È approdata in Consiglio dei ministri il 15 ottobre, in anticipo rispetto a quanto previsto, la legge di Bilancio 2025. Il governo ha accelerato l’esame del testo della manovra, che sarà presentata alla Camera (da dove quest’anno parte la sessione di bilancio) entro il 21 ottobre. L’iter normativo porterà poi, entro il 31 dicembre, all’approvazione del ddl definitivo, per cui servono coperture per 30 miliardi.

Non tutte le risorse sono al loro posto ma una mano, come ogni anno, è arrivata dal decreto fiscale collegato alla manovra, che serve anche ad anticipare alcune spese – dall’adeguamento delle pensioni al bonus Natale – per liberare risorse. Dal Cdm è arrivato il via libera a questo testo e al Documento programmatico di bilancio (Dpb), la cornice della manovra inviata alla Commissione europea.

Se lo scorso autunno i parlamentari di maggioranza avevano il mandato di non presentare emendamenti per non stravolgere l’impianto della legge, è difficile che lo schema si ripeta anche quest’anno, alla terza manovra del governo Meloni. Una legge che non presenta grosse novità in tema di pensioni (a cui riserva 500 milioni), con la conferma degli strumenti per la flessibilità in uscita e qualche incentivo per chi resta al lavoro.

Il costo della vita

Nel 2025 non scatterà alcun taglio alle rivalutazioni. Il governo non ha fatto piena chiarezza, ma a quanto si è capito dovrebbe applicare il meccanismo a scaglioni – con penalizzazioni progressive – previsto dalla legge 388 del 2000. La norma prevede una rivalutazione al 100 per cento per gli importi fino a 4 volte il minimo, al 90 per cento per la quota eccedente tra 4 e 5 volte e al 75 per cento per la quota eccedente 5 volte il minimo.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha poi detto che le pensioni minime manterranno una maggiorazione del 2,5 per cento sulla rivalutazione all’inflazione: i trattamenti più bassi potrebbero quindi salire a 621 euro dai 615 dell’attuale assegno. Un aumento di soli sei euro, ma non è escluso che in sede parlamentare si arrivi a 630 euro; a crederci è soprattutto Forza Italia, che negli anni ha fatto delle pensioni minime un suo cavallo di battaglia.

Quota 103 e Ape sociale

Anche per il prossimo anno si confermano – con le restrizioni già in vigore – alcune delle misure esistenti in tema di flessibilità in uscita, con la proroga di Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Come è noto, Quota 103 prevede la possibilità di andare in pensione in anticipo, con 62 anni di età e 41 di contributi versati, imponendo però il ricalcolo contributivo. Nel 2024 all’Inps sono arrivate circa 7mila domande per accedere a questa misura, molte meno delle 17mila previste nelle stime iniziali.

L’Ape sociale è invece un anticipo pensionistico che può essere ottenuto, una volta raggiunti i 63 anni e cinque mesi di età, dai lavoratori svantaggiati: disoccupati, caregiver, persone con invalidità (almeno del 74 per cento) e almeno 30 anni di contributi, o impiegati in attività usuranti (con almeno 36 anni di contributi). Grazie a Opzione donna, invece, le lavoratrici possono andare in pensione a 61 anni di età (60 per chi ha un figlio e 59 per chi ne ha più di uno) con 35 anni di contributi.

Incentivi per chi resta

Eppure non manca qualche novità di segno opposto al pensionamento. Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo hanno confermato il mantenimento e l’estensione del cosiddetto bonus Maroni, il meccanismo che incentiva chi intende restare al lavoro anche dopo aver maturato i requisiti per andare in pensione. «Vogliamo spingere i lavoratori a rimanere in attività, ma solo su base volontaria», ha precisato il ministro.

Anche nel 2025 i dipendenti in possesso dei requisiti per la pensione anticipata potranno, se restano in servizio, chiedere al datore di lavoro di trasformare in stipendio la quota di contributi a loro carico: è il 9,19 per cento della retribuzione, che quest’anno (ecco la novità) dovrebbe essere detassato. Il meccanismo potrebbe essere esteso ai dipendenti pubblici che volessero restare fino a 70 anni, per cui verrà meno l’obbligo di andare in pensione a 65 anni.

Previdenza complementare

Restano ai margini della manovra gli sforzi per irrobustire la copertura previdenziale dei più giovani. Allo studio c’è un mini-piano per rendere più appetibile la previdenza complementare, che sarà maggiormente raccordata alla previdenza obbligatoria. Il governo prevede l’introduzione di un semestre di “silenzio assenso” per destinare il Tfr ai fondi pensionistici, oltre a una campagna informativa incentrata su «potenzialità e vantaggi delle forme integrative».

Quello che non c’è

Sul fronte pensioni, la legge di Bilancio va quindi a replicare le misure di un anno fa e di fatto allontana la rivoluzione invocata da più parti per la sostenibilità del sistema. In questo senso, la manovra fa più notizia per ciò che non contiene che per i suoi contenuti: non ci sono misure più stringenti ma non c’è neanche l’abolizione della legge Fornero, storica promessa del leader della Lega, né la Quota 41 tanto cara a Matteo Salvini.

«Nessuno ha mai detto che avremmo abolito la Fornero in un giorno: il superamento era e resta graduale. Forse qualcuno non si è accorto che abbiamo rifinanziato Quota 103, Opzione donna e l’Ape sociale, tre forme di flessibilità importanti. Noi abbiamo un orizzonte lungo», ha detto a Domani il sottosegretario all’Economia Federico Freni. A parole Quota 41 (magari in versione light) resta un traguardo possibile, anche se ora si fatica pure a confermare lo status quo.

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