Su change.org è partita una petizione, rilanciata da Alessia Anniballo, rientrata grazie al precedente decreto: «Togliere questi incentivi significa chiudere di fatto i confini a chi è all’estero e vuole rientrare»
Meno sgravi per i cervelli in fuga, questa la mossa che sta facendo insorgere le opposizioni, ma soprattutto chi ne ha beneficiato in passato: «Togliere questi incentivi significa chiudere di fatto i confini a chi è all’estero e vuole rientrare. E come al solito, è una visione miope di uno stato che pensa all'oggi, ma non pensa mai al domani», scrive Alessia Anniballo, fondatrice di Ideas Lab, su LinkedIn condividendo una petizione su change.org.
Secondo il decreto legislativo approvato contestualmente alla manovra lunedì, manager, professionisti e lavoratori con un alto tasso di formazione che decideranno di rientrare in Italia dal 2024 «potranno beneficiare di una riduzione della tassazione del 50 per cento, entro un limite di reddito agevolabile pari a 600.000 euro», limite che prima non c’era e con una riduzione: con il vecchio sistema, ha spiegato il quotidiano economico Italia Oggi, i redditi prodotti in Italia concorrevano alla formazione del reddito complessivo solo al 30 per cento del loro ammontare (cifra che arrivava al 10 per cento se si trasferiva la residenza in una regione del Sud).
Ora, appunto, si legge nella bozza, lo sconto sarà del 50 per cento, senza distinzioni tra regioni. La misura riguarderà i lavoratori in possesso dei requisiti «di elevata qualificazione o specializzazione che non risultano essere già stati residenti nel nostro paese nei tre periodi d'imposta precedenti al conseguimento della residenza». I benefici saranno erogati a fronte dell'impegno a mantenere la residenza fiscale in Italia per almeno 5 anni, altrimenti i lavoratori dovranno restituire le agevolazioni, pagando gli interessi.
Nel 2021, dopo l’anno pesante caratterizzato dalla pandemia e dalle conseguenti limitazioni riferisce l’Istat, abbiamo ricominciato a muoverci: sono rimpatriati 75mila Italiani, un numero più alto del 10 per cento rispetto al periodo pre-pandemia.
Sono rientrati soprattutto dal Regno Unito (anche per l’effetto della Brexit) e dalla Germania. Ma in numero minore anche dalla Svizzera, dalla Francia, dagli Usa, dalla Spagna, dall’Argentina e dal Brasile. In più della metà dei casi si tratta di uomini (56 per cento).
Per contro, 94mila hanno invece lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero. L’Istat segnalava che guardando un po’ più lontano nel tempo, i giovani fra i 25 e i 34 anni espatriati fra 2012 e 2021 sono circa 337mila, di cui oltre 120mila laureati.
La Voce si è chiesta: ma gli incentivi spingono veramente gli espatriati a tornare in Italia? E la risposta è che «sebbene la letteratura economica mostri come le tasse sul reddito influenzino le scelte di migrazione degli individui con redditi alti» questo non significa che tutti avranno voglia di tornare. Dipende anche da quello che poi li aspetta in patria: «Non è affatto scontato che i giovani laureati, spesso all’inizio delle rispettive carriere lavorative, siano così sensibili alle differenze di tassazione, soprattutto in un contesto di brain drain come quello italiano».
Per Anniballo però è stato fondamentale. Tra interviste su Repubblica e post su Linkedin continua a combattere: «Dall’estero – ha scritto – mi porterò sempre dietro una cosa: la prima volta che non ho guardato quanto ho speso sullo scontrino perché sapevo di potermelo finalmente permettere».
E ancora: «Quando abbiamo iniziato a discutere se tornare in Italia, l’argomento di discussione erano i soldi: tanti dove eravamo e pochi dove volevamo andare. Gli incentivi per il rientro hanno fatto il loro dovere: ci hanno incentivato». A pensarla così non è la sola.
Il 19 ottobre alle 15 la raccolta firme lanciata da un gruppo di ragazzi che come lei è rientrato in Italia dall’estero ha raggiunto 1.787 adesioni. Che il tema sia politicamente sensibile lo hanno colto anche le opposizioni, Italia viva ha lanciato una petizione sul suo sito: primo firmatario il senatore Matteo Renzi, secondo il collega di partito e di Palazzo Madama Ivan Scalfarotto.
Cervelli e sport
All’inizio l’esecutivo voleva creare una canale differenziato tra professionisti e calciatori, ma poi ha cambiato idea. La prima formulazione del decreto bloccava gli sgravi per sportivi abrogando gli articoli dedicati: una legge che negli ultimi anni ha rappresentato per le società di calcio di Serie A un forte fattore di attrazione per le star del pallone provenienti da campionati stranieri.
La norma ha fino a ora consentito alle società di garantire, a parità di costo, ingaggi più alti a giocatori con 2 anni di residenza fiscale all'estero che risiedono in Italia altrettanto tempo. In sostanza, non viene tuttora tassato il 70 per cento della base imponibile del reddito, e addirittura il 90 per cento al Sud.
Dopo il consiglio dei ministri però nel comunicato finale si legge: invariate le disposizioni per i ricercatori, professori universitari e lavoratori dello sport già previste. Il ministero dello Sport ribadisce a Domani: «Fa fede il comunicato».
Il testo definitivo del decreto ancora non è stato pubblicato, e poi dovrà passare al vaglio del parlamento per tornare in Consiglio dei ministri alla luce del parere delle due camere. Il percorso è appena cominciato.
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