I ministri Piantedosi, Salvini e Crosetto hanno firmato il decreto che intima alla nave di restare per il tempo necessario alle operazioni di assistenza, una frase per cui la Ong resta mentre Sos Humanity e Geo Barents preparano il ricorso al Tar. Per l’avvocato di Geo Barents Salerni siamo di fronte una «palese violazione dei diritti fondamentali di quelle persone, che versano in un illegittimo stato di privazione delle libertà»
La Humanity 1 dopo giorni è riuscita a ottenere lo sbarco a Catania di 144 migranti su 179 salvati nel Mediterraneo, non ha intenzione di lasciare in breve il porto, perché il decreto, ha fatto trapelare il team legale, non indica i tempi di sosta. I ministri dell’Interno Matteo Piantedosi, dei Trasporti, Matteo Salvini, e della Difesa, Guido Crosetto, il 4 novembre hanno firmato il decreto interministeriale con cui si concede la banchina di un porto, ma «è fatto divieto di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e sbarco» per individuare i casi di vulnerabilità e fragilità. Senza ulteriori specificazioni. Testo identico a quello emanato in queste ore per la Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere che ha ancora a bordo oltre 200 persone e sta valutando i prossimi passi. L’avvocato Arturo Salerni, del team legale della nave di Msf, sottolinea che la formulazione del testo è un profilo di cui terranno conto: «Questo è uno dei profili di indeterminatezza e illegittimità».
Sia la Ong tedesca Sos Humanity sia la francese Msf preparano le vie legali: «Il primo rimedio da porre da porre è Tar, ma valutiamo tutte le strade da percorrere in tutte le sedi. Nazionali ed europee».
Per l’avvocato siamo di fronte una «palese violazione dei diritti fondamentali di quelle persone, che versano in un illegittimo stato di privazione delle libertà». Per il momento puntano a sospendere il decreto.
I diritti dell’uomo
Per la Ong italiana Mediterranea Saving Humans, il testo è contrario al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, sanciti dalle convenzioni internazionali. «Non concedere un porto sicuro di sbarco e imporre di allontanarsi in acque internazionali ancora con naufraghi a bordo, si traduce di fatto in un respingimento di massa, in netta contrapposizione con la Convenzione di Ginevra e il principio di non respingimento».
Il Team Sanitario di Mediterranea Saving Humans, sottolinea poi il problema non solo legale ma anche etico-morale: «La selezione dei naufraghi meritevoli di uno sbarco in un porto sicuro si basa su criteri di tipo sanitario, ovvero sulla valutazione, da parte dei medici Usmaf (Unità di Sanità Marittima, Aerea e Frontiera), di condizioni di sufficiente vulnerabilità, tali da poter “meritare” lo sbarco».
Per la Ong è impossibile che «aver passato mesi e anni in Libia subendo torture, stupri e violenze di ogni tipo e con le conseguenti importanti ripercussioni sulla salute fisica e mentale, e l’essere costretti a tentare la traversata del Mediterraneo su imbarcazioni precarie e in condizioni di sovraffollamento senza cibo e acqua per giorni, tali da determinare in molti casi la morte a bordo per asfissia, trauma da schiacciamento, ipotermia, fame e disidratazione», non possa determinare una condizione di sufficiente vulnerabilità.
A tal proposito, hanno scritto, «ci preme ricordare alle colleghe e ai colleghi dell’Usmaf, che si stanno prestando in queste ore a tale disumana selezione sanitaria, che la nostra professione deve essere esercitata nel rispetto del codice deontologico. All’inizio del nostro esercizio, prestiamo giuramento di tutelare sempre la vita e la salute psico-fisica di ogni persona, senza discriminazione alcuna».
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