- Prima di dichiarare lo stato d’emergenza per gli sbarchi dei migranti, Giorgia Meloni avrebbe almeno potuto compiere un rito, semplice e onesto: scegliersi, come di prassi, la rete televisiva e l’intervistatore più compiacente. E chiedere scusa agli italiani per anni di false promesse.
- Lo stato d’emergenza dichiarato non affonda le ragioni in una tendenza generale consolidata, bensì nella malagestione attuale di un fenomeno.
-
Meloni potrebbe fare tre cose: andare a Tunisi e Tripoli a riallacciare rapporti troppo a lungo trascurati; ascoltare le richieste degli imprenditori che richiedono 500mila lavoratori; riformare la legge Bossi-Fini.
Prima di dichiarare lo stato d’emergenza per gli sbarchi dei migranti, Giorgia Meloni avrebbe almeno potuto compiere un rito, semplice e onesto: scegliersi, come di prassi, la rete televisiva e l’intervistatore più compiacente. E chiedere scusa agli italiani per anni di false promesse.
La propaganda non è certo monopolio della destra, figuriamoci. I politici italiani scambiano volentieri il parlar chiaro col parlare a vanvera. Ma insomma, dopo aver aizzato per anni le piazze contro la sostituzione etnica alle porte, subdolamente foraggiata dal finanziere ebreo George Soros.
Dopo aver invocato blocchi navali, cannoniere e affondamenti al largo di Libia e Tunisia. Dopo aver deriso i predecessori per il caos di Lampedusa, la disorganizzazione folle, il guanto di velluto su rimpatri e politica estera.
Ecco, dopo tutto questo, alzare la bandiera bianca dello stato di necessità è più che una resa. È insieme l’ammissione di un fallimento e il rilancio di una menzogna. Guardiamo i dati.
Il governo del blocco navale ha registrato nel 2023 il record di sbarchi: quattro volte più dell’anno scorso. Accusano le barche delle ong di complicità con gli scafisti, sostengono l’esistenza di un pull factor, hanno varato norme ai limiti del disumano: navi spedite a Ravenna e Salerno, un solo salvataggio alla volta, fermi a raffica.
Risultato? L’attività dei volontari si è ridotta di due terzi (6,7 per cento di sbarchi contro 19 per cento dello scorso anno) ma gli arrivi sono aumentati del 149 per cento.
Ma come, non ci avevano raccontato che era tutta colpa del “fattore di attrazione”? Possibile che questi africani insistano a voler guadare il Mediterraneo in gommone anche senza navi all’orizzonte? Si dirà: al netto della propaganda, è vero che oggi c’è un’invasione in atto.
Anche qui, però, i numeri dicono altro: veder arrivare 20mila migranti in tre mesi non significa per forza essere “invasi”. Prima di tutto perché, come registra l’Ispi, negli ultimi cinque anni la popolazione straniera in Italia non è minimamente aumentata, anche considerando gli immigrati irregolari.
Ciò significa che lo stato d’emergenza dichiarato non affonda le ragioni in una tendenza generale consolidata, bensì nella malagestione attuale di un fenomeno. Anziché agitare il fantasma dell’invasione, Meloni potrebbe fare tre cose: andare a Tunisi e Tripoli a riallacciare rapporti troppo a lungo trascurati dai governi precedenti.
Ascoltare l’invocazione di migliaia di imprenditori, molti dei quali l’hanno votata, che chiedono 500mila lavoratori e sono pronti a pagare per formarli. E riformare la legge Bossi-Fini che ostacola l’organizzazione di flussi regolari di immigrati.
Invece, mentre la Germania riceve 245mila richieste di protezione e le collega alle sue aziende, da noi la strada è sempre la stessa: distrarre dalle vere emergenze indicando il dito. Anzi, spezzando le reni ai richiedenti asilo.
© Riproduzione riservata