La premier ha raccolto l’idea del Mef: blindare l’iter della legge di Bilancio imponendo il silenziamento a deputati e senatori. Cade l’ultimo baluardo delle prerogative parlamentari, l’unico provvedimento su cui incidevano ancora un po'ì. «Intollerabile», sottolineano gli esperti.
L'ordine è partito, perentorio: il silenziamento al parlamento scatta anche sulla manovra, con la forma del diktat ”emendamenti zero”, rivolto ai capigruppo della maggioranza.
È l’ultimo baluardo che cade dietro la smania di accentramento che traduce l’ossessione del controllo della destra. E si completa lo spostamento degli equilibri istituzionali sempre più palese: Camera e Senato svuotati dalle loro funzioni. Altro che premierato forte, insomma. La riforma costituzionale è avvenuta in silenzio.
Senza emendamenti
Oggi in consiglio dei ministri sarà discusso e approvato lo schema della legge di Bilancio. Un intervento di circa 22 miliardi di euro o poco più. A Palazzo Chigi sarà esaminata la traccia dell’articolato, che sarà cesellato nei prossimi giorni negli uffici del Mef.
Un testo a prova di emendamento. L’obiettivo è quello di scrivere e ultimare il provvedimento entro una settimana, massimo dieci giorni, in modo da inviarlo al Senato per avviare l’iter quanto prima. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato chiaro: «Auspico una sessione di bilancio rapida e fruttuosa». Traducendo il suo lessico felpato, non gradirà intoppi né rallentamenti. Il Mef vuole andare di corsa, grazie alla sponda di Palazzo Chigi.
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha già catechizzato i parlamentari di Fratelli d’Italia: nessuno si sogni di presentare grappoli di emendamenti, nemmeno a titolo personale, per soddisfare simbolicamente le richieste dei territori. Qualche eccezione può esserci, a patto sia concordata. Agli alleati, invece, la premier ha rivolto l’invito a ridurre al massimo la quantità di proposte.
Prevista una stretta pure sulla circolazione delle bozze: l’ordine è quello di evitare la proliferazione di testi provvisori che finiscono per alimentare un clima di confusione. Un catenaccio totale, che riduce, o azzera, il margine di azione di deputati e senatori. Pur di evitare gli assalti alla diligenza e le bandierine piazzate da singoli parlamentari, la manovra sarà il passaggio definitivo dello stravolgimento della Costituzionale: il potere legislativo si sommerà a quello esecutivo.
«Un conto è proteggere la propria legge di bilancio dal rischio che, tramite gli emendamenti, pure di maggioranza, vi siano squilibri ed eccessi di bilancio. Un conto è, sostanzialmente, annichilire la funzione del parlamentare. Se anche gli emendamenti della maggioranza vengono visti come un ostacolo, immaginiamo cosa rimane da fare per un parlamentare di opposizione», dice a Domani Francesco Clementi, professore di diritto pubblico e comparato all’università La Sapienza di Roma.
Certo, la dinamica non è iniziata con Meloni. «Nel 2018 il Pd presentò un ricorso alla Corte costituzionale per denunciare la deriva», ricorda Andrea Pertici, docente di diritto a Pisa. Solo che dopo si è andati di male in peggio. Il ruolo del parlamento è stato depotenziato. Il confronto è stato spesso compresso e gli abusi passati hanno spalancato le porte al colpo finale targato Meloni.
Onorevoli spettatori
I parlamentari completano così la metamorfosi da legislatori a spettatori schiaccia-bottoni. «Sarà garantito all’opposizione un piccolo fondo per gli emendamenti», sostengono comunque fonti di maggioranza.
Una mancetta per provare a sedare le proteste, che scatteranno comunque di fronte a una dotazione risicata: lo scorso anno ammontava a circa 400 milioni di euro per soddisfare gli appetiti di tutti gli emendamenti a Montecitorio. Quest’anno la cifra sarà dimezzata. Un dato che corre forte è invece quello delle questioni di fiducia poste dal governo sui vari provvedimenti: il contatore a inizio ottobre segnava numero 31. In meno di un anno, la media è superiore a 2,5 al mese, compresi i periodi di pausa dei lavori. La causa risiede nel diluvio di decreti che vengono girati alle Camere.
Secondo un dossier di +Europa la destra è quota uno ogni 8 giorni. «L’uso-abuso della decretazione d’urgenza – sottolinea Clementi - è talmente intenso nella sua ritmica e irrispettoso della dinamica parlamentare nei suoi modi, perché sempre più spesso il governo consuma addirittura il tempo per rispondere agli emendamenti dei parlamentari con i suoi pareri, anche quelli di maggioranza, impedendo nei fatti la discussione. Così rende la situazione sempre più grave. Quasi intollerabile».
La spirale diventa dunque inarrestabile. Per evitare la decadenza dei decreti, per forza di cose, occorre blindare l’iter: l’approvazione deve avvenire entro 60 giorni dal via libera a Palazzo Chigi. E a catena si approda quello che viene definito “monocameralismo di fatto”: uno dei due rami del parlamento esamina e modifica il testo, l’altro si limita solo ad apporre il bollino dell’approvazione. Senza nemmeno un reale confronto in commissione.
Premierato fortissimo
«Con questa legge di Bilancio si fa un passo più in là», evidenzia Pertici. Il risultato? In Transatlantico ormai i deputati si aggirano sconsolati per il loro ridimensionamento, a Palazzo Madama fanno il minimo indispensabile nell’attesa dell’ennesimo decreto da convertire. A chi chiede cosa si possa fare, la gran parte allarga le braccia sconsolata. «Va così…».
Eppure, Meloni continua a rivendicare la necessità di modificare l’architettura istituzionale della Repubblica per rafforzare il ruolo del governo. Punta al premierato forte, almeno a parole. Un’ulteriore concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo. Al momento è solo una wishlist governativa. La ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati, aveva lavorato a delle bozze di cui si sono perse le tracce.
«Ma il rafforzamento dell’esecutivo è già nei fatti – ricorda Pertici – e andrebbe peraltro considerato che nei regimi presidenziali è fondamentale il rafforzamento dei poteri del parlamento. Quel sistema si tiene su due forze: la prima del presidente e la seconda del parlamento, che esercita il massimo della propria funzione proprio sul bilancio per controllare il governo. Tanto per fare un esempio, negli Stati Uniti si verifica lo shutdown con l’amministrazione che deve adeguarsi al parlamento». In Italia, invece, si mette la museruola sugli emendamenti
© Riproduzione riservata