- Il segretario Matteo Salvini è oggetto di un attacco a tenaglia: uno guidato dalla base locale che vuole tornare alla «Lega vicino ai territori», un altro dai dirigenti che hanno visto svanire il tocco magico elettorale del leader.
- In Lombardia si stanno celebrando i congressi provinciali e il Comitato Nord di Bossi sta catalizzando il dissenso, che sta seriamente minando la storica monoliticità del partito.
- Moratti, invece, sta approfittando del dissidio, agganciando nelle sue liste molti ex leghisti. Un pessimo risultato leghista in Lombardia sarebbe un terremoto che si sentirebbe fino a Roma, nel governo Meloni.
La Lombardia, culla del leghismo salviniano, rischia di essere anche il luogo della sua definitiva caduta. Nella sua regione, il segretario Matteo Salvini è oggetto di un attacco a tenaglia: uno guidato dalla base locale che vuole tornare alla «Lega vicino ai territori», un altro dai dirigenti che hanno visto svanire il tocco magico elettorale del leader.
Le manovre degli antagonisti di Salvini procedono spedite e la data finale è fissata: il 14 febbraio, quando si conosceranno i risultati delle elezioni regionali in Lombardia.
Il candidato leghista, Attilio Fontana, è ancora il favorito e con tutta probabilità la vittoria sarà sua. La regione rimane saldamente a destra da trent’anni e gli avversari si presentano divisi: il Pd non ha accolto le lusinghe di Letizia Moratti - ex ministra dei governi Berlusconi che si considera l’unica in grado di vincere contro il centrodesrta – e ha candidato l’europarlamentare Pierfrancesco Maiorino.
La questione determinante per la sopravvivenza di Salvini sarà il risultato della Lega: nel 2018 aveva preso il 29,6 per cento, alle elezioni politiche di settembre il 13 per cento, facendosi più che doppiare da Fratelli d’Italia al 28 per cento (che nel 2018 viaggiava intorno al 3 per cento).
Se questo trend negativo si confermerà - nonostante la Lega esprima il candidato presidente - la debacle darebbe un colpo forse decisivo alla leadership di Salvini, dopo il tracollo all’8,8 per cento nazionale delle politiche. E il terremoto, da Milano, potrebbe avvertirsi fino a Roma e scuotere anche il governo Meloni.
I dissidenti interni
La rivolta che nasceva come silenziosa ma che ora non fa più nulla per rimanere sottotraccia è cominciata tra il Veneto e la Lombardia. Il progetto nazionale di Salvini, galvanizzato dal 34 per cento alle europee del 2019, ha solo aumentato sui territori la percezione che la Lega delle origini – quella fondata da Umberto Bossi che parlava solo di autonomia e amministrazione locale – sia ormai un ricordo.
Finchè Salvini macinava successi elettorali e con un partito in gran parte commissariato a livello territoriale, nessuno si azzardava a mettere in discussione la guida del Capitano. Poi, però, sono arrivati i fallimenti dalle amministrative del 2022 con la cocente sconfitta di Verona e il poco successo alle regionali siciliane del progetto pilota “Prima l’Italia – Lega per Salvini premier”, che nella mente di Salvini doveva diventare il nuovo grande contenitore nazionale in cui far confluire Forza Italia e tutte le dimensioni civiche di centrodestra.
In questo clima sono cominciati i congressi locali, dove ha preso forza la cosiddetta “fronda nordista”, che ha rotto la storica monoliticità di un partito senza correnti. A guidarla il “Senatur”, il fondatore Umberto Bossi: una voce che nemmeno Salvini ha potuto zittire e che offre una sponda utile anche ai presidenti di regione, in particolare il veneto Luca Zaia e il friulano Massimiliano Fedriga.
Il “Comitato Nord” di Bossi, fondato qualche mese fa, ha attirato amministratori, simpatizzanti e dirigenti e, ora che si stanno svolgendo i congressi locali sta mostrando tutte le crepe della “Lega per Salvini premier”.
