Lo ius scholae avrebbe meritato tutt’altro dibattito rispetto alle schermaglie di questi giorni. Il tema pare volto più a colmare settimane estive di vuoto politico che a giungere a una soluzione condivisa da perseguire in concreto. Lo stesso Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, che ha avanzato la proposta al Meeting di Rimini, ora afferma che lo ius scholae non è una priorità.

Ma parlarne è necessario. Significa sentire l’esigenza, da un lato, di valorizzare l’integrazione di minori stranieri cresciuti in Italia e che studino nel territorio nazionale; dall’altro, di evitare fenomeni di marginalità ed esclusione sociale.

La proposta di Tajani

Tajani si è detto favorevole al diritto alla cittadinanza dopo un percorso scolastico di dieci anni. «Serve un corso di studio completo» – ha precisato il ministro – «quindi la scuola dell’obbligo fino a 16 anni con il raggiungimento del titolo di studio».

Oggi, i figli di cittadini stranieri che nascono in Italia e vi risiedono ininterrottamente fino alla maggiore età possono dichiarare di voler acquisire la cittadinanza italiana. Chi non sia nato in Italia, invece, può richiederla a seguito di 10 anni di residenza legale, dopo i 18 anni di età. Per cui, paradossalmente, per i bambini nati all’estero, più piccoli arrivano, più tempo serve prima che possano diventare legalmente italiani, perché devono comunque aspettare di essere maggiorenni.

E poi vanno considerati i tempi burocratici – qualche anno – per la conclusione dell’iter di concessione.

L’Italia prevede requisiti più stringenti per la cittadinanza rispetto a Germania, Francia e Spagna, anche se i numeri parrebbero attestare che qui essa è accordata più che altrove. Non è così. Nei Paesi citati, i figli di alcuni stranieri nascono già cittadini, a determinate condizioni, e non servono atti di attribuzione, che quindi non sono conteggiati nelle cittadinanze concesse. Inoltre, non è vero, come afferma il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che nessun Paese Ue preveda lo ius scholae: tale diritto, variamente declinato, c’è in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia.

I pro e i contro

La proposta di Tajani sembra a prima vista migliorativa rispetto alle disposizioni vigenti: da un lato, non richiede la nascita dello straniero in Italia, anche se l’obbligo di completare dieci anni di scuola entro i 16 anni comporta che il bambino vi sia comunque entrato molto piccolo; dall’altro lato, potrebbe essere un deterrente contro l’abbandono scolastico; inoltre, consentirebbe di richiedere la cittadinanza già a 16 anni, senza aspettare i 18; infine, non implicherebbe la residenza continuativa in Italia fino alla maggiore età, anche se la renderebbe comunque necessaria dai 6 ai 16 anni per la frequenza regolare della scuola.

Tuttavia, i vantaggi paiono compensati da un elemento di gravosità ulteriore rispetto alla legge attuale: il completamento dei dieci anni della scuola dell’obbligo, e inderogabilmente entro i 16 anni. Questo requisito è molto oneroso, anche in considerazione delle condizioni non sempre agevoli, economicamente e non, in cui vivono famiglie straniere. Inoltre, se l’intento è quello di concedere la cittadinanza a chi conosca bene la lingua italiana e sia integrato nella comunità, a un ragazzino potrebbero bastare pochi anni – molti minori stranieri parlano pure i dialetti, oltre all’italiano – e non necessariamente tutti quelli richiesti.

Peraltro, oggi in Italia – unico caso tra gli Stati occidentali – la cittadinanza viene attribuita iure sanguinis a chi sia nato all'estero, anche se non ha mai messo piede in Italia né possiede alcuna conoscenza di lingua e cultura del Paese, purché dimostri di avere un antenato italiano, senza limiti generazionali. Non si vede perché ci si ostini a negarla o a renderla oltremodo gravosa per gli studenti stranieri.

L’abbaglio

Più favorevoli erano alcune proposte presentate nella legislatura precedente, che prevedevano l’acquisizione della cittadinanza da parte dei ragazzi, nati in Italia o che vi avessero fatto ingresso entro i dodici anni di età e che vi avessero frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici.

In molti hanno lodato l’apertura di Tajani. Ma, come spiegato, essa di fatto avvantaggia ben poco coloro ai quali è destinata. Peraltro, qualche giorno dopo l’intervento a Rimini, lo stesso Tajani ha detto che lo ius scholae da lui prospettato «sarebbe più rigido dell'attuale legge sulla cittadinanza». Un riposizionamento del ministro o un diffuso abbaglio ferragostano circa la bontà della sua proposta?

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