Gli avversari politici vengono ritratti come un misto di deformità etica e mancanza di cultura, nella guazza stantia dell’alleanza tra oscurantismo e malvagità. Ma l’auto-assegnazione del diritto di distinguere il bene dal male risponde alla medesima logica di chi, da destra, lamenta decenni di ostracismo. Converrà tenersi sul piano della politica: mostrare come una certa piattaforma di valori e progetti si rivelino più capaci di rispondere ai bisogni della società
L’ingresso in campo dei generali sarebbe da salutarsi con applausi se significasse un ritorno a una politica più agonistica di confronto acceso su idee e programmi. Eppure, il dubbio è che significhi l’opposto. È assai più probabile che l’atteso arruolamento di Vannacci tra le file della Lega sia la spia di una deleteria propensione che da tempo ammala il dibattito pubblico.
Si tratta della diffusissima tendenza a pervertire l’antagonismo politico in conflitto morale. E allora sarà opportuno dissipare ogni dubbio sin da subito e chiederci: è legittimo difendere valori che ai nostri occhi risultano antiquati, retrivi, persino reazionari? È legittimo difendere la famiglia sedicente naturale, la bianchezza dell’italico derma o persino battersi per una progressiva restrizione del diritto all’aborto? La risposta, proprio per la prosperità della democrazia, dev’essere un fermo sì. Un sistema democratico rappresentativo ha infatti da rappresentare quello che c’è, non quello che piacerebbe ci fosse. Finanche alle posizioni ritenute più odiose va concesso spazio nel dibattito, là dove per procurarsi peso politico i loro alfieri cerchino di procacciarsi supporto elettorale, in forme ovviamente non-violente.
La capacità di penetrazione del pensiero di destra
Ma questo è un truismo della politica democratica. C’è piuttosto da chiedersi come far sì che quei valori antiquati, retrivi e reazionari non prevalgano, oggi che risulta chiara la destituzione di qualsiasi filosofia della storia e dell’indefettibile progresso che questa collocava in un futuro lontano ma non troppo. L’odierno scenario politico ci pone dinanzi al fatto evidente di un declino spontaneo della democrazia. Si tratta di un fenomeno di reflusso per cui, da ormai più di un decennio, i regimi democratici tendono via via a trasformarsi volontariamente in regimi illiberali e autocratici. Si insiste: volontariamente. Vale a dire, non mediante il ricorso alla minaccia o alla violenza fisica, né attraverso colpi di Stato, ma in forza del successo dell’attivismo politico di destra.
Un attivismo, certo, accompagnato da querulo proselitismo, tecniche di propaganda e un’ampia mobilitazione della sfera emotiva della cittadinanza. Un attivismo, certo, che in molti casi si fa notare per tratti di pensiero magico e persino di superstizione, specie nel suo esasperato ritorno a una pur rudimentale dimensione religiosa. Eppure, questo attivismo inelegante e corpulento sta dimostrando un’indubbia capacità di penetrazione.
È per questa ragione che porsi sul piano della moralità, e troppo spesso del moralismo, è quanto di meno efficace possa farsi per impedirne la diffusione. Molte voci della sinistra dipingono il quadro di una rinnovata battaglia tra la bruttura morale della destra, che si ridesta via via che le generazioni del primo Novecento scompaiono, e le forze progressiste che, sotto il fuoco nemico, si assiepano nella garitta. L’avversario politico viene ritratto come un misto di deformità etica e mancanza di cultura, nella guazza stantia dell’alleanza tra oscurantismo e malvagità.
Ma l’auto-assegnazione del diritto di distinguere il bene dal male risponde alla medesima logica di chi, da destra, lamenta decenni di ostracismo, esclusione, proditorio occultamento dei crimini del comunismo, e via dicendo. E tra i populisti è proprio questa risposta vociante all’accusa di abiezione morale, lanciata contro di loro dai vincitori della storia, che oggi risulta esercitare particolare fascino sull’elettorato.
Il pantano a cui sottrarsi
La destra più tradizionalista (o che finge di esser tale) ama la sfida su quel campo. Invoca il diritto di difendere posizioni che – sostengono – possono non piacere ai benpensanti, ma sono diffuse tra quei settori della popolazione che vengono caricaturati come in difetto d’intelligenza. La rappresentazione di malvagità morale e deprivazione culturale viene rovesciata dalla retorica della destra nel querimonioso appello alle libertà di parola e di pensiero. In tal modo, le loro tecniche di propaganda, assieme alla mobilitazione dell’emotività, scaldano gli animi di chi, non solo a destra, ha dubbi crescenti sulla diffusione della cultura (a torto o a ragione) detta “woke”, che viene criticata per prestare attenzione solo a certi diritti di solo certe minoranze.
Ecco: bisogna sottrarsi a questo pantano. Ad esempio, quando un candidato alle prossime elezioni europee propone di istituire nelle scuole il separatismo dei disabili, bisogna resistere all’immediato istinto di gridare al nazista e di chiamare le folle (sempre più esigue) a una nuova Resistenza.
La crescente contrapposizione tra bene e male è la cassa di risonanza che permette alla destra populista di entrare in un terreno polemico in cui non sono necessari ragionamenti, giustificazioni, dimostrazioni, e nel quale si può trarre vantaggio dal desiderio di rivincita di chi troppo a lungo è stato ridotto al silenzio. Assai più complesso, infatti, sarebbe dar conto delle teorie dell’apprendimento e della disabilità che giustificherebbero la necessità di una separazione.
Allora, a sinistra, converrà non unirsi alla caccia (sempre più corriva) al fascista di turno, con il solo fine di tacitarlo e metterlo in ridicolo. Converrà piuttosto chiedergli di rendere ragione, di spiegare, di motivare. Proposta dopo proposta. Converrà poi mostrarne l’eventuale assurdità, svelarne l’intento sin troppo scoperto di suscitare una reazione scomposta sul piano del moralismo. Detto altrimenti, converrà tenersi sul piano della politica: dimostrare come una certa piattaforma di valori e la serie di progetti ad essa legati si rivelino più capaci di rispondere ai bisogni della nostra società per come questa è fatta e per una integrazione efficace delle sue diverse, talora inconciliabili, componenti.
Converrà resistere alla forza centripeta dell’emozionalismo gridato e del moralismo impolitico, che portano spesso a ricalcare le tesi e le strategie dell’avversario – come rischiava di dimostrare, ad esempio, il personalismo politico significato dal nome della segretaria nel simbolo del Pd. Tutto questo pagherà quando le evocazioni del Mussolini statista non troveranno grida opposte che faranno loro da volano, ma un sereno richiamo al principio di realtà.
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