«Il Pd non assisterà allo smantellamento della sanità pubblica operata dalla destra». Stavolta davanti ai cronisti arriva una segretaria del Pd molto concreta, che lascia da parte i giri di parole e annuncia una campagna di mobilitazioni sulla salute pubblica. È il guaio numero uno per gli italiani. E oggi era il giorno dello sciopero dei medici. Va detto che il Pd ha azzeccato il «tema concreto» per ritrovare «la connessione» (parole di Elly Schlein) con gli elettori, al netto di un astensionismo inscalfibile.

Tonificata dalle vittorie in Umbra e in Emilia-Romagna, e dagli ottimi risultati del suo partito, davanti alla stampa Schlein ha un po’ modificato la liturgia delle risposte sfuggenti. Ha messo in chiaro che la sanità è il chiodo a cui vuole appendere la maggioranza e il governo. È un tema mobilitante nel paese e unificante per le opposizioni. A chi le ha chiesto se gli scappellotti di Sergio Mattarella, Mario Monti e Romano Prodi, che avevano chiesto ai socialisti di votare il commissario Raffaele Fitto, fossero diretti al Pd, e cioè a lei, ha risposto che il suo partito stava «lavorando per sbloccare una situazione di stallo».

Ha fatto insomma capire che, al di là delle parti in commedia, la segretaria del Pd è sostanzialmente in linea con il presidente della Repubblica e i due ex premier. E alla fine lo stallo si è sbloccato.

Biancaneve umile e i nani

Infine la coalizione: il successo smagliante del Pd, a fronte dei risultati scarsi di M5s e Avs, complica la strada dell’alleanza. In questo, centrosinistra e destra hanno un problema speculare: di là il successo di FdI mette in agitazione la soccombente Lega. Di qua, per Schlein, l’alleanza resta l’obiettivo di lungo periodo della sua segreteria: il partito può avere il vento in poppa, magari crescere ancora, ma un Pd ai suoi massimi storici (come fu quello di Walter Veltroni nel 2008, al 33 per cento) non basta a vincere le politiche. «È interesse del Pd avere alleati solidi», ha ammesso dissimulando la preoccupazione: altro che tentativo di cannibalizzazione dei cespugli. Il Pd si pone di fronte a loro con «unità» e «umiltà».

E qui Schlein ha rivelato un pezzetto della sua strategia del non interventismo sugli alleati, spesso indecifrabile e persino incomprensibile con la formula «non perderemo neanche un minuto in polemiche interne». Sostiene che i litigi fanno perdere voti a chi litiga, e che il Pd è convinto di essere premiato anche perché così «testardamente unitario».

Ma stavolta fa un passetto in più: alla domanda se aveva telefonato agli alleati che già si pizzicano (Matteo Renzi sfida Giuseppe Conte all’unità con Iv, Avs avverte che con Iv è «incompatibile») ha risposto che il suo metodo è un altro: «Il mio ruolo non è quello di chiamare gli altri e dire cosa fare, ma di mediare per provare a far valere le ragioni che ci tengono insieme e che ci fanno vincere». Non entrare nelle beghe, ma comunque «mediare» sui programmi concreti.

Carlo Calenda, uno che si professa fuori dal campo largo, apprezza: «La strada è parlare di cose concrete invece che di formule elettorali, perché le elezioni sono tra due anni e nel frattempo qui sta venendo giù il paese».

La verità è che nelle elezioni regionali non è andata sempre così. Il Pd non è riuscito a «mediare» né in Liguria, dove Conte ha ottenuto la cacciata di tutti i candidati renziani, né in Basilicata, dove le formazioni centriste sono rimaste fuori dalla coalizione. Forse due sconfitte fanno una lezione.

Oltre, la segretaria, non va. Non può: nel weekend si celebra la costituente M5s. Conte prepara il suo discorso della Corona: ha già messo come condizione per restare alla guida quella di un M5s piantato nel campo progressista. Ma sull’alleanza è difficile che userà toni affettuosi: per rispondere alle sfide interne, dal sabotaggio di Grillo ai rinculi identitari di Appendino; e perché la sua traiettoria arriva all’alleanza, ma a momento debito (cioè in prossimità del voto politico) e da una posizione di maggior forza rispetto a quel pianto dei risultati delle amministrative. Quindi per Schlein ora è inutile, anzi controproducente, fare un passo oltre l’organizzazione delle battaglie comuni, in parlamento e nei territori.

Il mistero buffo del centro

Resta ancora nell’aria, senza una precipitazione concreta, la questione del fantomatico “centro”, un luogo accogliente per moderati e cattolici, non necessariamente i radicalissimi devoti a papa Francesco. Che assorba e attutisca le provocazioni di Renzi e convinca alla delega Calenda. Il Messaggero ha lanciato il nome di Ernesto Maria Ruffini, attuale direttore dell’Agenzia delle entrate, cattolico stimato, di scuola Mattarella, amico di Prodi. È arrivata la smentita. Ma chiunque sia il federatore, se una “cosa” centrista nascerà, dovrà nascere in maniera del tutto autonoma, prima di «muovere verso sinistra» (la formula è quella di Alcide De Gasperi). La questione è delicata anche per i centristi Pd. Qui Schlein proprio non mette bocca; pronta ad accogliere una formazione centrista, si limita a dire, «ma attorno a un progetto coerente».

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