Una contropartita in cambio delle dimissioni senza eccessivo clamore. La candidatura di Vittorio Sgarbi con Fratelli d’Italia alle prossime elezioni europee di giugno è soltanto questo. L’ex sottosegretario alla Cultura si era dimesso a inizio febbraio, quando l’Antitrust aveva giudicato incompatibili le sue attività di consulente e conferenziere con il ruolo di membro del governo Meloni. Oggi raccoglie i frutti di quel passo indietro, avvenuto in sordina rispetto ai modi, spesso teatrali, del critico.

Sgarbi, di fronte al giudizio, aveva scritto una lettera alla presidente del Consiglio pubblicata sul Corriere della Sera in cui polemizzava sulla segnalazione all’Antitrust fatta dal suo ministro, Gennaro Sangiuliano, sulla base di una segnalazione anonima. In quell’occasione aveva annunciato il suo ricorso al Tar. Ma già allora il sottosegretario dimissionario, si scopre oggi, era probabilmente certo cadere che sarebbe arrivato un “risarimento”.

L’intesa

L’accordo con la premier Meloni sarebbe stato stretto poco prima del pronunciamento dell’Antitrust per garantire al governo Meloni un imbarazzo in meno, dopo che il caso Sgarbi aveva scosso per settimane il ministero della Cultura. In cui, peraltro, i rapporti tra ministro e sottosegretario erano già incrinati da tempo, visto che l’ex direttore del Tg2 ha sempre sofferto l’imposizione di Sgarbi.

La segnalazione all’authority ha fatto il resto, portando i due a non rivolgersi neanche più la parola. Di certo, dunque, Sangiuliano non si è scomposto più di tanto di fronte a quell’addio, di cui, però, forse non conosceva tutti i dettagli. Tanto da rimanere infastidito per la sovrapposizione della sua visita alla Biennale di Venezia a quella di Sgarbi, che si muoveva per i padiglioni dell’esposizione sicuro della candidatura che aveva già in tasca.

Ieri la notizia è diventata pubblica. È la «valorizzazione di una persona che fino a ieri ha lavorato con te», dice un deputato meloniano. Un eufemismo per spiegare come Sgarbi sia uscito dalla porta per rientrare dalla finestra. «Una seconda occasione la meritano tutti» scherzano altri parlamentari di FdI.

Tra i maggiori promotori dell’accordo, raccontano nel partito, ci sarebbe stato nientemeno che il presidente del Senato Ignazio La Russa, disponibile a trovare un piano B per il sottosegretario collezionista di gaffe sessiste.

Il patto per Sgarbi ha lati luminosi e altri problematici: rischia di dover fare i conti con l’accusa di aver cambiato bandiera nel mezzo della legislatura. Nel 2022, infatti, aveva mancato per un soffio l’elezione in parlamento, sconfitto da Pier Ferdinando Casini. All’epoca, però, era candidato con Forza Italia. Ma gli azzurri oggi devono fare i conti con una quantità di posti piuttosto limitati all’Europarlamento. O, almeno, queste sono le previsioni che girano nel gruppo parlamentare: meglio allora non tirare a bordo troppi esterni, anzi. Antonio Tajani sta stendendo le liste seguendo il principio della fedeltà, convinto di aver bisogno a breve di una pattuglia compatta a Bruxelles: pochi ma buoni, insomma.

E allora per Sgarbi, da sempre «in quota sé stesso», non c’è più posto. Il sottosegretario poteva contare su un saldo rapporto con Silvio Berlusconi dovuto anche alla sua capacità di “minacciare” Forza Italia con le sue creature politiche che nascevano puntualmente all’alba di ogni elezione con l’obiettivo di insidiare gli azzurri.

Questo do ut des, però, non è stato ereditato né dai vertici della Forza Italia post Berlusconi, né dalla famiglia. Col rischio di doversi limitare soltanto ai suoi incarichi di amministratore locale e critico d’arte, dunque, Sgarbi ha tentato il tutto per tutto per sfruttare perfino le conseguenze del suo passo falso al fine di costruirsi una via d’uscita dallo scandalo delle consulenze.

E così, l’ex sottosegretario ha accettato la scommessa della candidatura con il partito della premier che gli ha chiesto di fare un passo indietro. È una sfida, facilitata sì dall’ottima performance che porterà a casa il partito di Meloni, ma che il critico d’arte si giocherà comunque all’ombra delle preferenze. «Parlavamo da tempo con Meloni, poi ne abbiamo parlato con Donzelli in aprile e abbiamo ricominciato in questa fase finale delle candidature. È una cosa nata così, poiché sono libero e ho una dote di voti riconoscibili. Alle europee del 1999 ne presi 100mila nel Nord est, quasi come Berlusconi. Mi avevano proposto la candidatura anche in altre tre liste» ha detto l’ex sottosegretario, senza specificare quali fossero.

Per lui nel partito si parla di un posto nella circoscrizione Sud: in via della Scrofa sperano che Sgarbi possa portare a FdI i voti di un elettorato non organico ai meloniani. Ma il pacchetto di consensi “non organici” concede al critico d’arte anche un’autonomia con cui i meloniani fanno già i conti, consapevoli che sulla fedeltà di Sgarbi c’è poco da contare. «Sempre che poi venga eletto...» commenta sornione un parlamentare.

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