Un nuovo studio traccia un parallelo tra la presenza delle donne nelle redazioni e l’interesse del pubblico femminile nell’informazione: la mancanza di uno sguardo femminile però paradossalmente rischia di normalizzare una situazione sbagliata perché il pubblico non si scandalizza più. Un problema che si combina con l’impossibilità delle donne di far carriera nelle aziende editoriali.
- Finché il giornalismo resterà un affare da uomini, fatto dagli uomini che parlano di uomini perché altri uomini li leggano, anche il pubblico femminile continuerà a non sentirsi coinvolto.
- D’altra parte, però, con l’assenza delle donne nelle redazioni si crea un circolo vizioso con un esito ancora più negativo: il rischio è infatti che lo status quo venga poco a poco interiorizzato.
- Attenzione anche alla direzione e del management delle aziende editoriali: anche la produzione di un gruppo di giornalisti bilanciati dal punto di vista del genere è limitata da un pregiudizio maschile, se la direzione è dominata dagli uomini.
Lo sguardo sulle cose non è sempre lo stesso. Questo vale anche per le notizie e, stando a quanto emerge da uno dei più recenti report sull’uguaglianza tra i sessi nel giornalismo, intitolato The Missing Perspectives of Women in News, anche lettori e spettatori se ne accorgono. Finché il giornalismo resterà un affare da uomini, fatto dagli uomini che parlano di uomini perché altri uomini li leggano, anche il pubblico femminile continuerà a non sentirsi coinvolto.
Il report insiste soprattutto su alcune realtà in via di sviluppo, ma il fatto che il giornalismo sia un mestiere da uomini è un problema anche in Italia: in un documento del 2018, l’European Journalism Observatory ha rilevato che di 594 articoli in totale il 63 per cento aveva una firma maschile e solo il 21 per cento femminile.
D’altra parte, però, con l’assenza delle donne nelle redazioni si crea un circolo vizioso con un esito ancora più negativo: il rischio è infatti che lo status quo venga poco a poco interiorizzato dalla pubblica opinione come livello accettabile di parità di genere e che venga progressivamente meno la spinta per più giornalisti donna e più attenzione ai punti di vista femminili.
Per lo più, soprattutto nei paesi emergenti, la parità non riceve particolari attenzioni dagli opinion leader, anche se i giovani sono più pronti a sostenere l’uguaglianza: nei 77 paesi in grande sviluppo in cui Lubova ha posto la questione, solo il 4 per cento di chi detta l’agenda del paese indicava la parità tra i sessi come assoluta priorità. Un fatto che normalizza ulteriormente la mancanza di voci femminili. E quindi, scrive Kassova, «è difficile aggiustare qualcosa che non si percepisce come rotto». Nessun tema è femminile o maschile, il punto di vista (e in alcuni casi il pregiudizio) con cui lo si racconta sì.
Come leggere i dati
Il rapporto, firmato da Luba Kassova per la Bill & Melinda Gates Foundation, si concentra sulla realtà delle redazioni di sei paesi: Regno Unito, Stati Uniti, Sud Africa, Kenya, India e Nigeria. È emerso in maniera univoca il fatto che le donne s’interessano meno delle notizie degli uomini (a livello globale sono il 64 per cento degli uomini che si dichiarano “molto interessati alle news” contro il 54 per cento delle donne).
Un dato che, secondo l’autrice, potrebbe dipendere dal fatto che giornali e notiziari sono prodotti principalmente da uomini e si concentrano soprattutto su figure maschili, restando lontanissimi dalle richieste del pubblico femminile.
In nessuno dei paesi analizzati non si può parlare in nessun caso di parità sostanziale tra uomini e donne, anche se chiaramente le differenze sono rilevanti. In generale, però secoli di norme determinate dal patriarcato hanno lasciato alle proprie spalle un pregiudizio talmente radicato che di fronte alle richieste dei ricercatori il 91 per cento degli uomini e l’86 per cento delle donne hanno dimostrato di soffrire di almeno un precondizionamento nei confronti delle donne. Figurarsi nei confronti della loro capacità di raccontare le notizie.
Anche le nuove tecnologie possono essere un’arma a doppio taglio. Da un lato, secondo Lubova, permettono alle giornaliste di aggirare gli organigrammi spesso sbilanciati a favore dei colleghi maschi. Rimane il rischio che gli uomini si impongano anche alla guida del settore digitale delle aziende dell’informazione. L’altro aspetto positivo è che, dal punto di vista delle lettrici, le nuove tecnologie ampliano l’accesso alle notizie, per esempio attraverso i social network. Le community digitali sono però ambienti che offrono anche una maggiore sponda ai pregiudizi sessisti e,con essi, alle molestie via web su larghissima scala.
Insomma, il problema non si limita all’uguaglianza in redazione, ma a tantissimi aspetti diversi, come il contesto culturale, la capacità di coinvolgere le lettrici e l’attenzione che il pubblico dà alla mancanza di bilanciamento nel racconto delle notizie. Attenzione anche alla direzione e del management delle aziende editoriali: anche la produzione di un gruppo di giornalisti bilanciati dal punto di vista del genere è limitata da un pregiudizio maschile, se la direzione è dominata dagli uomini.
Il problema del potere
E un punto di vista condizionato da pensieri e valutazioni di uomini non può che restituire un’immagine distorta delle donne che compaiono nelle notizie. Che le donne non riescano a scalare la gerarchia delle aziende editoriali è un fatto dimostrato anche altri studi, come «Welchen Anteil haben Frauen an der publizistischen Macht in Deutschland?», che analizza il problema in Germania e giunge alla conclusione che, soprattutto per quanto riguarda i giornali stampati c’è ancora un grosso sbilanciamento del potere tra uomini e donne. Nei dieci giornali nazionale più diffusi, la componente di giornaliste in posizioni di potere ammonta in media al 25,1 per cento (si parla di ogni genere di autorità, fino anche alle vicecaporedattrici).
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