La concorrenza è ferma, nel vero senso della parola. L’inflazione sta rallentando, ma la risalita del prezzo del carburante farà sentire gli effetti nei prossimi mesi. E in generale la politica industriale del governo resta un mistero. Ma dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, non arrivano risposte, né future ricette per affrontare i dossier sul tavolo.

È approdato al governo con i galloni di uno dei pesi massimi di Fratelli d’Italia, in virtù di una lunga storia nella destra italiana e dell'incarico già ricoperto di viceministro per lo Sviluppo economico. Ora la sua immagine è più sbiadita. Il mondo dell’imprenditoria ha scelto altri interlocutori. Chi vuole far arrivare i messaggi a Giorgia Meloni si rivolge al sottosegretario Alfredo Mantovano.

Nello stesso ministero, sta aumentando il peso dei “numeri due”, come il sottosegretario leghista Massimo Bitonci, molto pratico nella gestione delle macchine ministeriali - specie in materie fiscali e di incentivi - avendo già ricoperto ruoli di sottogoverno. E altrettanto centrale è il viceministro Valentino Valentini (Forza Italia), che cura i rapporti con gli investitori internazionali. Così nel borsino di Palazzo Chigi, le quotazioni di Urso vengono segnalate in discesa.

Quotazioni in calo

La presidente del Consiglio Meloni non è comunque intenzionata, per ora, a spostarlo da una casella così delicata, sceglie la linea della difesa dei suoi. Certo, il rapporto tra i due non è stato sempre idilliaco. In passato le strade si erano divise: Urso aveva seguito Gianfranco Fini nella disastrosa esperienza di Fli, salvo poi prenderne le distanze e prendere la propria strada con l’associazione Fareitalia, un think tank di destra.

Successivamente, l’attuale ministro ha portato in dote a Fratelli d’Italia l'associazione, rientrando a pieno titolo nella famiglia della fiamma. Nell’ultima legislatura, poi, da presidente del Copasir, ha forgiato un profilo istituzionale con un apprezzamento bipartisan. Il passo perfetto per la promozione a ministro con la vittoria elettorale.

In questo anno, dal trespolo del suo Mimit, ennesimo dicastero sottoposto alla smania della destra di cambiare i nomi, Urso ha gestito l’esistente o poco più. Il disegno di legge sulla concorrenza è stato licenziato cinque mesi fa dal consiglio dei ministri e sta ancora affrontando il ciclo di audizioni al Senato.

Il testo era finito fuori dai radar per settimane. E del resto nessuno avverte tanta fretta: all’interno del provvedimento c’è poco, l’intervento sui contatori intelligenti e i maggiori poteri dell’Antitrust. Di liberalizzazioni vere nemmeno a parlarne. «Il governo fa concorrenza washing», ha ironizzato il segretario di +Europa, Riccardo Magi.

La posizione di Urso sulle licenze dei taxi è allineata al corporativismo della destra: «Contrasteremo le grandi multinazionali come Uber», ha dichiarato. La mini riforma sulle auto bianche, peraltro depotenziata, è stata inserita in un altro testo, il decreto Asset approvato ad agosto e in questi giorni all’esame di Palazzo Madama. La partita è finita nelle mani del leader della Lega, Matteo Salvini, che aveva parlato, seppure solo per scopi propagandistici, di un potenziamento del servizio taxi. I risultati non si sono visti, ma di fatto il dossier è stato avocato dal vicepremier.

Anti-imprese

Urso si è quindi trasformato nel bersaglio preferito di Matteo Renzi, che lo ha ribattezzato Adolfo Urss. Un nomignolo che punta il dito contro la presunta visione simil-sovietica da parte del ministro nella presunta lotta alle aziende straniere. Al leader di Italia viva non è andata giù qualche presa di posizione del ministro, tra cui quella contro le compagnie aeree, responsabili di aumenti dei prezzi dei biglietti durante l’estate. «Non accettiamo ricatti delle lobby: il far west è finito», attaccò Urso, creando il paradosso di un ministro per le Imprese che se la prende con il mondo delle imprese, solo perché straniere.

Oltre le parole ci sono le azioni concrete, che non risultano memorabili. Di recente, di fronte agli aumenti dei prodotti di prima necessità, ha siglato il protocollo per il trimestre anti-inflazione.

