Dopo la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è arrivato alla Camera il testo della manovra 2025, con 144 articoli che comprendono misure fiscali come il taglio del cuneo, le norme sulle pensioni e quelle sulla revisione della spesa. L’iter normativo porterà poi, entro il 31 dicembre, all’approvazione del ddl definitivo, per cui sono previste misure per circa 30 miliardi.

Tra gli aggiustamenti rispetto alle bozze dei giorni scorsi ci sono precisazioni sul riordino delle detrazioni: le spese sanitarie e quelle relative ai mutui per la casa saranno escluse dal tetto della revisione. È previsto un piccolo rialzo per le pensioni minime (2,2 per cento nel 2025 e 1,3 per cento nel 2026) e un’estrazione aggiuntiva del Superenalotto, ogni venerdì.

L’esame della manovra partirà quest’anno dalla Camera, in base al principio dell’alternanza. Le audizioni davanti alle commissioni Bilancio del parlamento dovrebbero iniziare il 28 ottobre, mentre il termine degli emendamenti sarà fissato tra l’8 e il 10 novembre. Tre i relatori di maggioranza ci sono Ylenja Lucaselli per Fratelli d’Italia, Mauro D’Attis per Forza Italia e Silvana Comaroli per la Lega.

Se lo scorso autunno i parlamentari di maggioranza avevano il mandato di non presentare emendamenti per non stravolgere l’impianto della legge, è difficile che lo schema si ripeta anche quest’anno, alla terza manovra del governo Meloni. Una legge che non presenta grosse novità in tema di pensioni (a cui riserva 500 milioni), con la conferma degli strumenti per la flessibilità in uscita e qualche incentivo per chi resta al lavoro.

Ritocco alle minime

Nel 2025 non scatteranno tagli alle rivalutazioni. La bozza depositata alla Camera chiarisce che dal prossimo anno si tornerà ad applicare il meccanismo a scaglioni – con penalizzazioni progressive – previsto dalla legge 388 del 2000. La norma prevede una rivalutazione al 100 per cento per gli importi fino a 4 volte il minimo, al 90 per cento per la quota eccedente tra 4 e 5 volte e al 75 per cento per la quota eccedente 5 volte il minimo.

Da gennaio l’aumento delle pensioni minime non sarà più del 2,7 ma del 2,2 per cento (anziché del 2,5 come si era detto nei giorni scorsi). Nel 2026 l’incremento previsto sarà poi dell’1,3 per cento. Nel 2025 le pensioni più basse passeranno così da 614,77 a 617,9 euro: solo tre euro in più, come ha notato il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, che ha parlato di «una mancia da dieci centesimi al giorno». Qualcosa potrà comunque cambiare in sede parlamentare; a crederci è soprattutto Forza Italia, che ha fatto delle pensioni minime un suo cavallo di battaglia.

Quota 103 e Ape sociale

L’articolo 24 della legge conferma anche per il prossimo anno – con le restrizioni già in vigore – alcune delle misure esistenti in tema di flessibilità in uscita, con la proroga di Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Come è noto, Quota 103 prevede la possibilità di andare in pensione in anticipo, con 62 anni di età e 41 di contributi versati, imponendo però il ricalcolo contributivo. Nel 2024 all’Inps sono arrivate circa 7mila domande per accedere a questa misura, molte meno delle 17mila previste nelle stime iniziali.

L’Ape sociale è invece un anticipo pensionistico che può essere ottenuto, una volta raggiunti i 63 anni e cinque mesi di età, dai lavoratori svantaggiati: disoccupati, caregiver, persone con invalidità (almeno del 74 per cento) e almeno 30 anni di contributi, o impiegati in attività usuranti (con almeno 36 anni di contributi). Grazie a Opzione donna, invece, le lavoratrici possono andare in pensione a 61 anni di età (60 per chi ha un figlio e 59 per chi ne ha più di uno) con 35 anni di contributi.

Incentivi per chi resta

Eppure non manca qualche novità di segno opposto al pensionamento. Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo hanno confermato il mantenimento e l’estensione del cosiddetto bonus Maroni, il meccanismo che incentiva chi intende restare al lavoro anche dopo aver maturato i requisiti per andare in pensione. «Vogliamo spingere i lavoratori a rimanere in attività, ma solo su base volontaria», ha precisato il ministro.

Anche nel 2025 i dipendenti in possesso dei requisiti per la pensione anticipata potranno, se restano in servizio, chiedere al datore di lavoro di trasformare in stipendio la quota di contributi a loro carico: è il 9,19 per cento della retribuzione, che quest’anno (ecco la novità) sarà detassato. Il meccanismo sarà esteso ai dipendenti pubblici che vorranno restare fino a 70 anni per «attività di tutoraggio e di affiancamento ai neoassunti», per cui verrà meno l’obbligo di andare in pensione a 65 anni.

Previdenza complementare

All’articolo 28 della legge spunta anche la possibilità di usare i fondi integrativi alimentati con il Tfr per consentire di lasciare il lavoro a chi ha raggiunto i 67 anni di età ma non ha raggiunto l’importo dell’assegno sociale con il sistema contributivo. Tutto lascia pensare che la misura riguarderà poche persone, dato che proprio chi ha stipendi più bassi tende a iscriversi meno alla previdenza complementare.

Restano invece ai margini della manovra gli sforzi per irrobustire la copertura previdenziale dei più giovani. Allo studio c’è un mini-piano per rendere più appetibile la previdenza integrativa, che sarà maggiormente raccordata alla previdenza obbligatoria, oltre a una campagna informativa su «potenzialità e vantaggi delle forme complementari». Contrariamente alle attese, nel testo della manovra non è stata inserita l’introduzione di un semestre di “silenzio assenso” per destinare il Tfr ai fondi pensionistici.

Quello che non c’è

Sul fronte pensioni, la legge di Bilancio va quindi a replicare le misure di un anno fa e di fatto allontana la rivoluzione invocata da più parti per la sostenibilità del sistema. In questo senso, la manovra fa più notizia per ciò che non contiene che per i suoi contenuti: non ci sono misure più stringenti ma non c’è neanche l’abolizione della legge Fornero, storica promessa del leader della Lega, né la Quota 41 tanto cara a Matteo Salvini.

«Nessuno ha mai detto che avremmo abolito la Fornero in un giorno: il superamento era e resta graduale. Forse qualcuno non si è accorto che abbiamo rifinanziato Quota 103, Opzione donna e l’Ape sociale, tre forme di flessibilità importanti. Noi abbiamo un orizzonte lungo», ha detto a Domani il sottosegretario all’Economia Federico Freni. A parole Quota 41 (magari in versione light) resta un traguardo possibile, anche se ora si fatica pure a confermare lo status quo.

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