Nei partiti tradizionali si sarebbe parlato di “correnti”. Ognuna pronta a spingere la propria proposta, una “mozione” da presentare al congresso. Al di là delle definizioni, mentre gli Stati generali prendono il via ufficialmente con le riunioni provinciali su Zoom, il dibattito interno al Movimento 5 stelle conta già cinque documenti programmatici promossi o appoggiati da esponenti di peso. Cinque diverse visioni sul futuro della forza politica.


La ricerca del sociologo De Masi

Su richiesta della senatrice M5s Barbara Floridia, il sociologo Domenico De Masi ha condotto una ricerca scientifica sul mutamento della cultura politica del Movimento 5 stelle negli ultimi anni. L’indagine è stata condotta sottoponendo un questionario a un campione di quindici esponenti della classe dirigente del Movimento. Fra questi ci sono il garante Beppe Grillo, i ministri Luigi Di Maio, Lucia Azzolina, Paola Pisano e la vicepresidente del Senato Paola Taverna.

Il documento di De Masi mette in evidenza forti cambiamenti genetici nel M5s. «Ci sono diversi aspetti di novità – dice il sociologo – l’europeismo, una linea più morbida sull’immigrazione e l’antipopulismo. Non c’è più l’uno vale uno. Molta importanza viene data alla competenza». La ricerca di De Masi si inserisce nel processo degli Stati generali perché l’ex capo politico Luigi Di Maio, nello stesso post in cui annunciava che non avrebbe presentato sue «mozioni», ha promosso il testo del sociologo come «mappa per orientare il Paese». Un programma politico, dunque, proprio quello che andrà definito nel corso del congresso del 14 e 15 novembre.

L’area Di Battista

Intanto anche Alessandro Di Battista, ha pubblicato il proprio manifesto sotto il titolo “Agenda 2020-2030”. Se i quindici esponenti intervistati da De Masi fanno emergere uno spostamento politico sensibile, la linea Dibba ripropone intatte le battaglie delle origini: stop definitivo al Patto di stabilità e crescita, al Mes e ai parametri responsabili dell’austerità economica e sociale; legge sull’acqua pubblica; regola dei due mandati blindata; nessuna alleanza alle elezioni politiche e rafforzamento della piattaforma Rousseau. Nessun passaggio esplicito sulla leadership. In un recente incontro con gli attivisti, Di Battista ha però detto che una parte del Movimento vorrebbe un «organo collegiale» per evitare che sia lui a diventare capo politico. La mozione dell’ex deputato è stata sottoscritta in una nota da nove grillini, fra cui Barbara Lezzi. «Legarsi strutturalmente a un partito di establishment – hanno scritto – significa mandare agli elettori il messaggio che nessun cambiamento è possibile, perché anche chi era nato per opporsi alla “casta”, è diventato anch’egli casta». Tradotto: un categorico no all’alleanza con il Pd.

Il gruppo Parole guerriere

Non hanno invece paura di utilizzare la parola «partito», i Cinque stelle del gruppo Parole guerriere. Anzi, ne fanno un obiettivo esplicito. «Dobbiamo sdoganare alcuni tabù e dire che il Movimento deve avere una struttura più simile a un partito», dice Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e fra gli animatori del progetto, a cui partecipano anche i deputati Dalila Nesci, Mirella Liuzzi, Luigi Gallo e il sottosegretario Carlo Sibilia. Parole guerriere lancia cinque punti per la transizione: una governance («una specie di segreteria», dice Brescia) nazionale e territoriale, una scuola politica per la formazione dei rappresentanti, tutela legale garantita dal Movimento per l’attività politica, una piattaforma digitale controllata direttamente dall’interno – al contrario di quanto oggi avvine con Rousseau – e un patrimonio «autonomo e trasparente».

Idee in movimento

Anche il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra ha lanciato una sua iniziativa. Con il documento Idee in movimento si scaglia contro «l’accentramento dirigista del Movimento 5 stelle negli ultimi anni». Morra suggerisce di sostituire la figura del capo politico con un coordinamento nazionale di undici persone, di regolamentare i gruppi territoriali per farli rientrare nell’organizzazione del Movimento e «rimoderare i rapporti con la tradizione Casaleggio», ovvero definire più nettamente i confini fra la forza politica e l’Associazione Rousseau.

Il viceministro Buffagni

Dalla rivoluzione all’evoluzione è invece il titolo del pacchetto di proposte di cui si è fatto portavoce il viceministro allo Sviluppo economico, Stefano Buffagni. Fra i punti, una struttura di coordinamento da affiancare al capo politico e un forte endorsement per il presidente del Consiglio. «È necessario un maggior coinvolgimento e responsabilizzazione del presidente Conte nel Movimento», si legge nel documento. La sezione “battaglie” guarda in particolar modo alle attività produttive, fronte caro a quel nord di cui rappresenta la voce all’interno del Movimento. «Nessuna corrente – specifica però il viceministro – sono temi che si stanno discutendo ora nelle riunioni territoriali e verranno portati agli Stati generali mettendo insieme i contenuti di tanti».

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