Un accordo sottoscritto dalle associazioni di distribuzione, che prevede una speciale etichetta - rigorosamente tricolore - da apporre ai prodotti per sbandierare l’adesione all’iniziativa. «Un successo per il sistema Italia», l'ha definito Urso.

Cosa prevede questa novità? «Prezzi fissi, attività promozionali, campagne sui prodotti con il marchio dell’insegna, carrelli a prezzi scontati o unici», è uno degli obiettivi messi nero su bianco. «Ma le vendite promozionali, gli sconti, specie sulla gamma dei prodotti a marchio, sono già all’ordine del giorno nella grande distribuzione», ha osservato il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona.

Peraltro, sottolinea il numero uno dell’Unc, «impegni generici a non aumentare il prezzo per 3 mesi possono essere addirittura controproducenti per prodotti come la pasta che dovrebbero, invece, precipitare di prezzo».

Cara benzina

Peggio ancora va sul fronte del caro-benzina. «È colpa dell’Opec», ha scandito Urso qualche mese fa in ossequio alla linea meloniana di prendersela sempre con qualcun altro, i nemici esterni che si materializzano. E addirittura, in piena spirale di aumento, il numero uno del Mimit ha rivendicato una situazione migliore rispetto ad altri, attirando più di qualche malumore tra i colleghi al governo, premier compresa. Di lì a pochi giorni, infatti, è stata resa nota la nomina di Giovanbattista Fazzolari a capo della comunicazione.

Una decisione già presa, certo. Ma che di fronte a certe polemiche è diventata imprescindibile. «Bisogna evitare alcune dichiarazioni, occorre un maggiore coordinamento», spiegano fonti governative, senza fare nomi ma ricorrendo alle allusioni. Urso ha dovuto smussare le spigolature.

Ora, con il prezzo della benzina che sfonda i 2 euro pure per il self service, ci si attende qualche risposta più incisiva e tempestiva. «Valuteremo», è stata l’unica presa di posizione del ministro, spesso ciarliero in termini di comunicazione. Al vaglio c’è una card da distribuire ai ceti più deboli per garantire uno sconto alla pompa, un bonus che dovrebbe sommarsi alla tessera “Dedicata a te” per garantire gli acquisti di alimenti. Intanto i rincari aggrediscono le tasche degli italiani.

Andamento lento

Certo, qualcosa si muove negli uffici del Mimit e di rimando in parlamento. Oltre al ddl Concorrenza, alla Camera ha appena iniziato il suo cammino il disegno di legge Made in Italy, da poco assegnato alla commissione attività produttive per l’esame. Dovranno essere svolte le audizioni, quindi si procederà alla presentazioni degli emendamenti, alle votazioni. E infine ci sarà l’approdo in aula a Montecitorio. Con calma.

Mentre gli altri ministri portano a casa decreti un po’ su tutto, finanche sui granchi blu, Urso ha optato per un ddl che dovrà districarsi nei calendari parlamentari ingolfati, appunto dai decreti da convertire per evitare la decadenza. Al Senato, invece, è stato approvato in prima lettura (deve passare a Montecitorio) il ddl incentivi che è però un’operazione di riordino dei sostegni alle aziende. Niente di rivoluzionario.

E dire che Urso si è circondato di profili di esperienza, a cominciare dal capo di gabinetto Federico Eichberg, dirigente dal ministero dello Sviluppo economico che conosce bene i meandri di quegli uffici. Così come un curriculum importante è quello della due vice capo di gabinetto, Carla Colelli, proveniente dall’avvocatura dello Stato, ed Elena Lorenzini, magistrato della corte dei conti con un passato al fianco di Gian Luca Galletti negli anni al ministero dell’Ambiente.

Qualche problema Urso lo ha avuto con la comunicazione: il primo portavoce Gerardo Pelosi ha lasciato l’incarico a gennaio, solo a fine luglio è stata riempita la casella. A capo dell’ufficio stampa c’è ora Giuseppe Stamegna, in precedenza responsabile comunicazione di Autostrade per l’Italia. Bisogna trovare una strategia vincente. E provare a raccontare la politica industriale del governo, ammesso che ci sia.

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