Per Giorgia Meloni deve essere una vera fatica la vita da presidente del Consiglio e allo stesso tempo candidata capolista di Fratelli d’Italia alle europee. Da un lato la necessità di presenziare agli eventi pubblici e rappresentare l’Italia. Dall’altro il bisogno di attaccare gli avversari.

Così ha riesumato i vecchi cavalli di battaglia della sua comunicazione: la critica all’Europa, le carezze al popolo dei no-pass, e qualche new entry, come l’attacco diretto degli «spettatori di La7», colpevoli di seguire programmi che non srotolano tappeti rossi al governo. Un salto di qualità: non più le liste di giornalisti sgraditi, ma viene direttamente bacchettato il pubblico di una rete televisiva.

Populismo e comizi

Meloni, nelle ultime ore, ha però fatto una scelta precisa: un passo in avanti verso la postura più populista, quella prediletta che ha favorito l’ascesa dal 2 per cento alla guida del paese. Ed è un ritorno al passato che la riporta nella comfort zone, preparando la lunga volata verso l’appuntamento di sabato, quello di chiusura della campagna elettorale a piazza del Popolo, a Roma.

Meloni è pronta all’unico vero comizio prima delle prossime elezioni. L’appuntamento, spiegano fonti a lei vicine, «lascerà il segno nell’ultima settimana di campagna elettorale». Parole da tifo organizzato, necessarie a galvanizzare la curva di accoliti. Le anticipazioni sul discorso scarseggiano, ma con i suoi strateghi la premier sta mettendo a punto l’elenco dei nemici che, nello storytelling della destra meloniana, ostacolano l’esecutivo. Il solito mix di poteri forti, quanto occulti, usati negli interventi quando serve far crescere il clamore. Con la leader di partito che prende definitivamente il sopravvento sulla presidente del Consiglio.

Del resto, le urne stanno diventando un pensiero ricorrente, quasi un’ossessione, a palazzo Chigi e a via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia. Sarà stata solo una coincidenza, ma appena sono stati divulgati sondaggi meno lusinghieri per il partito, la premier ha cambiato lo stile di comunicazione. Il Pd è in avvicinamento, almeno stando alle ultime rilevazioni pubblicate prima dello stop previsto per legge (due settimane dal voto).

Il timore di non bissare il risultato delle politiche del 2022 sta crescendo. E ha spinto a fare più rumore per essere “più Giorgia”, donna del popolo, e meno (aspirante) Angela Merkel, guida razionale per l’Europa.

Certo, dentro FdI non è scattato l’allarme, ma gli umori sono cambiati, virando sul nervosismo che la leader non ha fatto nulla per nascondere nelle ultime uscite. Così prima si accarezzava il sogno del 30 per cento per raggiungere soglie impensabili in passato per il partito erede della fiamma missina. Da qualche giorno prevale una maggiore cautela. L’asticella è stata abbassata al 28 per cento.

Lo scopo? Crescere in termini numerici rispetto a quasi due anni fa e mantenere comunque un significativo vantaggio sul Partito democratico, che nel frattempo ha cambiato la leadership con Elly Schlein. Il target è insomma fissato e in questo clima è stato confezionato lo spot elettorale “voto Giorgia perché è una del popolo” o “voto Giorgia perché si è fatta strada partendo dal basso”. Il core business della propaganda per le europee, quello della premier della porta accanto.

Intanto tra un «o la va o la spacca» sul premierato ma «chissene» se alla fine la riforma della Costituzione non dovesse essere approvata, l’aumento della carica di aggressività è tangibile. Meloni sta dando maggior ascolto ai suggerimenti del sottosegretario e ascoltatissimo consigliere, Giovanbattista Fazzolari, mente e braccio di ogni mossa propagandistica. Uno che preferisce la strategia d’attacco. Il video su TeleMeloni ha in particolare segnato lo spartiacque di una campagna elettorale finora trascinata stancamente tra un “ravvedimento operoso” sul redditometro (introdotto e sospeso in poche ore) e la difficoltà a mettere in campo una proposta dirompente, che possa spostare centinaia di migliaia di consensi.

Nel filmato diffuso sui social, gli “Appunti di Giorgia”, il monologo social riesumato ogni qualvolta occorre fare un po’ di propaganda, sono stati un attacco a testa bassa contro la sinistra. Il Pd è stato accusato di occupare la televisione pubblica, «non come noi, che siamo orgogliosamente diversi» ha ribadito Meloni, con attacchi diretti alla segretaria Schlein («dica quali libertà abbiamo limitato») e una rispolverata delle pulsioni No vax, no-pass: «Loro (la sinistra, ndr) hanno votato provvedimenti per chiudere la gente in casa».

Fino a una spruzzata di antieuropeismo d’antan con l’affondo sulla procedura di infrazione aperta sul funzionamento dell’assegno unico. La presidente del Consiglio promette battaglia.

Passerella siciliana

Certo, poi il ruolo istituzionale dà palcoscenici preziosi anche in ottica elettorale. Meloni ha fatto la passerella a Palermo dopo la firma dell’accordo per lo sviluppo e la coesione tra il governo e la regione Sicilia. «Arrivano 6,8 miliardi di euro», ha gongolato la presidente del Consiglio, «di cui 1,3 miliardi per il Ponte sullo Stretto».

Uno spot elettorale perfetto, dunque, insieme al governatore dell’isola, Renato Schifani, seguendo la rotta tracciata in passato.

Un esempio? A pochi giorni dalle regionali in Abruzzo è stato siglato l’accordo per la tratta ferroviaria Roma-Pescara, precedentemente definanziato dal Pnrr. Ecco allora un bis in salsa palermitana: «Non solo il Ponte, finanziamo oltre 150 progetti. Un miliardo complessivamente di questo accordo è destinato alle infrastrutture di trasporti». Insomma, più strade per tutti. Perché da capolista in tutte le circoscrizioni, Meloni è ben consapevole che ha bisogno anche del voto dei siciliani.

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