- Il 26 aprile 2021, l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi presentava al parlamento il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il cosiddetto Pnrr, che indica come investire i 248 miliardi di euro del Next generation Ue destinati all’Italia. Il piano è suddiviso in sei progetti di investimento e riforme, definite missioni, e il sesto è la salute.
- Il Pnrr destina ben 15,6 miliardi di euro alla missione salute; a questi, si aggiungono ulteriori 2,4 miliardi di euro derivanti dal piano nazionale complementare (Pnc), un apposito fondo di bilancio istituito dal governo Draghi: questa montagna di soldi dovrà provvedere alla riforma e all’ammodernamento del sistema sanitario nazionale.
- Prima di pensare come riformare e modernizzare il nostro Ssn, bisognerebbe preoccuparsi di come mantenerlo in vita, dato che è moribondo. Mancano i medici e gli infermieri; la sanità privata difficilmente si lascerà coinvolgere nel Pnrr senza chiedere soldi in cambio. E la riforma rischia di restare lettera morta.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è lo strumento che deve pianificare come noi impiegheremo i 248 miliardi destinati all’Italia dal Next generation europe. Il piano è suddiviso in sei punti, definite missioni, e la missione numero sei riguarda la salute.
Il Pnrr destina ben 15,6 miliardi di euro alla missione salute. A questi, si aggiungono 2,4 miliardi di euro derivanti dal Piano nazionale complementare (Pnc), un apposito fondo di bilancio istituito dal governo Draghi: questa montagna di soldi dovrà servire per riformare e ammodernare il Sistema sanitario nazionale (Ssn).
Gli investimenti
La missione sei prevede «interventi che intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presìdi territoriali, come le case di comunità (finanziate con 2 miliardi di euro), e gli ospedali di comunità, (1 miliardo); il rafforzamento dell’assistenza domiciliare (204,5 milioni); lo sviluppo della telemedicina (oltre 2 miliardi)».
Poi, consentirà «il rinnovamento e l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali esistenti» (più di 2,6 miliardi), dato che negli ospedali verranno sostituiti almeno 3.100 grandi apparecchiature sanitarie quali Tac, ecotomografi, angiografi, e sistemi per la radiologia e per gli esami di pronto soccorso. È previsto «il completamento e la diffusione del Fascicolo sanitario elettronico, una migliore capacità di erogazione e monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (Lea)». Infine, risorse sono destinate alla ricerca scientifica e alla formazione del personale sanitario.
Le case di comunità
Il piano è ambiziosissimo, e ridisegna il Ssn basandosi sull’approccio “one-health”, al centro del quale c’è “la persona”. Il Pnrr prevede di creare percorsi integrati di assistenza sul territorio, che partono dalla casa – che deve diventare «il primo luogo di cura» – per arrivare alle case della comunità e agli ospedali di comunità, e quindi alla rete degli ospedali veri e propri. L’obiettivo è di migliorare la cura dei cittadini.
Per prima cosa verranno potenziati i servizi domiciliari: chi non necessita di cure particolari verrà curato a casa da medici e infermieri formati a questo scopo.
Inoltre, il Pnrr entro la metà del 2026 prevede di attivare 1.288 case della comunità, radicate su tutto il territorio nazionale, che diventeranno il luogo dove si coordinano tutti i servizi sanitari offerti, e in cui si curano i pazienti – anziani, malati cronici – che non hanno bisogno di cure intensive.
Nelle CdC opereranno team multidisciplinari composti da medici di medicina generale, pediatri, medici specialistici, infermieri, e altri professionisti della salute.
Ospedali di comunità
Poi, verranno creati 381 ospedali di comunità, dove verranno ricoverati pazienti che necessitano di cure a media o bassa intensità clinica, per degenze di breve durata.
Saranno dotati di norma di 20 posti letto (fino ad un massimo di 40), verranno gestiti prevalentemente da infermieri, e ospiteranno anche pazienti dimessi dagli ospedali che non necessitano più di cure intensive ma non sono ancora pronti per tornare a casa.
Infine, verranno realizzate almeno 600 centrali operative territoriali (Cot), che prenderanno in carico la persona e coordineranno i servizi e i professionisti coinvolti nei diversi ambiti assistenziali.
Tagli
Al di là dello squallido gergo burocratese col quale sono redatte queste altisonanti riforme, sulla carta è tutto bello, anzi bellissimo, però sono solo parole: prima di pensare come riformare il nostro Ssn, bisognerebbe preoccuparsi di come mantenerlo in vita, visto che è moribondo. Per non parlare degli squilibri tra il nord e il sud del paese, dove la situazione è drammatica.
Nel decennio tra il 2010 ed il 2019, i fondi destinati dai vari governi alla Sanità sono diminuiti di 37 miliardi di euro. Il Def 2022 del governo Meloni prevede che nel triennio 2023-2025 la spesa sanitaria verrà ridotta in media dell’1,13 per cento all’anno, il che nel 2025 farà precipitare il rapporto spesa sanitaria/Pil al 6,1 per cento, ben al di sotto di quella prevista dagli altri paesi Ue, che è pari circa al 9,5 per cento.
