Sarebbe troppo facile addossare la responsabilità dello scandalo ai giovani nazifascisti di Fratelli d'Italia, immortalati da Fanpage a insultare neri ed ebrei con braccia tese e saluti hitleriani: La Russa si è vantato per anni di conservare il busto di Mussolini in casa, Meloni definiva il Duce «il miglior politico degli ultimi 50 anni» e si rifiuta di dirsi antifascista, Lollobrigida blaterava di «sostituzione etnica». Per quei ragazzi, i loro beniamini in parlamento sono un modello
Il pesce puzza dalla testa, insegna il detto. Un adagio che vale anche nel caso dei giovani nazifascisti di Fratelli d'Italia, immortalati da Fanpage a insultare neri ed ebrei con braccia tese e saluti hitleriani, urla al “duce” e slogan razzisti. Perché sarebbe troppo facile e banale – come stanno facendo i dirigenti del partito e i media simpatizzanti – addossare la responsabilità dello scandalo a qualche ragazzino nostalgico che non ha ancora imparato a nascondere l'orgoglio fascista come fanno i deputati più adulti e avvezzi, o parlare di «due mele marce prontamente espulse» come ripete da due giorni Giovanni Donzelli, responsabile dell'organizzazione di FdI spedito da Giorgia Meloni (il nuovo capo della segreteria politica, la sorella della premier Arianna, si è eclissata) davanti alle telecamere per criticare, più che gli ignobili dirigenti espulsi, i metodi dei giornalisti che hanno condotto l'inchiesta.
Il pesce puzza dalla testa perché i ragazzi di Gioventù nazionale sono la futura classe dirigente del partito di maggioranza del paese, che hanno come modello politico-culturale i loro beniamini seduti in parlamento, le alte cariche dello Stato e i manager d'area premiati dal nuovo, anche se non nascondono le loro origini politiche e il loro credo.
Ignazio La Russa si è vantato per anni di conservare il busto di Benito Mussolini in casa, circostanza che in qualsiasi altro paese democratico non avrebbe permesso l'ascesa dell'ex missino alla seconda carica dello Stato. Se un presidente del Senato attacca pubblicamente i partigiani deformando la storia («a via Rasella fu colpita una banda musicale di semipensionati», ha detto, in realtà si trattava delle SS del terzo battaglione del Polizeiregiment), è conseguenziale che i giovani adepti di FdI non trovino nulla di strano, al chiuso delle loro sezioni, nel liberare i loro istinti profondi e inneggiare ai dittatori.
E se Meloni in persona assolve il fedelissimo Carlo Fidanza, ripreso a ridere e scherzare con i peggiori fanatici tra gesti hitleriani e saluti fascisti, ricandidandolo senza un plissé al parlamento europeo (nonostante il surplus di un recente patteggiamento per corruzione), per quale ragione i rampolli del partito che ha trionfato alle ultime elezioni dovrebbero smussare le loro passionacce politiche?
Meloni, che a vent'anni definiva il duce «il miglior politico degli ultimi 50 anni» esattamente come le ragazze che ha fatto giustamente cacciare ieri, qualche mese fa ha provato a difendere la poltrona del cantante e pregiudicato (per banda armata) Marcello De Angelis, piazzato capo delle relazioni istituzionali del presidente della Regione Lazio che ha negato la matrice nera della strage di Bologna: si è dimesso solo dopo le ire della comunità ebraica per una vecchia canzone antisemita e le pressioni dell'opposizione.
Il pesce puzza dalla testa anche a studiare la parabola di Marco Nonno, che nonostante saluti romani ed estremismi nostalgici assortiti, a febbraio è stato promosso nuovo coordinatore di Fratelli d'Italia in Campania, dunque tra i massimi dirigenti del partito.
Quando furono pubblicate le foto imbarazzanti con le braccia tese, lui spiegò di «stare solo scherzando», la stessa giustificazione dei giovani meloniani smascherati da Fanpage. Come mai nessuno in FdI o da Palazzo Chigi ha ordinato a Nonno immediate dimissioni?
L'ipocrisia di Donzelli, del capogruppo Tommaso Foti, del ministro Ciriani che qualche giorno fa ha difeso i giovani fascisti parlando come sempre di «inchiesta giornalistica montata ad arte», è palese: il Pd chiede lo scioglimento immediato di Gioventù nazionale, ma per la proprietà transitiva dovrebbe chiederlo (è un paradosso, ma neanche tanto) pure di Fratelli d'Italia, che trasuda estremismo e nostalgie per il ventennio non solo dalla base, ma dalla punta della piramide.
Ci siamo già dimenticati che Francesco Lollobrigida parlando dei migranti blaterava di «sostituzione etnica» come il peggiore dei razzisti e complottisti, la stessa presidente del Consiglio si rifiuta tenacemente di definirsi antifascista, o di levare la fiamma che arde dal simbolo del partito che ha fondato. Perché i camerati dentro FdI, quando vengono smascherati e non hanno santi in paradiso, vanno cacciati per salvare la faccia. Ma all'elettorato nostalgico va fatto l'occhiolino: i loro voti sono molti, e Meloni non ha intenzione di rinunciarci.
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