- Conte oggi a Napoli a caccia di popolo. Ieri c’era Letta, che chiama a raccolta i sindaci e il presidente della Regione Vincenzo De Luca.
- In Puglia e Calabria i candidati raccontano: «Un candidato Pd ammette sconsolato: «Te li senti crescere sotto i piedi».
- Boccia: «Il Pd ha rafforzatola strategia per il Mezzogiorno. Noi abbiamo gli amministratori, e abbiamo sindaci seri: in Campania sta succedendo come nel 2018, i Cinque stelle voteranno per Conte senza neanche sapere chi sono i loro candidati».
Di sondaggi non si può scrivere, ma in parlare sì, con giudizio, e Francesco Boccia, dalla macchina che da Caserta lo riporta nella sua Puglia, non gira intorno alla domanda sulla rimonta grillina al sud: «Una sensazione? Una certezza. La Lega è tornata il partito del nord, in Puglia e in Calabria quasi non tocca palla, e Conte cresce». In Campania, dove martedì Boccia ha raggiunto il segretario Enrico Letta, lo smottamento diventa una slavina: Forza Italia cala a favore del terzo polo, la Lega fatica, FdI si mangia i voti degli alleati.
La domanda è d’obbligo: e allora il Pd? «Il Pd ha rafforzato la sua strategia per il sud, abbiamo capito subito che stava succedendo qualcosa», spiega il responsabile enti locali, ex ministro ed ex (ma non tanto ex) ufficiale di collegamento fra Pd e M5s. «Noi abbiamo gli amministratori, che stanno lavorando come pazzi: vengo ora da Salerno, dove c’è il sindaco Carlo Marino che è anche presidente dell’Anci. Noi abbiamo sindaci seri: lì sta succedendo come nel 2018, i Cinque stelle voteranno per Conte senza neanche sapere chi sono i loro candidati. Nel paese abbiamo il 70 per cento dei sindaci, la nostra forza è il territorio. Noi ci siamo stati, ci siamo e ci saremo».
«Ci crescono sotto i piedi»
Mercoledì Giuseppe Conte è a Napoli. Il suo arrivo è preceduto da uno strombazzare grillino: «È stata una campagna elettorale entusiasmante, nella nostra regione il presidente Conte ha riempito le piazze e ha scaldato i cuori. In questa ultima tappa campana sarà tra la gente per parlare del nostro programma, della nostra visione di Paese e di società».
I consiglieri regionali Cammarano, Ciampi e Saiello e il coordinatore regionale Salvatore Micillo sono carichi a mille: «Con lui il movimento tornerà ad essere la prima forza politica in Campania». L’ex premier è venuto parecchie volte. mercoledì prima tappa in piazza Crociferi, poi passeggiata nel quartiere Sanità, pomeriggio a Torre del Greco, Acerra, Caserta, serata a Giugliano.
Martedì in città c’era Enrico Letta, che la sera prima si è presentato con il presidente della regione, Vincenzo De Luca, che al sud resta “la” certezza granitica per tutti i segretari del Pd, anche quelli riluttanti. In mattinata Letta è stato agli scavi di Pompei con il ministro della Cultura Dario Franceschini, poi ha incontrato gli amministratori a Salerno, poi con Pina Picierno, Stefano Graziano e Carlo Marino a Caserta, poi gli industriali. Gran finale a Portici, con Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani. Ma il fenomeno si percepisce in tutto il sud. In Sicilia la destra sarà avvantaggiata dal contemporaneo voto per la regione, dove Pd e Cinque stelle alla fine si presentano divisi. In Calabria un candidato del Pd ammette sconsolato: «Te li senti crescere sotto i piedi».
In Campania De Luca aveva avvertito per tempo il segretario che le elezioni non sarebbero state un pranzo di gala, al netto delle famose fritture di pesce da lui consigliate nel 2016 per “fluidificare” il voto al referendum voluto da Renzi. Quando l’alleanza giallorossa sembrava «ineluttabile» (copyright Franceschini) il presidente campano aveva teso una mano al M5s, ricacciandosi in bocca anni di battutacce.
Ora è tornato ai tradizionali lazzi ostili: «Ho la sensazione che il M5s sia tornato alle poesie e alla poesia del fallimento», il loro ritorno alle origini, dice, «serve a recuperare qualche decimale, ma non si capisce alla fine dove porti. Il parlamento che si è sciolto aveva una maggioranza parlamentare fortissima dei Cinque stelle ed è andato a finire dove è andato a finire».
Ma dove è andato a finire? Per il sud De Luca ha consigliato a Letta di concentrarsi su pochi punti programmatici di sicuro effetto: a Taranto, lo scorso 11 settembre, il segretario del Pd ha presentato una «Carta per il mezzogiorno», core business 300mila assunzioni nella pubblica amministrazione solo al sud. A Napoli il sindaco Gaetano Manfredi, a capo di un’alleanza giallorossa e amico personale di Conte, ha detto che voterà Franceschini, uno dei big nazionali schierati in regione. Ma anche qui, come in tutto il Mezzogiorno, la percezione della rimonta grillina non ha bisogno di sondaggi: che comunque circolano su WhatsApp. E confermano: per il Pd ora è fifa blu, anzi fifa gialla.
Il partito di Conte
Dallo stretto giro di Conte ci viene illustrata la strategia della rimonta: «Con la storia del secondo mandato, Grillo ci ha dato una grossa mano. Non ci sono più i Fico, le Taverna, gli incompetenti, le liti interne, non c’è più la classe dirigente che si è consumata stando in parlamento nelle alleanze. Niente più ambizioni personali, quelle che dal 33 per cento per due anni ci hanno inchiodato al 17. A Di Maio, poi, manderemo un mazzo di fiori. Ora il partito è ripulito e finalmente è il movimento di Conte, che da solo dà 3 o 4 punti».
Il reddito di cittadinanza è una bandiera, naturalmente, «ma è falso dire che ci votano solo per questo, ci siamo concentrati su pochi temi chiari: salario minimo, superbonus». Invece il reddito di cittadinanza conta, e parecchio. E Conte ci mette del suo. Sente il vento in poppa, ed esagera, certo di non pagare dazio, anzi. A Palermo ha scavalcato il limite della decenza contro Matteo Renzi: «Venga senza scorta a parlare con i cittadini», lo ha sfidato. La replica dell’altro ex premier, che rafforza la sicurezza nei suoi comizi: «Ti devi vergognare. Inneggi alla violenza, sei un mezzo uomo, è un linguaggio da mafioso della politica».
Il Pd si sgola per spiegare che è favorevole al reddito di cittadinanza, vuole «migliorarlo», non abolirlo. A Chiaiano Di Maio cerca di rivendicare la paternità del provvedimento: «Votare per Conte significa dare un voto alla Meloni perché è un voto non utile per batterla». Ma sul ponte sventola bandiera gialla, ed è un giallo grillino.
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