Mentre la regione continua a bruciare, il presidente Schifani ringrazia Salvini e Santanchè. Perché le alleanze sono sempre più importanti. Anche dei disastri e della crisi climatica
Spenti gli ultimi focolai, iniziata la conta dei danni, rimane un ultimo fuoco, lento, in Sicilia. È quello che sta consumando pian piano il presidente della Regione, Renato Schifani. Ex presidente del Senato, scelto come punto di caduta di un centrodestra diviso in pratica su tutto, Schifani in questi mesi ha adoperato la sua pazienza e le sue capacità, che furono note e care a Silvio Berlusconi, per disattivare tutte le micce nella coalizione che, sulla carta, lo sostiene.
Ha isolato l’altro pupillo del fu Silvio, Gianfranco Miccichè, stemperato il “vogliamo tutto” di Fratelli d’Italia, giustificato le operazioni trasformiste della Lega, digerito il ritorno di due padri nobili, se così vogliamo chiamarli, ex presidenti della Regione, tornati a verginità politica dopo i guai giudiziari: Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro.
I due hanno allungato le mani su quel che resta di Forza Italia, destinata a diventare un Vietnam, dato che non c’è più il leader maximo. Schifani cerca di difendere il fortino, fa clamorosi colpi che neanche al calciomercato, come il doppio acquisto dei suoi ex avversari alla presidenza, l’ex grillino Giancarlo Cancelleri, e Caterina Chinnici, la figlia del magistrato Rocco.
Una Sicilia fragile
Sabato, 29 luglio, saranno quaranta anni dal massacro per mano mafiosa del giudice Rocco Chinnici. “Palermo come Beirut” fu il titolo più famoso di quei giorni. E “Sicilia come l’inferno”, potrebbe essere il titolo di questi ultimi giorni.
Perché è quello che si vive in questi giorni, il caldo che manda in tilt la regione, un condizionatore (o addirittura il cavo di una stampante) che per un corto circuito manda in fumo l’intero aeroporto di Catania, e sottosopra l’intero sistema dei trasporti. È rovesciata pure la cartina: sei convinto di atterrare a Catania, e invece sei dall’altra parte dell’isola, a Trapani, e quindi devi fare cinque ore in pullman per arrivare a destinazione.
E infine gli incendi che hanno divorato ettari ed ettari e creato danni per almeno 60 milioni di euro. E di fronte a tutto questo la Sicilia si è scoperta fragile, impreparata, mal amministrata.
E, nella cenere, si resettano gli equilibri per la politica che verrà.
Ringraziamenti
Cose che sono accadute: Schifani che, nel caos delle prime ore, con Catania senza aeroporto, senza acqua, senza luce, e con le temperature record di 48 gradi, ringrazia… Matteo Salvini. Per cosa, non si è capito bene.
All’inizio si pensa agli incendi, poi in realtà viene annunciata la convocazione di un tavolo tecnico per l’aeroporto di Catania, poi ancora è Salvini a spiazzare tutti: la Sicilia brucia, lui parla del ponte sullo Stretto. Quella tra Salvini e Schifani è ormai un’alleanza di ferro. I due si sentono su tutto, l’uno spalleggia l’altro, e Schifani si è anche tenuto dentro l’assessore leghista alla formazione, Mimmo Turano, che a Trapani aveva fatto campagna elettorale per il centrosinistra, e del quale Fdi voleva la testa.
Altro ringraziamento, sempre di Schifani, con tanto di nota ufficiale, è per la ministra Daniela Santanchè. Si è appena salvata al Senato, e il presidente della Regione sente che prima ancora della conta dei danni, prima ancora dello stato d’emergenza, bisogna dichiarare che è lei la salvatrice della Sicilia, per “uno stanziamento di dieci milioni di euro per il comparto turistico”.
Assenza di strategia
Cose che non sono accadute: nessuna parola di Schifani per Nello Musumeci, ministro della Protezione civile. Tra i due ormai è guerra. Il ministro non perdona a Schifani di non averlo ricandidato alla guida della Sicilia, anzi di avergli rubato il posto, relegandolo al ruolo di ministro dei Guai.
Il secondo sta facendo a pezzi, giorno dopo giorno, il castello di nomine del suo predecessore, e insiste sulla Sicilia impreparata, bloccata, accusando, tra le righe chi c’era prima dell’impasse. È una scelta politica, ad esempio, quella di azzerare ogni volo a Catania dopo l’incendio, di presentarsi alla conta dei danni solo dopo nove giorni.
Sembra non essere più in grado di controllare gli eventi, Renato Schifani. Come accaduto con Musumeci, come accaduto con Crocetta, l’isola prende il sopravvento. C’è una totale assenza di strategia. La foto dei vigili del fuoco esausti, a terra, ad Augusta, fa il giro del mondo, così come la notizia della donna morta di black out – uno dei tanti che flagellano da giorni Palermo –: era in ascensore, se ne è andata la luce. L’hanno trovata dopo otto ore gli addetti alla manutenzione.
Alta tensione
Episodio finale di una due giorni ad altissima tensione, per le fiamme, l’aria irrespirabile, gli ospedali in tilt, le autostrade chiuse. E poteva finire peggio: è pure precipitato un elicottero antincendio della Forestale, nel siracusano. Per fortuna il pilota si è salvato.
Non si salvano gli albergatori. Le associazioni di categoria denunciano un picco di disdette, quasi il 40 per cento. I turisti chiamano: vogliono sapere se gli aeroporti funzionano, se le autostrade sono aperte, se devono avere paura del fuoco. Loro non sanno rispondere.
Anche perché fanno i conti con l’emergenza dei black out, con una rete elettrica che attende da 15 anni interventi di modernizzazione e Confcommercio che valuta un’azione collettiva di risarcimento danni. E 15 anni è anche il tempo che Coldiretti valuta per ricostruire – sempre che non si ripetano gli incendi – i boschi e la macchia mediterranea che sono andati a fuoco.
Cosa è stata fatto?
Intorno a Schifani, poi, si registra il solito teatro dell’assurdo. Si riunisce il parlamento regionale, ad esempio, ma non per parlare dell’emergenza, per cercare una soluzione: all’ordine del giorno c’è un punto fermo da 12 anni, la riforma delle province. E ormai tutto è così distopico che quasi non fa notizia.
In che paese viviamo, allora? Anche a Milano si contano i danni, in queste ore. Con la differenza che lì, il sindaco Sala è chiaro: «Dobbiamo fare la nostra parte per lottare contro il cambiamento climatico». In Sicilia invece Schifani parla di «fatti imprevedibili e imprevisti». Il solito fatalismo: altro che fare la nostra parte, non possiamo farci nulla.
Sembra di essere ancora nel 2006, quando Cuffaro affidava la protezione degli incendi alla Madonna. Pure i vescovi si sono accorti che la Sicilia è messa male, e in una nota scrivono: «Coloro che ci governano non possono ancora lasciare la situazione com’è. Occorre assumersi la responsabilità sui piani preventivo, educativo, strutturale e repressivo. Dobbiamo chiederci: cosa è stato fatto in questi anni per la prevenzione? Cosa è cambiato dagli ultimi roghi che, appena due anni fa, hanno messo in ginocchio l’Isola?». Un attacco durissimo. Con Cuffaro non avrebbero osato.
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