In Italia lo stato spende 3.052 dollari pro capite, contro i 3.488 della media Ocse, e in Europa 15 paesi investono più di noi in sanità. Ancora più impietoso è il confronto con i paesi del G7: dal 2008 siamo la nazione che spende meno di tutte.
Senza medici
E poi, chi metterà in pratica le riforme previste dal Pnrr? Per creare e far funzionare le case e gli ospedali di comunità serviranno tanti medici e infermieri, che noi oggi non abbiamo e ancora meno avremo in futuro. A causa del blocco del turnover del personale sanitario introdotto con la legge 266 del 2005, approvata dal governo Berlusconi, in media, su 100 medici andati in pensione, 10 non sono stati sostituiti. In regioni come il Lazio, la Sicilia e la Campania il numero sale a 31.
Oggi negli ospedali del Ssn ci sono 15mila specialisti in meno rispetto al 2015. Sui 103.092 medici ospedalieri oggi in servizio negli ospedali del Ssn, nei prossimi cinque anni ne andranno in pensione 29.331, che verranno sostituiti solo in minima parte.
La grande fuga
I motivi sono tanti. Le facoltà di medicina sono a numero chiuso e sfornano sempre meno nuovi medici; molti neolaureati in medicina snobbano certe specializzazioni difficili e poco redditizie, per cui restano vacanti il 57 per cento dei posti disponibili nelle scuole di specialità in medicina d’emergenza e urgenza, il 17 per cento in quelle di anestesia e rianimazione, per esempio.
Inoltre, circa il 10-20 per cento dei nostri medici ogni anno fugge all’estero, perché via dall’Italia si guadagna di più e si vive meglio.
Secondo le stime dell’Ocse, un medico italiano guadagna in media 110mila dollari l’anno, un suo collega tedesco 187mila, uno olandese 190mila, un britannico 155mila.
All’estero diventi primario se vali, e non se sei simpatico al direttore sanitario di turno scelto dalla politica, come avviene in Italia. E chi non fugge all’estero, spesso si fa assumere da una delle cliniche private che operano in Italia, che possono garantire stipendi più elevati rispetto al pubblico. Nel 2027 nel Ssn mancheranno 60mila medici specialisti e 15mila medici di medicina generale.
I privati accreditati
Anche molti infermieri italiani fuggono all’estero per gli stessi motivi. Lo stipendio medio di un infermiere italiano è di circa 39mila dollari, contro gli 87mila di uno belga, i 59mila di un tedesco, o i 48mila di un britannico. Tra cinque anni mancheranno almeno 25mila infermieri.
Poi c’è la questione del cosiddetto “privato accreditato”. Gli ospedali e le cliniche private accreditate sono strutture a gestione privata che possono effettuare prestazioni in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale.
Tu vieni ricoverato, ti sottoponi a un’operazione chirurgica o a un esame in una di queste cliniche private, e paga il Ssn, oppure paghi di tasca tua, se hai i soldi.
Ogni regione dovrebbe decidere quali e quante strutture private accreditare sulla base di una “equa” valutazione dei fabbisogni sanitari, ma in realtà ogni giunta regionale accredita le cliniche private dei suoi “amici” politici.
C’è un problema: queste cliniche e questi ospedali funzionano secondo la legge del profitto: più soldi incassano e più il proprietario è contento. Perciò, queste cliniche private si buttano sulle attività più remunerative, che garantiscono ricoveri lunghi – il Ssn paga una retta giornaliera di centinaia di euro – e poco rischiosi.
Per esempio, pochissimi ospedali privati offrono servizi di pronto soccorso o di terapia Intensiva, mentre sono private molte delle cliniche per la riabilitazione – che richiede cure che durano mesi –, quasi tutte le comunità psichiatriche – dove un paziente resta ricoverato per anni –, e praticamente tutte le Rsa – dove gli anziani vivono anche per decenni.
Molte cliniche private assumono medici “star” pagati oro, per attirare più clienti. E magari assumono camionate di infermieri stranieri di cooperative dubbie, pagati 400 euro al mese, per risparmiare. Le strutture private accreditate possiedono circa 52mila posti letto, impiegano 70mila operatori sanitari, assicurano il 28,4 per cento del totale delle giornate di degenza e lo stato ogni anno paga ai privati circa 6,8 miliardi di euro, pari a circa il 13 per cento della spesa sanitaria.
Cambiamenti impossibili
Secondo il Pnrr, proprio in questi settori si dovrebbero compiere le riforme più sostanziali e i risparmi maggiori, perché molte di queste prestazioni dovrebbero essere effettuate a domicilio o nelle nasciture strutture di comunità.
Le Rsa e le case di riposo, per esempio, dovrebbero essere riconvertite in appartamenti autonomi gestiti direttamente dallo stato e non più dai privati, che difficilmente rinunceranno a quei profitti.
Scommettete che il Pnrr nella sanità pubblica cambierà ben poco, e che quella montagna di soldi servirà solo per tenerla in vita?
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