- Non si capisce perché gli individui siano liberi di scegliere di consumare alcool e sigarette e cannabis no. Chi detiene cannabis, a prescindere dall’uso che ne fa, viene pesantemente sanzionato.
- Depenalizzare la cannabis, avrebbe un effetto anche sul sistema carcerario, che costa ogni anno intorno ai tre miliardi di euro, una cifra enorme, che produce suicidi, e alti livelli di recidiva per chi torna in libertà, l’affinamento delle capacità delinquenziali in tanti che vi passano.
- Se per il piccolo spacciatore si prevedessero, invece del carcere, percorsi dedicati di recupero, si ridurrebbe non solo la pressione del sovraffollamento carcerario, ma anche quello sul sistema giustizia
La Costituzione mette la libertà al centro dello stare insieme: stabilisce che la libertà personale è inviolabile. La libertà è anche il perno dell’articolo 1, secondo cui l’Italia è una Repubblica democratica. Perché la democrazia funzioni, infatti, è necessario che le persone siano capaci di gestire la loro libertà, capaci di scegliere.
Diventare capaci di scegliere non si impara e non si insegna attraverso la minaccia di punizioni o la promessa di premi, ma attraverso una elaborazione culturale che sviluppi la capacità critica di capire cosa fare e cosa no; per essere liberi occorrere conoscere le alternative tra cui scegliere e saper discernere. Libertà è scelta personale, non imposizione dall’alto.
Se questo ragionamento è corretto, non si capisce sulla base di quale principio le istituzioni lo abbiano seguito in materia di alcool e tabacco ma non per la cannabis. Lo stato, infatti, consente ai cittadini di comprare alcolici e sigarette, pure se esistono dati medici che dimostrano quanto loro o i loro eccessi siano dannosi per la salute. Le persone, quindi, sono libere di scegliere se consumare questi prodotti, e quanto consumarne, facendosi deliberatamente o inconsciamente del male (ed eventualmente facendone anche agli altri).
Mi chiedo perché lo stesso principio non valga per la cannabis. I casi sono due. O si crede che le persone non sappiano scegliere se e quanto bere, fumare tabacco o cannabis oppure no, e allora si vietano tutte queste sostanze, oppure si crede che ne siano capaci, o possano diventarne capaci, e allora le si permettono tutte, dedicando competenze e risorse per educare le persone a un loro uso corretto. Voglio dire che se si consente l’acquisto di alcool e tabacco, non ha senso vietare quello della cannabis, che per altro ha controindicazioni mediche decisamente meno drammatiche.
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Legalizzare è controllare
Il problema di fondo sta nell’educazione degli individui a saper scegliere responsabilmente il se, il come e il quanto, esercitando così la loro libertà nella consapevolezza dei propri limiti. Su un piano generale, inoltre, non si può seriamente contestare che esistano relazioni tra criminalità organizzata e vendita di cannabis: legalizzando il prodotto e il suo consumo, con ferme limitazioni ai minorenni come per alcool e tabacco, si limiterebbero introiti e presenza della criminalità, tutelando nel contempo anche la salute dei consumatori. Legalizzare significa controllare il prodotto, evitando che chi ne fa uso sia esposto al consumo di sostanze la cui composizione non è sempre nota e può essere manipolata per aumentare la percentuale di thc per favorirne la dipendenza.
La nostra legislazione prevede che chi in qualunque modo si intrometta nel mettere cannabis a disposizione di altri sia punito, indipendentemente dal modo e dalla quantità. Non considera reato il suo uso, ma lo sanziona pesantemente. Chi consuma, ma anche chi comunque detiene per consumare (anche se poi non consuma), secondo la legge si vede sospendere la patente, il porto d’armi, il passaporto, il permesso di soggiorno per un periodo da uno a tre mesi (o il divieto di conseguirlo se extracomunitari).
Se l’assunto è che la cannabis influisce negativamente sulla salute di chi la consuma, ne deriva che chi fa un uso tale da creare problemi di salute dovrebbe essere curato piuttosto che subire le pesanti sanzioni amministrative previste. E non dovrebbe essere penalizzato il possesso di quantità che ora consentono l’arresto seppur destinate all’uso personale. Qui entriamo in un campo ulteriore, che riguarda l’uso del carcere. Non vorrei allargare troppo il discorso, ma credo sia dimostrabile che la restrizione della libertà serve solo nei confronti di persone pericolose, finché permane la pericolosità (e purché tutti i loro diritti che non confliggono con la tutela della collettività siano rispettati). Negli altri casi si tratta di esercizio della vendetta. Ma questo, come dicevo, è un altro discorso, pur se riguarda anche il piccolo spacciatore, che dovrebbe essere rieducato attraverso altri canali (appunto educativi) e non immesso nel circuito carcerario che non limita la recidiva e anzi spesso diventa scuola di delinquenza.
Per contestualizzare, qualche dato utile è fornito dalla relazione 2022 del governo al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze. Secondo la relazione la cannabis è la sostanza più utilizzata in Italia: corrisponde al 74 per cento di quelle sequestrate nel 2021 e il contrasto al suo commercio ha riguardato il 50 per cento delle operazioni antidroga.
Considerando che 12.371 denunce per reati di droga – il 41 per cento del totale – e il 75 per cento circa delle segnalazioni per uso personale riguardano la cannabis, se la sua legalizzazione venisse approvata i primi effetti si vedrebbero sul carcere, con taglio significativo degli ingressi legati al suo consumo. Va notato che gli arresti relativi alla cannabis sono stati 7.191, e che quasi tutte le segnalazioni hanno riguardato l’uso di cannabinoidi, con un pesante coinvolgimento di giovani sotto i 20 anni.
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I costi del carcere
Il sistema del carcere costa ogni anno intorno ai tre miliardi di euro, una cifra enorme, che produce suicidi, e alti livelli di recidiva per chi torna in libertà, l’affinamento delle capacità delinquenziali in tanti che vi passano. Se per il piccolo spacciatore si prevedessero, invece del carcere, percorsi dedicati di recupero, come in alcuni casi già ora avviene, si ridurrebbe non solo la pressione del sovraffollamento carcerario ma anche quella sul sistema giustizia, data anche dal numero di procedimenti penali riguardanti lo spaccio al minuto pendenti davanti ai nostri tribunali. Secondo i dati del ministero della Giustizia riferiti al 2020, infatti, la sola violazione dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti ha prodotto 92.875 procedimenti penali.
La scuola in carcere fa diminuire la recidiva
Il tema centrale, tuttavia, riguarda non la punizione a valle, ma la prevenzione a monte. Cosa c’è dietro il consumo di sostanze, siano alcolici, tabacco o cannabis? Disagio sociale e individuale, desiderio di fuggire dalle proprie condizioni, a volte soddisfazione di una specie di delirio di onnipotenza. Si tratta anche di richieste di soccorso, che andrebbero accolte come tali, diffondendo la consapevolezza che se si sbaglia si viene aiutati. Più che proibire acriticamente, per altro equiparando droghe leggere e droghe pesanti, lo stato ha il dovere di intervenire sulle cause che generano il ricorrervi.
(Testo raccolto da Giulia Merlo)
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