Quando accade, come è accaduto, che appartenenti delle forze dell’ordine si macchiano di comportamenti e atti che violano regole fondanti la legittimità del loro operato, durante tumulti e scontri in manifestazioni di piazza, il sistema viene messo in grave crisi e lo stato ferito. Chi sbaglia, in nome e con la divisa dello stato, non può rimanere impunito.
Il nostro giornale ha testimoniato con scoop e inchieste come quelle di Nello Trocchia sulla mattanza del carcere di Santa Maria Capua Vetere e con denunce come quelle di Selvaggia Lucarelli sui pestaggi degli studenti diversi episodi di violenza dello stato nei confronti dei cittadini. Ci è sembrato importante includere nel nostro programma una proposta che nonostante cinque progetti di legge non è mai diventata realtà: rendere obbligatori i numeri identificativi per le forze dell’ordine, come viene chiesto dal parlamento europeo. Abbiamo chiesto di scriverla a Ilaria Cucchi, una persona che nella vita ha conosciuto quella violenza e l’ha combattuta, riuscendo a far emergere la verità sull’assassinio del fratello Stefano Cucchi. Poi Cucchi è diventata a sua volta candidata al voto del 25 settembre con Sinistra italiana e Europa Verde. Abbiamo deciso di pubblicare in ogni caso il suo contributo e speriamo che la maggioranza dei candidati possano appoggiare questa proposta.
Tutte le proposte del programma di Domani
Lo stato ha il potere, che gli deve competere in via esclusiva, dell’uso della forza nei confronti delle persone, qualora ve ne dovessero essere i presupposti stabiliti dalla legge e dalla nostra Carta costituzionale. La violenza è prerogativa che gli spetta ma che è e deve essere rigorosamente limitata a confini ben delineati così da non compromettere la tutela del rispetto dei diritti umani. Mai e poi mai deve accadere che forza e violenza vengano esercitate in modo fine a sé stesso, inutilmente cruento.
Debbono semplicemente essere necessarie perché non esiste altra possibilità alternativa di intervento. Sono concetti semplici e, a parole, oggetto di unanime condivisione, salvo qualche tanto rara quanto deprecabile eccezione.Le operazioni di ordine pubblico sono il terreno più frequente sul quale si misurano questi concetti basilari per l’esistenza di uno sistema democratico moderno.
Quando accade, come è accaduto, che appartenenti delle forze dell’ordine si macchiano di comportamenti e atti che violano queste regole fondanti la legittimità del loro operato, durante tumulti e scontri in manifestazioni di piazza, il sistema viene messo in grave crisi e lo stato ferito. Essi violano la legge commettendo reati esattamente come quelli che sarebbero stati chiamati a prevenire e reprimere. Si confondono con gli stessi criminali responsabili dei disordini che dovrebbero reprimere, e assicurare alla giustizia. Tutti responsabili di reati, diversi, ma pur sempre reati. E la piazza diventa una giungla. Si distinguono solo perché indossano una divisa che, in quel modo, infangano, con tanto di tenuta cosiddetta antisommossa: caschi, visiere protezioni, e manganelli. Tutto rigorosamente anonimo che ne rende impossibile l’individuazione e invece dà la possibilità dell’impunità.
Ciò è veramente inaccettabile, semplicemente indegno.
Talvolta ci vanno di mezzo cittadini malcapitati come Paolo Scaroni, tifoso del Brescia che il 24 settembre 2005 è rimasto vittima di una violenta aggressione alla stazione di Verona da parte di agenti di polizia. Rimase in coma due mesi ed è tutt’ora invalido al 100 per cento. Quei criminali, perché non sono altro che questo, non sono mai stati identificati con certezza e gli imputati del processo che ne conseguì sono stati tutti assolti per insufficienza di prove
Sorte analoga subì Luca Fanesi, tifoso della Sambenedettese che rimase gravemente ferito, il 5 novembre 2017, a Vicenza. Testa devastata da numerose gravi fratture, lungo periodo di coma, ora invalido anche lui al 100 per cento. Tutto archiviato. Pende ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Non è mio intendimento criminalizzare tutti gli operatori di polizia ma mi astengo dal cedere alla solita ipocrita retorica delle mele marce. Il problema c’è. Esiste eccome!
La richiesta europea
Tanto è vero che il parlamento europeo, con richiesta del 12 dicembre 2012, ha esortato tutti gli stati membri affinché dotino le divise di tutti gli operatori delle forze dell’ordine di codici d’identificazione ben visibili affinché l’autorità possa agevolmente risalire alla loro identità. Così si otterrebbe trasparenza e responsabilità. In una parola, è questione di civiltà.
Quasi tutti gli stati membri dell’Unione europea lo hanno fatto, tranne, ovviamente, noi. Cinque progetti di legge e 155mila firme raccolte da Amnesty non sono bastate.
Il no alla legge sulla tortura
La fiera ritrosia, finanche ostilità, delle autorità di polizia a collaborare in tal senso, non solo non è comprensibile ma ricorda, purtroppo, quella opposta pervicacemente all’approvazione della legge sulla tortura.
Chi sbaglia, in nome e con la divisa dello stato, non può rimanere impunito. Terrificante se lo rimane perché anonimo e senza volto.
Mi adopererò con tutti i mezzi che mi verranno messi a disposizione, se verrò eletta, affinché questa legge venga finalmente approvata.
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