- La storia è sempre quella, maledetta e senza fine: l’incesto tra politica e ‘ndrangheta. Una lue che sta distruggendo la Calabria.
- Talarico era un pilastro dell’Udc, il partito di Lorenzo Cesa, anche lui coinvolto nell’inchiesta della procura di Catanzaro.
- Secondo i pm diretti da Nicola Gratteri, Talarico era in buoni rapporti con alcune delle cosche di ‘ndrangheta più potenti della Calabria.
La storia è sempre quella, maledetta e senza fine: l’incesto tra politica e ‘ndrangheta. Una lue che sta distruggendo la Calabria. L’ultima notizia è l’arresto di Franco Talarico, uno dei politici più potenti della regione. Un antico democristiano macinatore di preferenze, un uomo di potere ben radicato in quella poderosa macchina di potere che è la giunta regionale. Assessore al Bilancio della giunta Santelli, da mesi braccio economico dell’ignaro di tutto Nino Spirlì, il presidente facente funzione suo malgrado.
Talarico era un pilastro dell’Udc, il partito di Lorenzo Cesa, anche lui coinvolto nell’inchiesta della procura di Catanzaro. Secondo i pm diretti da Nicola Gratteri, Talarico era in buoni rapporti con alcune delle cosche di ‘ndrangheta più potenti della Calabria.
Lo faceva per i voti. Per i voti “agevolava” le “famiglie” e favoriva i loro affari. Non è l’unico scandalo che in questi mesi ha coinvolto i politici calabresi del centrodestra. Prima di Talarico era toccato al presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, Forza Italia, anche lui accusato di essere in stretti e confidenziali rapporti con i boss, e prima ancora a Domenico Creazzo e Alessandro Nicolò, di Fratelli d’Italia.
Calabria irredimibile. Terra che fa fatica a liberarsi di un ceto politico genuflesso agli interessi della ‘ndrangheta. Sì, genuflesso, e non è una metafora. Dieci anni fa le microspie dei carabinieri registrarono una vera e propria processione di politici che andavano a casa di Peppe Pelle, boss della famiglia Gambazza di San Luca, per chiedere voti. Qualcuno si inginocchiava e baciava la mano. In Calabria tra pochi mesi si voterà per eleggere un nuovo consiglio regionale e un nuovo presidente. I padroni dei partiti e dei voti sono già in movimento.
I “tavolini” già alla ricerca di accordi e accordicchi per spartirsi gli ultimi brandelli del potere. Il ceto politico che governa la Regione è unito nella difesa dei propri interessi. Sondaggi e umori popolari propongono due certezze: l’aumento dell’astensionismo, già al 57 per cento, e la vittoria della destra. E il centrosinistra? Il Pd non ha ancora un candidato, cerca l’alleanza con un Movimento Cinquestelle fortissimo alle ultime elezioni politiche, debolissimo alle ultime regionali, e spaccato.
Mentre il tempo passa inesorabile alla ricerca di un “campo largo” che si restringe sempre di più e si consuma in lunghissime ed inutili riunioni via web. Al momento Pd, sardine e parte della sinistra si trovano uniti solo su un fragoroso no. No alla candidatura di Luigi de Magistris.
Il sindaco di Napoli a fine mandato, già pm a Catanzaro e autore di inchieste giudiziarie che proprio quel sistema di potere volevano colpire, vuole guidare la Calabria. Si è candidato senza mediare con i partiti, la sua discesa in campo desta più di qualche perplessità, ed ecco arrivare il “no allo straniero”, si schierano le truppe sul Savuto trasformato nel Piave della politica calabrese.
Un suicidio politico, fatto di lunghissime e bizantine discussioni sul modo e sul metodo, sulla calabresità da difendere dall’estraneo invasore, e trattative che al bene comune fanno prevalere gli individualismi di aspiranti generali senza truppe. Nel frattempo, gli altri, i soliti, quelli che il potere lo decidono a tavolino con boss e massoni, vanno avanti. In attesa del prossimo blitz.
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