In Rai «il clima è asfissiante», dice il segretario Usigrai Daniele Macheda, dopo che il 25 aprile il sindacato ha proclamato uno sciopero di 24 ore per lunedì 6 maggio
«Un clima asfissiante» che impedisce ai giornalisti Rai di fare il loro lavoro. Un atteggiamento che impoverisce il servizio pubblico tanto da portare anche i volti più famosi a lasciarlo. A dirlo è il segretario dell’Usigrai Daniele Macheda, dopo che il 25 aprile la formazione ha proclamato uno sciopero di 24 ore per lunedì 6 maggio. L’associazione della destra Rai Unirai non aderisce per non «prestarsi alle varie operazioni esclusivamente politiche in atto intorno all’azienda».
Perché scioperate lunedì prossimo?
Perché è il clima dentro la Rai sta diventando asfissiante, come abbiamo scritto nel comunicato stampa, e perché c’è un controllo che non permette di svolgere attività giornalistiche in maniera serena e di essere in un contesto in cui vengono rispettate autonomia e indipendenza dei giornalisti. Una situazione grave soprattutto per un servizio pubblico.
Parlate di clima asfissiante, ma la prima obiezione che arriva da destra è sempre che la Rai è sempre stata oggetto di spartizioni politiche.
È vero, assolutamente vero. E noi l’abbiamo sempre contestato. Così come abbiamo contestato in maniera chiara è netta l’abuso che si sta facendo della legge Renzi: già di per sé la riforma mette nelle mani del governo della maggioranza il controllo della Rai, ma quando nel 2021 sono stati eletti i membri del cda attuale abbiamo denunciato con estrema chiarezza che si stava realizzando un precedente grave. Abbiamo pubblicato tanti comunicati sul fatto che il governo Draghi si sia accaparrato tutti i posti del cda escludendo la voce dell’opposizione che in quel momento era FdI. Una condizione in cui un pezzo di paese con un’opinione diversa non era rappresentata.
Veniamo dal caso Scurati, dalla vicenda Zanchini e abbiamo assistito alla telefonata del premier albanese Edi Rama al direttore dell’approfondimento Paolo Corsini. Quanto è grave la censura già in atto da parte dei vertici?
Si può sicuramente parlare di una tendenza che sta dilagando e che se la posizione dell’azienda non cambia prenderà sempre più piede. Si tratta di una situazione che per esempio consente al primo ministro albanese di pensare che può chiamare Corsini per lamentarsi di come è stato trattato in un’inchiesta di Report. Mi pare che se si lascia correre questo clima, chiunque si può sentire autorizzato a chiedere spiegazioni sul nostro lavoro giornalistico.
Sulle repliche del programma di Ranucci poi l’azienda ha fatto un mezzo passo indietro.
Sì, ma ne manderanno in onda cinque solo dopo averle concordate con l’azienda scegliendo quali trasmettere, magari per cercare di escludere quelle più fastidiose. Non mi pare una buona idea rispetto alla libertà di informazione e l’indipendenza dell’informazione.
Qual è lo stato di salute della Rai?
Non è buono. L’azienda soffre un’esposizione finanziaria molto alta e sta facendo indici di ascolto che non non danno buoni segnali. Anzi, la scarsa performance dei palinsesti potrebbe ripercuotersi anche sulle entrate pubblicitarie.
I vertici si mostrano fiduciosi e dicono che i volti non contano, ma gli addii al servizio pubblico iniziano a essere parecchi.
Magari è vero quello che dicono i vertici Rai e non hanno mai cacciato nessuno. Io sono portato a dire che è vero, ma è vero pure però che hanno creato un clima e le vicende ultime lo dimostrano. In questo contesto i professionisti sono messi in condizione di andarsene: se è vero che se ne vanno di loro sponte senza essere cacciati è anche peggio.
Torniamo allo sciopero: Unirai ha già annunciato che non parteciperà. Vi preoccupa questa defezione?
Per niente. Unirai sta esponendo le sue ragioni e faranno quello che ritengono opportuno. Per quanto riguarda il loro impatto sulla protesta, direi che ne possiamo parlare il giorno dopo lo sciopero.
A proposito di Unirai, ora che la nuova associazione è stata riconosciuta dall’azienda siete alla pari?
Assolutamente no, anzi. Dopo che Unirai la settimana scorsa aveva diffuso la notizia di un riconoscimento, abbiamo chiesto chiarimenti. L’azienda ci ha fatto sapere che non usa nemmeno il termine “riconoscimento”, ma che è stato sottoscritto un protocollo che concede i diritti sindacali che la Costituzione garantirebbe a tutti coloro che si hanno interessi comuni e si organizzano per difenderli, che non sono gli stessi che abbiamo noi.
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