- Gli stranieri che risiedono nel nostro paese o che vi sono nati impiegheranno meno tempo per ottenere la cittadinanza. Il parlamento ha infatti deciso di ridurre i tempi della burocrazia.
- La norma approvata rappresenta un tentativo timido di ripristinare le vecchie regole in vigore per 26 anni, che prevedevano un iter di massimo due anni, raddoppiato dal governo gialloverde con il primo decreto Sicurezza del 2018.
- Ma secondo alcuni parlamentari di maggioranza, quello raggiunto è un “accordicchio” tra il Pd e il Movimento Cinque stelle, per venire incontro alle resistenze di quest’ultimo.
Paese che vai, cittadinanza che trovi. Gli stranieri che risiedono nel nostro paese o che vi sono nati impiegheranno meno tempo per ottenerla. Il parlamento ha infatti deciso di ridurre i tempi della burocrazia: una volta presentata domanda, tutto il percorso per ottenere la cittadinanza dovrà durare due anni.
La modifica è contenuta nel decreto Sicurezza ter esaminato dalla commissione Affari costituzionali della Camera e su cui il governo porrà la fiducia. Un testo che la Lega ha già ribattezzato “decreto invasione”.
Dopotutto quando al governo c’era Matteo Salvini le cose per chi voleva richiedere un passaporto italiano andavano decisamente peggio. Per perfezionare la richiesta anche coloro che avevano i requisiti dovevano attendere fino a quattro anni. Un tempo che il governo gialloverde aveva raddoppiato rispetto a quanto avveniva in passato.
La legge sulla cittadinanza del 1992 (anno dell’ultimo governo Andreotti) prevedeva infatti un iter di massimo due anni, senza deroghe. Ma poi è arrivato il primo decreto Sicurezza che dal 5 ottobre 2018 ha fissato il termine in 48 mesi. Ora si torna parzialmente indietro.
La norma approvata, infatti, rappresenta un tentativo timido di ripristinare le vecchie regole in vigore per 26 anni: è vero che il primo termine scatta entro 24 mesi, ma viene prevista una possibile proroga di un anno che permetterebbe agli uffici del Viminale e alle prefetture (che si occupano delle domande) di avere più tempo. Arrivando a tre anni. Un termine che non è comunque da considerarsi perentorio.
I criteri
Rimangono invece immutati i criteri per richiederla: si può inoltrare la domanda al Viminale, presentando una serie di documenti, dopo dieci anni di residenza continuativa, due anni nel caso in cui uno straniero si sposi con un cittadino italiano.
Molto più lungo l’iter per un bambino nato nel nostro paese da genitori stranieri, che può richiederla solo dopo aver compiuto 18 anni e solo se fino a quel momento ha vissuto in Italia «legalmente e ininterrottamente».
Quello raggiunto è un “accordicchio” – dicono alcuni parlamentari di maggioranza – tra il Pd e il Movimento 5 stelle, per venire incontro alle resistenze di quest’ultimo che continua a dividersi su permessi di soggiorno, espulsioni e centri di accoglienza.
Pochi giorni fa alcuni deputati Cinque stelle, critici sul provvedimento, hanno dovuto inviare una lettera al presidente Giuseppe Brescia per chiedere conto di alcuni emendamenti ritirati a loro insaputa. L’ala governista del partito non era d’accordo e in un attimo sono stati eliminati dalla discussione.
In commissione oltre all’emendamento approvato (a firma Stefano Ceccanti del Pd) ne erano stati proposti altri più stringenti con un termine “secco” di due anni senza deroghe. Riccardo Magi di + Europa è stato ancora più estremo: senza esito, passati tre anni, la cittadinanza si intende concessa. Ma la proposta non è passata.
La commissione ha deciso di eliminare anche le quote massime di stranieri che ogni anno possono entrare regolarmente in Italia per motivi di lavoro, tramite il cosiddetto decreto flussi. Il meccanismo introdotto con la legge Turco-Napolitano nel 1998 prevede che il governo approvi un programma triennale, a cui si legano i diversi decreti flussi annuali. In assenza del documento si procede in via transitoria con un decreto flussi “straordinario”, che deve rispettare le quote dell’anno precedente. La modifica interviene su quest’ultimo caso, eliminando il tetto massimo e lasciando piena libertà a palazzo Chigi.
Riguardo invece i tempi della cittadinanza, secondo il capo del Dipartimento per l’immigrazione del Viminale, Michele Di Bari, intervenuto mesi fa a Montecitorio, «l’estensione da 24 a 48 mesi» decisa da Salvini «si è resa necessaria per assicurare l’approfondita valutazione delle istanze, da anni in progressivo incremento, a cui si aggiunge l’aumentata complessità del procedimento concessorio».
Allungando i tempi, i numeri sono infatti cresciuti: nel 2019, rispetto al triennio precedente, il ministero ha registrato che i livelli di produttività hanno fatto un balzo del 72,44 per cento. Ma invece di snellire l’iter, anche con l’aiuto della tecnologia e aumentando il personale, si è preferito cambiare le scadenze imposte per legge.
Intanto, milioni di potenziali cittadini italiani attendono. Tra cui 1,5 milioni di ragazzi nati e cresciuti nel nostro paese, ma che in mancanza dello ius soli – la cittadinanza automatica per nascita – devono passare per le forche caudine dell’amministrazione pubblica e per quelle della politica.
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