Conte impone le condizioni in extremis: no agli ex sostenitori della destra nelle liste. Il candidato dem lancia un appello all’unità. Il campo largo fibrilla, da Roma alle regioni
Le conseguenze del disamore fra Pd e M5s, culminate nella rottura sul voto sul cda Rai di giovedì scorso, si abbattono sull’alleanza per le regionali in Liguria. Ieri all’ora di pranzo Raffaella Paita, numero due di Italia viva e renziana in capo della regione, annuncia che il suo partito molla Andrea Orlando, il candidato presidente del centrosinistra. Si chiama fuori, lascerà libertà di voto: e se fosse vero quello che dicono i sondaggi, e cioè che il 27 e il 28 ottobre la vittoria dipenderà da una manciata di voti, non è una buona notizia per Elly Schlein.
«Nelle ultime ore, su pressione dei Cinque stelle, ci è stato chiesto di eliminare l’apparentamento o cancellare dalla lista i nomi di alcuni nostri rappresentanti. E per noi non è politicamente serio», dice Paita. Per essere riammessa nell’alleanza, Iv ha lasciato la giunta di destra di Marco Bucci, sindaco di Genova, e ha rinunciato a correre con il suo simbolo. «In queste settimane abbiamo offerto la massima disponibilità e lavorato con generosità».
Ma a Giuseppe Conte non è bastato. Perché fra i nomi della lista “Riformisti uniti”, con dentro anche +Europa e Psi, ci sono ex sostenitori di Bucci. Conte non lo accetta. Non lo “regge” politicamente: rischia di perdere i suoi (alle ultime regionali M5s ha preso poco più del 7 per cento). Perché qui passa una trincea del congresso M5s, sotto la mitraglia di Beppe Grillo e di Nicola Morra, l’ex presidente della commissione Antimafia che presenta una lista e accusa i suoi ex compagni di essere prigionieri politici del Pd. A due giorni dalla chiusura delle liste, che sarà oggi, Conte cala le sue condizioni ultimative: niente apparentamento con i “Riformisti uniti”, o almeno fuori i renziani dalla lista.
Dal Pd nazionale ieri mattina arriva a Iv la richiesta “ufficiale” di cancellare i nomi sgraditi (a Conte). Anche se c’è un atto ufficiale di apparentamento pronto a essere consegnato agli uffici. E anche se la lista “Riformisti uniti” è nota dal 9 settembre, con l’altra lista centrista, il “Patto civico riformista” di Azione e altri. Insomma M5s sapeva.
E infatti il bubbone covava da tempo. Giovedì i rapporti fra Schlein e Conte sono precipitati, causa cda Rai. A questo punto il presidente chiede di “vedere” le liste Iv: non gli piacciono. Per il M5s è tutto normale: si tratta solo di «prestare fede all’accordo di non avere nella coalizione simbolo ed esponenti di chi, fino a ieri, era in giunta con il candidato del centrodestra Bucci».
L’appello di Orlando
Orlando cerca di correre ai ripari. Ieri ha lanciato un video-appello all’unità: un appello «che arriva dal basso, lo voglio girare al campo largo, ai suoi dirigenti che in questo momento hanno momenti di tensione, di frizione, «andiamo incontro a una tornata importante dal punto di vista amministrativo in Liguria, poi in Umbria e in Emilia-Romagna» ma anche a «una legge di Bilancio che colpirà le fasce più deboli», «l’unico argine possibile alla destra» è «l’insieme delle forze politiche e sociali che si oppongono alla politica del governo. Questo è stato anche il senso della mia candidatura e spero che sia colto fino in fondo da tutti». Psi e +Europa traslocheranno i loro candidati in una civica. Orlando continua a lavorare all’unità, in serata c’è chi riferisce di una qualche attività dal Nazareno.
Anche perché la rottura è un fattaccio per il centrosinistra, e potrebbe non fermarsi in Liguria. Lo spiega Enzo Maraio, segretario Psi: «Queste cose non fanno bene alla coalizione, che deve essere ampia, plurale e inclusiva». Riccardo Magi, segretario di +Europa, è più esplicito: «Quello che è successo in queste ore è chiaramente una cosa fatta a danno di Schlein e del risultato finale in Liguria», ce l’ha con Conte, «le obiezioni sollevate a poche ore dal deposito delle liste non hanno dignità politica, sono solo pretesti». Ma c’è anche un messaggio alla “federatrice”: qualche giorno fa Magi ha proposto a Schlein un “tavolo” di coalizione. Nessuna risposta. Ma «un tavolo della coalizione serve anche per fissare dei punti di metodo. Altrimenti gli impegni saltano e gli accordi sono alla mercé delle scorribande».
Ora il problema è il “contagio”: ovvero se la rottura ligure non si espanda anche in Emilia-Romagna e in Umbria, le regioni che andranno al voto il 17 e 18 novembre. Non dovrebbe succedere, spiegano dal Pd, lì M5s e renziani coabitano da tempo. Anche fosse, comunque una sconfitta in Liguria sarebbe uno smacco grandissimo. Una pessima premessa per i due voti successivi. E soprattutto un giudizio sulla “federatrice” Schlein: la coalizione ormai si spacca ad ogni curva. A battere un colpo, in un gruppo dirigente ammutolito, è Lorenzo Guerini, il presidente del Copasir e riferimento dei riformisti più critici rispetto ai cedimenti a Conte, dall’Ucraina in giù: «Non entro nella questione delle singole regioni», dice, parlando a Napoli, «Ma le alleanze si costruiscono con voglia di unità e con chiarezza delle posizioni, dentro uno spirito di solidarietà. Non credo che coi veti si possa fare grande strada». Ce l’ha con Conte, ovvio. Ma forse anche con chi, dalla testa della carovana, non tiene le briglie.
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