Brescia e Bergamo hanno eletto un nuovo segretario “bossiano”. A Lodi, Cremona e Como sono invece stati eletti candidati unitari. A Varese, città simbolo dove la Lega è stata fondata nel 1984, il nuovo segretario è il sindaco di Gallarate Andrea Cassani, di area salviniana, ma ha vinto sul suo competitor per soli 12 voti.
«Il malessere è forte e sta tracimando», ha detto un amministratore lombardo, che sottolinea come i congressi stiano avvenendo quasi in segreto, con convocazioni all’ultimo minuto e pochissimo dibattito.
La corrente bossiana, tuttavia, sembra aver rianimato l’entusiasmo di molti militanti delusi: il 3 dicembre si è svolto il primo incontro ufficiale a Pavia e con Bossi c’erano i due coordinatori, Paolo Grimoldi e l'eurodeputato Angelo Ciocca. Alla chiamata hanno risposto oltre 500 leghisti, tra bandiere verdi e l’inno leghista del “Va pensiero”. Tra di loro, anche diversi consiglieri regionali: Massimiliano Bastoni, Roberto Mura, Andrea Monti, Simona Pedrazzi. Qui Bossi, 81 anni e provato dall’ultimo ricovero ospedaliero, ha spiegato che il comitato è nato per «salvare la Lega dalla perdità di identità».
All’appello mancano ancora le province di Lecco, Sondrio, Monza-Brianza, Milano e Ticino-Martesana e il segretario regionale, che però verrà eletto dopo le elezioni regionali.
Per questo il 12 e 13 febbraio, data del voto per il Pirellone, è diventato il momento chiave per la segreteria di Salvini: se l’esito elettorale sarà negativo per la Lega, potrebbe emergere un segretario di rottura anche per la regione.
Le mosse di Moratti
Moratti, che conosce bene la sua regione e gode di rapporti trasversali anche in area leghista, è la più decisa ad approfittare di questa crepa in un partito altrimenti granitico. L’ex assessora al Welfare è decisa a non fare passi indietro, nonostante la sua vittoria sia virtualmente impossibile senza l’appoggio del centrosinistra.
Sta lavorando a più liste in suo sostegno e da settimane si rincorre l’ipotesi di una lista “ex leghista”, composta proprio da chi negli anni si è allontanato dalla Lega o, per dissidi interni, teme di non essere ricandidato nelle liste di Fontana. Qualche nome già c’è: il consigliere regionale passato al Terzo polo, Gianmarco Senna, Davide Boni, Alberto Bernardelli, Christian Borromini, Monica Rizzi e Marco Tizzoni.
La controindicazione è quella del rischio di infastidire i militanti: per il sentire leghista, una lista parallela con richiami leghisti sarebbe un tradimento poco comprensibile. Meglio – è il ragionamento – disseminare i candidati nelle liste della candidata presidente.
In ogni caso, i candidati leghisti sono solo la punta dell’iceberg: sottotraccia, infatti, molti amministratori e dirigenti ancora formalmente nel partito potrebbero decidere di fare campagna silenziosa per Moratti, boicottando la lista ufficiale della Lega. L’obiettivo è chiaro: più deludente sarà il risultato della Lega nella sua regione simbolo, più forte sarebbe il contraccolpo per Salvini.
L’eterno candidato per prendere il posto di Salvini sarebbe come sempre già pronto: Fedriga, di cui in molti hanno notato le parole dopo i congressi provinciali: «Quando ci sono i processi democratici è ovvio che ci sia un confronto, è il bello della democrazia». Lui si è sempre mostrato restio e la sua discesa in campo sembra più l’auspicio di altri che la volontà sua. Tuttavia, l’esito lombardo aprirà comunque una nuova fase per la Lega: Salvini e Bossi ne sono consapevoli.
© Riproduzione riservata