Da grande opportunità di riconquistare una regione industriale del nord, la Liguria sta diventando lo spauracchio del centrosinistra di Elly Schlein.

Solo fino a prima dell’estate, tutto sembrava andare per il verso giusto. Prima l’indizione di elezioni anticipate dopo le dimissioni del governatore Giovanni Toti all’indomani dell’indagine che ha annichilito il centrodestra in regione. Poi la disponibilità dell’ex ministro Andrea Orlando come candidato di unità, forte dei buoni rapporti con Giuseppe Conte. Infine la possibilità di sperimentare la nuova fisionomia del campo largo proprio in una regione in cui la vittoria sembrava a portata di mano, con la disponibilità a correre anche in una lista civica di Italia Viva.

Invece, progressivamente, hanno iniziato a materializzarsi i primi ostacoli: il via libera definitivo sul nome di Orlando è arrivato molto più tardi del previsto, anche rispetto ai desiderata del diretto interessato, e la coalizione nuova di zecca si è infine infranta sui veti incrociati. Il fine settimana appena trascorso, infatti, ha segnato la rottura definitiva: Matteo Renzi si è tirato ufficialmente fuori dalla corsa, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni hanno espresso in modo esplicito il loro veto sulla presenza di Italia Viva in coalizione non solo in Liguria, ma ovunque. «Ci fa perdere più voti di quanti ce ne porti», è il ragionamento di entrambi, che con il leader Iv hanno sempre avuto rapporti più che burrascosi.

La segretaria Elly Schlein ha deciso di non commentare a caldo l’ennesimo strappo, mandando avanti i due capigruppo: «Il Pd in questi giorni sembra l’unico partito interessato a non fare accordi né favori a Meloni», ha commentato il capogruppo in Senato, Francesco Boccia, a Repubblica, «basta con i giochini che indeboliscono il campo progressista e finiscono per rafforzare il governo». «Il campo largo non è in discussione», ha aggiunto la capogruppo alla Camera Chiara Braga al Corriere della Sera, «gli strappi delle ultime ore in Liguria sono difficile comprendere, le ragioni dell'impegno collettivo sono più forti». Per ora, dunque, il Pd ha preso atto delle mosse dei suoi potenziali alleati ma senza sbilanciarsi nell’appoggiare i veti di Conte né le richieste di aiuto di Renzi.

Liguria e Umbria

Il campo largo, insomma, è sempre più una tela di Penelope che la segretaria dem pazientemente cuce, nei territori come a livello nazionale, solo per vedersela strappare da quelli che tenta di mettere insieme. Con un effetto che sta iniziando a preoccupare i ranghi del Pd che ritenevano che la Liguria fosse il terreno ideale dove sotterrare le asce ideologiche e lasciare spazio alla concretezza, per riprendere la regione. Invece, proprio sulle spalle del candidato Orlando si è consumato uno scontro più nazionale che locale, con riflessi incalcolabili sull’esito del voto.

Se il centrosinistra è atavicamente affetto dall’incapacità di formare un’alleanza solida, è altrettanto dimostrato come gli elettori d’area progressista rifuggano le coalizioni litigiose. Esattamente come sta apparendo quella ligure. «Il timore è che la Liguria sia diventata strumento di trattativa per qualcosa d’altro, a Roma», era la preoccupazione che qualche settimana fa trapelava dallo staff di Orlando, e ora appare evidente come le regionali siano state usate come casus belli da Conte per espellere Renzi dal tavolo del campo largo.

Per converso, sta riprendendo quota l’entusiasmo del centrodestra, che ha candidato in regione il sindaco di Genova Marco Bucci, anche lui lambito ma non indagato nell’inchiesta che ha fatto cadere la giunta Toti. Il nome è in evidente continuità e Bucci, da primo cittadino, è un usato sicuro che può contare su una solida base elettorale dopo la vittoria al primo turno alle amministrative del 2022.

Del resto, i sondaggi disastrosi fino a prima dell’estate ora offrono uno spiraglio importante: secondo la rilevazione del 23 settembre di Tecnè, la coalizione di Orlando sarebbe al 50 per cento, quella di Bucci subito dietro al 47. Il margine di errore è del tre per cento, dunque potrebbe anche essere un testa a testa.

Sondaggi a parte, è evidente a tutti nel Pd che una partita che sembrava vinta facile ora si è complicata e forse anche compromessa. E lo stesso potrebbe avvenire anche in Umbria, altra regione al voto il 17 e 18 novembre insieme all’Emilia Romagna. L’ex regione rossa del centro Italia è l’altro obiettivo dei dem: qui la candidata del campo largo è la sindaca di Assisi Stefania Proietti, proveniente dall’esperienza civica. Il centrodestra ha ricandidato l’uscente leghista Donatella Tesei, ma con aspettative non buone. Da FdI, infatti, trapela nervosismo su un nome che in cinque anni di mandato non ha fatto breccia e che, se non fosse stato per equilibri interni al centrodestra, la premier Giorgia Meloni avrebbe volentieri sostituito.

Eppure, come per Orlando in Liguria, Anche Proietti potrebbe vedersi esplodere il campo largo davanti. Anche lei, infatti, ad oggi ha il sostegno di Italia Viva e non è chiaro se il veto posto da Conte nei giorni scorsi si estenda a cascata su tutte le future elezioni.

Il risultato, dunque, è che le partite regionali – in cui il centrosinistra puntava al tre a zero – possano subire il sabotaggio degli scontri nazionali tra leader.

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