d’Italia, l’intolleranza, su ogni piano: religioso (una sola religione, quella cristiana), politico (una sola voce, quella della nazione), sociale (una sola classe, quella che vince), sessuale (una sola preferenza e una sola famiglia, quelle “naturali”), nazionale (una sola comunità, quella degli autoctoni).
La cittadinanza, nel senso di appartenenza a una comunità nella quale si condividono i valori fondanti iscritti nella triade della rivoluzione francese, libertà, uguaglianza e fratellanza, viene oggi pervertita in appartenenza etnica a una comunità omogenea: ein Volk, ein Reich e, più sottovoce, ein Führer.
La grande sostituzione di cui ha parlato il ministro Lollobrigida - e non faccia finta di non sapere quel che diceva, quando questa espressione circola da anni nel suo partito – esprime l’angoscia di vedere inquinata la purezza della razza bianca. Perché il cuore della visione di FdI sta nel recupero e nella difesa della tradizione, versione aulica del nostalgismo, in contrapposizione ai “pseudo-valori” liberali. Tutto il contrario della democrazia repubblicana emersa dalla Resistenza.
Il nero di FdI diventa sempre più cupo. Quando si vietano i manifesti di un partito perché osano criticare Ignazio La Russa, si querelano i giornali per le loro notizie, si riducono gli immigrati ad una sorta di virus pandemico nei confronti dei quali va adottato lo stato di emergenza, quando si equiparano i combattenti per la libertà ai volenterosi carnefici degli ebrei, non ci possono essere incertezze su quanto quel colore sia inquinante per la democrazia italiana. Molti non l’hanno capito il 25 settembre. Il 25 aprile è l’occasione per ricordaglielo?
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