- Massonico è diventato col tempo sinonimo di opacità, di trame oscure. A volte, però, c’è l’impressione che il termine “massoneria” venga usato a caso, a mo’ di spauracchio.
- Di certo c’è che, di fronte a fatti che potrebbero destabilizzare il sistema c’è chi sente il dovere di appellarsi alla ragion di stato, ossia di insabbiare.
- Finché ci sarà spazio per zone di opacità, per poteri sotterranei, la democrazia sarà sempre in pericolo.
La parola “mistero”, dal greco mystérion, significa “rito segreto”, “dottrina per iniziati”. Un concetto che rimanda immediatamente all’idea di massoneria. Perché attorno a queste parole, mistero e massoneria, ha ruotato e continua forse a ruotare parte della vita pubblica del nostro paese.
Massonico è diventato col tempo sinonimo di opacità, di trame oscure. «Quando c’è qualcosa che non si capisce vuol dire che lì dentro c’è una massoneria che sta lavorando» ha osservato Sandra Bonsanti, decana del giornalismo ed ex deputata, in un’intervista del 2021 a Il Venerdì di Repubblica parlando del suo libro Colpevoli, scritto con la giornalista d’inchiesta Stefania Limiti e dedicato a Licio Gelli, Giulio Andreotti e alla P2. Di fronte ad alcuni arresti eccellenti nel 1974 Guido Carli, governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975, commentò: «Quei giudici non hanno il senso dell’establishment».
Il dovere di insabbiare
È sempre stato così: di fronte a fatti che, si dice, potrebbero destabilizzare il sistema c’è chi sente il dovere di appellarsi alla ragion di stato, ossia di insabbiare.
È il motivo per cui Arnaldo Forlani, presidente del Consiglio nei giorni in cui infuriava lo scandalo della P2 esitò a rivelare i nomi degli iscritti alla loggia coperta (esitazione che lo obbligò poi a dimettersi).
«La classe dirigente è stata sempre la stessa, non c’è mai stato un prima e un dopo Gelli» ha osservato Stefania Limiti. Si direbbe il modus operandi, sempre sotterraneo, del potere di casa nostra. Una specialità italica? Perché in Italia tanti misteri? Per restare alla storia recente, Ustica, l’“armadio della vergogna”, il sequestro Moro, l’Italicus, la strage di Bologna, Gladio, il golpe Borghese, la P2, la tragica fine di Enrico Mattei, Roberto Calvi, Michele Sindona, Mino Pecorelli, Mauro de Mauro.
Il potere aiuta sé stesso
Se è vero che l’obiettivo della P2 era «governare senza essere al governo», infiltrando i propri uomini nelle istituzioni e nei gangli della società civile, oggi le cose sembrerebbero andare non molto diversamente.
Sono in molti a ritenere che le linee direttrici della politica nazionale sarebbero tuttora progettate altrove e in modo niente affatto trasparente: per esempio «nei santuari dell’oligarchia finanziaria e industriale, che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, Banca mondiale, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali».
Sono parole di Gioele Magaldi, ex maestro venerabile della loggia Monte Sion di Roma ed esperto di super-logge transnazionali. Insomma, una svolta oligarchica a livello planetario «avrebbe svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore affidate a docili esecutori», da Romano Prodi a Mario Monti, fino a Mario Draghi.
Parrebbe una forzatura, a meno di voler sostituire l’espressione “massoneria” con termini più presentabili: “lobby”, “oligarchie”, “consorterie”, “establishment”, “poteri forti”. Dalla notte dei tempi il potere aiuta sé stesso. È un principio di autoconservazione.
Uno spauracchio
«Che nel 2011 i poteri forti della finanza in combutta con i burocrati di Bruxelles misero in atto un colpo di stato che portò alle dimissioni di Silvio Berlusconi, ormai è cosa nota» ha scritto Sergio Rame sul Giornale del 23 marzo 2015. «Da quel giorno, a palazzo Chigi, non siede più un premier democraticamente eletto».
Anche l’elezione di Sergio Mattarella sarebbe avvenuta sulla base di un patto di sapore massonico tra Berlusconi e Matteo Renzi, secondo il giornalista Ferruccio Pinotti, autore di Potere massonico, che ricorda come a denunciarlo sarebbe stato nientemeno che il direttore del Corriere della sera Ferruccio de Bortoli in un celebre fondo del 24 settembre 2014 dal titolo Il nemico allo specchio: «Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria». Forse è tutto vero.
