Il governo non brilla per l’apertura ai mercati, come ricordano i casi di balneari e taxi. Ma la premier vuole per Fitto le deleghe sul tema. Più quelle sulla sburocratizzazione
Meno pratica la concorrenza in Italia e più chiede la delega alla concorrenza in Europa. Il “paradosso Meloni” è emerso durante la trattativa con Ursula von der Leyen. Il governo non è infatti granché titolato a chiedere un incarico su questa materia nella prossima Commissione europea.
Ma lo spin comunicativo di palazzo Chigi è partito, la presidente del Consiglio punta alla poltrona di prestigio: la concorrenza. E pazienza se la liberalizzazione del mercato non vada esattamente a braccetto con la storia di Fratelli d’Italia, che su questo punto è pienamente concorde con gli alleati, la Lega in testa, ma anche Forza Italia.
Con buona pace della professione e dei proclami liberali di Silvio Berlusconi ripresi dai suoi eredi politici.
Modello balneari
Il deficit di concorrenza è una specialità del governo. Un dato che a Bruxelles non passa inosservato. Il paradigma è la vicenda delle concessioni balneari, su cui è intervenuto addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con un messaggio inviato al parlamento, dopo i continui solleciti dell’Ue.
Il Colle ha chiesto «ulteriori iniziative» per sanare una stortura che va contro le norme europee. L’appello non è stato raccolto dalla destra, più attenta alla tutela delle corporazioni. Poco male.
Meloni è convinta della bontà del nome in campo. Come anticipato da Domani, il candidato è il ministro Raffaele Fitto. «È il nostro cavallo, facciamo il tifo per lui», ha commentato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti rispondendo, con un sorriso, ai cronisti in Transatlantico. Meno criptico e ironico il vicepremier e leader di FI, Antonio Tajani: «Sono assolutamente favorevole a Fitto commissario». Non si è comunque sbilanciato, da par suo: «Le deleghe? Decide Meloni».
Si torna al punto di partenza: un governo tutt’altro che aperto alla concorrenza, tanto da finire in procedura di infrazione, vuole metterci le mani sopra in Europa. Il motivo? La delega pesa. Consente di trattare con i big del mercato mondiale e di esaminare eventuali abusi di posizione dominante. Il commissario Ue alla Concorrenza funge da guardiano, da quella postazione può tentare di tutelare l’Italia, almeno nella logica narrativa meloniana.
Un italiano otterrebbe quella casella venti anni dopo la scadenza del mandato di Mario Monti. Il pensiero vola poi verso un’altra ragione, l’applicazione della direttiva Bolkestein, la nemica numero uno per i titolari di uno stabilimento balneare: impone le gare per le concessioni.
Così Meloni vuole che Fitto passi dal ruolo di superministro in Italia – che somma Pnrr, Sud e Politiche di coesione – a supercommissario in Europa. Alla concorrenza vorrebbe aggiungere ulteriori funzioni, magari la coesione. E, chissà, se non diventi il gran capo della sburocratizzazione.
Von der Leyen ha fornito garanzie alle richieste del governo italiano per introdurre specifiche funzioni, probabilmente da destinare all’Italia che tanto vuol dimostrare di ridurre le procedure a Bruxelles. Sburocratizzare, appunto.
E si innesca così il secondo paradosso di Meloni: un paese simbolo della burocrazia, con un esecutivo che diffonde a profusione nuove leggi, più di cento da inizio legislatura secondo il giornale online Pagella politica, diventa alfiere della sburocratizzazione.
Insomma, per la destra basta il rogo di un grappolo di vecchi regi decreti o normative impolverate, sotto l’egida della ministra Elisabetta Alberti Casellati, per rendere più agile uno stato.Ma la burocrazia è il minimo. Il curriculum sulla concorrenza di Meloni&alleati è quasi un foglio bianco.
Ddl vuoto
L’esecutivo, tra le varie cose, deve ancora approvare il disegno di legge sulla Concorrenza di quest’anno. Adolfo Urso, titolare del dossier da ministro delle Imprese, aveva annunciato il provvedimento almeno un paio di mesi fa, anticipando alcuni contenuti.
È arrivata l’estate, quasi a ridosso della pausa agostana, e del testo non c’è ancora traccia. Potrebbe essere esaminato nel Consiglio dei ministri della prossima settimana, più probabile che il via libera sia deciso a fine luglio.
Così, inevitabilmente, l’avvio dell’iter in parlamento slitterà a settembre riducendo lo spazio per il confronto alla Camera e al Senato: il provvedimento deve ricevere il semaforo verde entro il 2024 perché rientra tra gli obiettivi del Pnrr. I motivi dei ritardi non sono certo ascrivibili a un contenuto rivoluzionario.
Secondo le anticipazioni di Urso dovrebbe esserci una proroga sui dehors per i ristoranti con l’obiettivo di realizzare una norma strutturale. Qualche intervento sulle assicurazioni e poco altro.
In perfetta scia con le misure light del ddl Concorrenza licenziato lo scorso anno, per cui sulle concessioni degli spazi di vendita in pubblico, quelle degli ambulanti, è stata assunta una posizione prudente. A tutela dei titolari degli spazi. Proprio a quel punto, il Quirinale è stato costretto a far sentire la propria voce.
«Se davvero Meloni sta chiedendo un commissario alla concorrenza, sarebbe come mettere un lupo a guardia del pollaio», dice a Domani il deputato di +Europa, Riccardo Magi.
«Spero che non lo faccia per avere un salvacondotto», aggiunge il parlamentare del partito di Emma Bonino, «rispetto alle diverse procedure di infrazione aperte proprio su libertà economiche e concorrenza, di cui quella sui balneari è la più eclatante. Sui taxi il disastro di questo governo è sotto gli occhi di tutti, bastano le immagini che arrivano da stazioni e aeroporti».
Quello sulle licenze dei tassisti è un’Odissea, soprattutto per gli utenti. Il governo, al netto di varie promesse, è sempre proteso alla salvaguardia di una lobby ostile alla concorrenza.
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