L’Inps ha avvertito gli ex beneficiari del reddito di cittadinanza inviando sms. Caf, servizi sociali e comuni presi d’assalto per richieste di informazioni ma non è chiaro come si acceda alle nuove misure di sostegno di 350 euro
In un paesino in provincia di Palermo, un sessantenne che aveva ricevuto l’sms dell’Inps con la notizia della revoca del reddito di cittadinanza ha fatto irruzione nella stanza del sindaco. Ha sparso benzina e minacciato di appiccare il fuoco. Poi, con l’arrivo del 118, l’uomo è stato portato via in ambulanza.
Con il 31 luglio si è concretizzata la scelta del governo Meloni di interrompere l’erogazione del reddito di cittadinanza per i soggetti cosiddetti “occupabili” e in molte città, soprattutto del centro sud, la rabbia è sfociata con manifestazioni di piazza a Roma e Napoli, mentre gli uffici dell’Inps, i caf e gli sportelli dei comuni sono stati presi d’assalto per chiedere informazioni.
La speranza per molti ormai ex beneficiari è di venire presi in carico dagli assistenti sociali entro il 31 ottobre perché in questo caso il reddito potrà essere riattivato fino al 31 dicembre, con il diritto a ricevere anche gli arretrati. Peccato che le strutture dei servizi sociali su cui lo sforzo si riverserà non siano state preparate a questa mole improvvisa di lavoro.
L’Anci e il ministero del Lavoro stanno tentando di risolvere un problema tecnico: l’Inps non avrebbe messo a disposizione i dati di tutti i beneficiari del reddito, creando difficoltà ai Comuni nel redigere gli elenchi dei nuclei familiari fragili. Con il risultato che ad alcune famiglie potrebbe essere stato revocato il reddito anche se avrebbero diritto a continuare a beneficiarne, col rischio di rimanere senza sostegno nello scarto temporale tra la revoca e la nuova attribuzione. Per gli altri, l’unica soluzione alternativa sarà fare richiesta a partire dal 1 settembre del “Supporto formazione e lavoro”: 350 euro per un massimo di 12 mesi e corsi di formazione. Ma la stessa Inps non è ancora in grado di fornire informazioni aggiuntive, che dovranno arrivare dal ministero del Lavoro.
Nella confusione pre-festiva (per chi in vacanza potrà andare), l’esercito di ex beneficiari confusi sul da farsi rimane sulle spalle dei territori. In tutto gli sms spediti dall’Inps per comunicare la revoca del beneficio sono stati 169mila: la regione con il più alto numero di ex percettori sarà la Sicilia, con più di 37mila persone di cui 11.500 a Palermo, seguita a stretto giro dalla Campania con altre 37mila unità, di cui 21 mila in provincia di Napoli. Altri 14.500 sms sono arrivati in Calabria, 12 mila in Puglia, 9800 in Molise, 14.700 in Abruzzo e 1600 in Basilicata.
Una bomba sociale pronta a esplodere secondo il Movimento 5 Stelle, per cui il reddito di cittadinanza è stato la misura bandiera nella passata legislatura come strumento di lotta alla povertà. E il rischio non viene sottovalutato nemmeno dal governo: tutti con la bocca cucita, nessuno che rivendichi come una vittoria la cancellazione della misura.
Il sud
Anche nei mesi scorsi, l’allarme per la prima tranche di cancellazione del reddito di cittadinanza per gli “occupabili” (purché non vivano con un minore, un anziano o un disabile) era stato espresso dai governatori del Sud, quasi tutti di centrodestra. Il più netto a spiegare il rischio del taglio era stato nei mesi scorsi il calabrese di Forza Italia, Roberto Occhiuto, che aveva definito il reddito «un grandissimo errore del M5s», ma aveva aggiunto che «agli errori si rimedia con una soluzione, dopo aver riformato i centri per l’impiego» e che «bisogna intervenire gradualmente». Anche il presidente della regione Sicilia, Renato Schifani, ha incontrato una delegazione di percettori che protestava davanti alla regione, definendolo «un tema estremamente delicato, che mette in discussione il futuro di tante persone». Poi ha precisato che «il reddito di cittadinanza è una misura nazionale, sulla quale la Regione non ha strumenti per intervenire».
Nel giorno della pioggia di sms a lamentarsi sono anche i sindaci, che hanno visto i loro uffici e centralini diventare il punto di riferimento di chi ha perso il rdc. L’Inps, infatti, avrebbe indirizzato ai servizi sociali gli esclusi, ma «dice il falso, la presa in carico tocca ai centri per l’impiego, indirizzarli ai comuni è colpevolmente sbagliato», ha scritto il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Solo i sindaci e i governatori di centrosinistra, infatti, hanno preso la parola per stigmatizzare non solo il taglio della misura, ma anche la grande confusione informativa con cui questo è avvenuto.
Autonomie e Pnrr
Palazzo Chigi ha proceduto come da programma, ma ora spetta alle amministrazioni locali soprattutto meridionali gestirne l’impatto anche politico. Off the record, anche sul fronte di centrodestra i rischi erano noti, soprattutto in Forza Italia, che al sud mantiene un discreto radicamento amministrativo. Non a caso era stato Silvio Berlusconi, durante la sua ultima campagna elettorale, a dire che «non vogliamo eliminare il rdc ma vogliamo aumentarlo ed estenderlo a tutti i cittadini che sono nella povertà, che nel nostro paese esiste ed è drammatica». Parole che oggi imbarazzano FI e al governo.
Per il Meridione il taglio del reddito di cittadinanza si somma ad altre due questioni aperte. Quella di medio periodo è il ddl Autonomie sostenuto dalla Lega, che minaccia di allargare ulteriormente la forbice tra nord e sud, come hanno paventato relazioni tecniche e dimostra la difficoltà a stabilire i livelli essenziali delle prestazioni. Nel breve periodo, invece, incombe il «definanziamento» di 16 miliardi del Pnrr chiesto dal ministro Raffaele Fitto, che si concretizza nella cancellazione di interventi soprattutto di comuni ed enti locali, per tentare di finanziarli con altri fondi che abbiano scadenze meno stringenti rispetto al 2026. Anche questa misura colpisce in modo più significativo il Sud, che dovrebbe essere beneficiario del 40 per cento dei fondi Pnrr proprio con l’obiettivo di un rilancio scio-economico e infrastrutturale. L’Anci ma anche le regioni del Nord stanno chiedendo insistentemente «garanzie» al governo che i 16 miliardi non vadano in fumo, ma per ora il governo non ha risposto. Dovrà provare a farlo Fitto, in audizione oggi alla Camera. Meloni, invece, dovrà decidere se e come far fronte alle conseguenze del taglio del reddito e alle ripercussioni che avrà, sulla tenuta sociale ma anche sui consumi.
© Riproduzione riservata