In un collegio simbolico, cuore della capitale, la corsa del segretario di Democrazia solidale, vicina alla Comunità di Sant’Egidio. «Il centrosinistra non è più quello delle Ztl. Tutti i cittadini sono preoccupati per la crisi. In città c’è chi punta sull’allarmismo sociale che provoca rancore, paura e divisione. Ma le soluzioni ragionevoli rendono sicuri noi e i migranti»
Paolo Ciani è il segretario di Demos, Democrazia solidale, vicino alla Comunità d Sant’Egidio, che è un piccolo partito che tecnicamente potremmo definire di centro, se non fosse che lui nega: «Non mi appassionano le collocazioni “geografiche”. Siamo attenti al sociale e alle fragilità, con i valori cattolici e laici della solidarietà. Facciamo nostri gli appelli radicali di papa Francesco. Di certo non siamo moderati in termini sociali o ambientali». Con questo profilo si presenta nella trincea di Roma 1, per la sfida uninominale della Camera. Siamo nello stesso teatro dello scontro, al Senato, fra Carlo Calenda (terzo polo) e Emma Bonino (Più Europa, in alleanza con il Pd). Insomma, nell’area opposta alla destra, siamo in uno dei cuori della sfida fratricida di queste elezioni. Per questo la conversazioni inizia, necessariamente, dal rischio di un’onda nera, anche nella Capitale che pochi mesi fa ha eletto un sindaco di centrosinistra.
Il rischio della vittoria della destra radicale è forte, nel 2008 Roma già ha avuto un sindaco postmissino, Alemanno: vede qualche analogia con quella vigilia?
Noi romani abbiamo vissuto anni difficilissimi con la destra: ci sono stati tanti scandali, ma la cosa che mi preoccupa di più è stato il peggioramento del clima nei confronti dei poveri, delle minoranze e dei fragili. Intolleranza e fastidio evidente, violenza, pestaggi, razzismo: questa è stata l’eredità che ci ha lasciato quella amministrazione iniziata con le braccia tese sullo scalone del Campidoglio. Non vogliamo questo sdoganamento dell’intolleranza per l’Italia.
Lei corre all'uninominale di Roma 1, la coalizione di centrosinistra fatica ormai anche nelle famose Ztl?
In tempi incerti come questi è difficile fare previsioni. I cittadini sono alla ricerca di risposte in un momento di crisi: è la prima volta che si va al voto con una pandemia in atto e una guerra che ci coinvolge direttamente. I nuovi collegi inoltre hanno ampliato i territori: difficile “categorizzare” i cittadini di Testaccio, Parioli, Garbatella o Monti. Detto questo, credo che i cosiddetti Ztl siano cittadini preoccupati come gli altri, a cui il centrosinistra deve offrire soluzioni concrete: il contrario di chi “spara” ricette miracolistiche o tecniciste.
E perché il centrosinistra dovrebbe essere percepito come più concreto?
Perché proponiamo soluzioni possibili, mettiamo la persona al centro e non personalismi e contrapposizioni. Siamo per un politica del noi che si renda utile e non per vuoti egocentrismi o narcisismi leaderistici. E poi perché io ho sempre vissuto un impegno prima sociale e poi politico in questi territori e non scomparirò il giorno dopo l’elezione.
Le alleanze del centrosinistra alla fine sono saltate, sia dal lato 5s che dal lato terzo polo. Perché?
Perché è mancato dialogo in momenti cruciali e perché si è scelto il personalismo leaderistico. La politica è arte unitiva oppure è inutile retorica. La scissione del M5s ha pesato molto, così come i rancori del passato. Occorrerà ricucire. Certo se uno firma un accordo e lo annulla dopo due giorni, è dura. Mi ci applicherò.
In queste ultime settimane la sensazione diffusa è che i 5s crescano. Sembra anche a Lei?
Nel mio collegio non lo percepisco, ma dicono che altrove sia così. Ed ha una logica: presentarsi da soli esalta la specificità. E poi c’è il reddito di cittadinanza. L’opposizione assoluta della destra e del terzo polo aiuta questa polarizzazione. Occorre riconoscere che il reddito ha salvato tanti durante la pandemia e che resta una misura importante contro la povertà. Facevo parte dell’Alleanza contro la povertà che chiedeva una misura analoga prima che si proponesse sia il Rei che il Reddito di cittadinanza. Demos l’ha sempre sostenuto e continuerà a farlo perché Demos parte dal basso: dalla società, non da retoriche autoritarie o tecnocratiche.
Voi siete freddi sull’invio delle armi in Ucraina, e vicini alle posizioni di papa Francesco: sarebbe stata augurabile la resa di Kiev?
No: noi rispettiamo la resistenza ucraina e la sosteniamo. Ci sembra problematica la narrazione della vittoria che prolunga la guerra indefinitamente, auspica odio verso la Russia e non cerca soluzioni politiche al conflitto. Dobbiamo uscirne e non a causa del gas (meglio fare la transizione energetica anche se ci farà soffrire per un po’) ma allo scopo di non avvelenare il clima in Europa per secoli. La guerra è un ingranaggio che non controlla nemmeno chi l’ha iniziata. E che minaccia di travolgerci tutti.
I faccioni di Salvini, stampati nel retro degli autobus per le vie della capitale, chiedono sicurezza versus migranti: è un messaggio che suggestiona ancora gli elettori?
È una manipolazione che una destra senza idee utilizza sempre. L’accoglienza degli ucraini ha mostrato la grande generosità degli italiani. I corridoi umanitari per i siriani dimostrano che la nostra società può fare integrazione con legalità e sicurezza. Tutti cerchiamo sicurezza, anche i migranti. Su questa base possiamo esserci utili reciprocamente. Io sono per una ragionevole politica su questo tema e non per l’allarmismo sociale che provoca rancore, paura e divisione.
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