Non possiamo fare a meno di osservare però che, anche sfilando il termine “massoneria” dal discorso, il ragionamento si regge lo stesso, come se quell’espressione venisse usata impropriamente, a mo’ di spauracchio.
A volte si ha l’impressione che dietro le quinte sia in atto nient’altro che una lotta tra poteri e contropoteri, di cui sappiamo poco e al cui cospetto ci sentiamo spettatori inermi.
La P2 era un’altra cosa
Una cosa è certa: tra i vizi atavici del nostro paese c’è senz’altro il clientelismo, una forma blanda di relazione massonica verso la quale si è soliti mostrare indulgenza. E come tacere dei giochi sotterranei per le nomine nelle procure chiave (si vedano le recenti rivelazioni dell’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara) e nei posti di vertice dello stato e delle aziende pubbliche? Non odorano anche quelli di massoneria?
Certo la P2 era un’altra cosa. La P2 produceva metastasi continue nelle istituzioni. Come dimenticare gli anni dello stragismo, del terrorismo nero? Piazza Fontana, Peteano, Italicus, piazza della Loggia, stazione di Bologna.
L’infausta stagione della “strategia della tensione”, dei servizi segreti deviati, delle pesanti ingerenze della Cia, della collusione stato-mafia? Un terreno di coltura nel quale la P2 parve giocare un ruolo determinante.
Quando il 17 marzo 1981 venne scoperto a Castiglion Fibocchi, nell’enclave aretina di Licio Gelli, un elenco di 962 nomi di appartenenti alla loggia, scoppiò il finimondo. Alla lista difatti risultavano iscritti, tra gli altri, quarantaquattro parlamentari, due ministri, otto ammiragli, ventidue generali dell’esercito e numerosi magistrati, funzionari pubblici, giornalisti di spicco, esponenti del gotha finanziario.
Una estesa rete di potere, con al centro il maestro venerabile, che per oltre un decennio avrebbe tenuto in pugno il nostro paese. Un vertiginoso giro di traffici illeciti, affari miliardari, ricatti, acquisizioni, manovre sotterranee volte a inquinare e condizionare il normale processo democratico.
Sarà lo stesso Gelli a confessare: «Con la P2 avevamo l’Italia in mano. Con noi c’erano l’esercito, la guardia di finanza, la polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla loggia».
Licio Gelli
Ma era davvero lui il capo supremo, il grande burattinaio, o sopra di lui c’era un livello politico? Furono in molti a riconoscere che a Gelli dopotutto mancava il physique du rôle.
Celebre una frase di Giulio Andreotti: «Ora c’è tutta questa ipotesi che Gelli governasse più che nella stanza dei bottoni. Io non me ne sono mai accorto. Se lo ha fatto vuol dire che aveva una straordinaria capacità, visto che nella stanza dei bottoni c’ero io». Resta da chiedersi quali fossero i reali obiettivi della P2. Un maestro del giornalismo come Giorgio Bocca ebbe a scrivere: «L’operazione guidata dal venerabile Gelli non era golpista nel senso eversivo della parola, rientrava nella tradizione italiana del golpismo morbido, mirato a uno spostamento a destra nella nostra politica».
Più netta Sandra Bonsanti: volevano «cambiare la struttura del potere in senso autoritario. Eliminare chiunque si opponesse al loro disegno. Hanno seminato il loro cammino di morti. Sono stati gli anni in cui sono stati uccisi Giorgio Ambrosoli, Aldo Moro, Alberto Dalla Chiesa a pochi giorni da Roberto Calvi. Gli anni delle stragi».
Già, e quel che è peggio è che i responsabili di quella fosca stagione ne sono usciti quasi tutti indenni. Gelli è stato accusato dei più atroci delitti, ma non ha pagato un conto salato. Le poche condanne le ha scontate per lo più ai domiciliari. Insomma, non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo con quella parte oscura della nostra storia recente. Finché ci sarà spazio per zone di opacità, per poteri sotterranei, la democrazia sarà sempre in pericolo.
Gianluca Barbera è nato a Reggio Emilia nel 1965 e vive tra Siena e Firenze. È autore del romanzo Il segreto del Gran Maestro (Chiarelettere)
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