Cala il consumo di frutta e verdura e ci si allontana dalla dieta mediterranea. Secondo il rapporto Coop già quest’anno 6,9 milioni di persone tra i 15 e i 75 anni hanno rinunciato a standard alimentari accettabili. Attese decisioni di Grande distribuzione e industria dal tavolo portato avanti dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso
Gli Italiani hanno ridotto la spesa. Non solo, problema che dovrebbe impensierire Francesco Lollobrigida, ministro della Sovranità alimentare, si stanno allontanando dalla dieta mediterranea, e adesso che il cibo costa di più, mangiano meno frutta e verdura: «Sono andate in crisi le cinque porzioni», ha detto Albino Russo, direttore generale Ancc-Coop.
Una situazione che mette in discussione l’assioma lollobrigidiano per cui gli italiani più poveri mangiano meglio dei ricchi, visto che i primi a essersi allontanati dal cibo sano sono proprio gli appartenenti alle classi più povere.
La fotografia emerge dall’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, redatto dall’Ufficio Studi collegato con la collaborazione di altri partner scientifici (a sorpresa quest’anno c’è anche Chat Gpt).
La trincea
Gli italiani hanno dovuto affrontare «la trincea del calo dei consumi» si legge. Il problema è l’inflazione, che ha rincarato di oltre il 21 per cento il costo dei beni alimentari. Una crescita che secondo gli esperti non si arresterà a prima dei prossimi due anni (il 72 per cento dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2 per cento prima del 2025).
Così gli italiani sono costretti «a moltiplicare le rinunce quotidiane». Case, auto, smartphone, viaggi, ma anche cibo. Il carrello ha visto un -3 per cento delle vendite nei primi 7 mesi dell’anno, e in previsione per il 2024 il 60 per cento dei manager intervistati si aspetta un ulteriore, seppur modesto, calo.
Già quest’anno, oltre 30 milioni di italiani hanno adottato strategie per far fronte ai prezzi di cibi e bevande. E 6,9 milioni di persone tra i 15 e i 75 anni hanno rinunciato a standard di consumo alimentare minimo accettabile.
In questa situazione, sono tornati alla ribalta i discount, che in un primo momento avevano perso terreno: otto italiani su 10 lo indicano come primo modo per mitigare l’effetto dell’inflazione. A tavola, 1 italiano su 5, soprattutto baby boomers (i sessantenni e più), e gli appartenenti alle classi sociali più basse, dichiarano di aver perso ogni riferimento identitario, abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio.
«Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura», indica il rapporto.
Un allarme che si unisce a quello di Coldiretti, che solo una settimana fa ha riferito come la frutta abbia registrato ad agosto un aumento di prezzo al consumo del 9,4 per cento rispetto all’anno scorso. Per la verdura si arriva a un incremento del 20,2 per cento, con i prezzi che triplicano dal campo alla tavola. E così i consumi sono calati dell’8 per cento nel primo trimestre. Secondo Coop, resistono solo mele e kiwi (questi ultimi comunque sempre poco acquistati rispetto al resto della frutta). I produttori agricoli hanno chiesto che venga fissato un prezzo minimo che copra i costi di produzione.
La tavola di Urso
Nei prossimi giorni sono attese misure per calmierare in qualche modo il carrello per il trimestre ottobre-dicembre, forse prima del Consiglio dei ministri della settimana prossima. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso aveva promesso entro settembre un patto con tutti gli attori, dai produttori industriali fino a Confcommercio. Finora l’accordo però non è stato siglato.
Proprio alla vigilia della presentazione Coop, si è svolto al Mimit uno scambio con la grande distribuzione, che quest’estate aveva approvato un protocollo per cercare nuovi equilibri di prezzo. Fuori dal tavolo era rimasta la grande industria, rappresentata da Centromarca, presieduto dal patron della passata Mutti, Francesco Mutti, vice presidente Alessandro D’Este, amministratore delegato della Ferrero, la casa madre della Nutella; Industrie Beni Consumo, presieduta da Flavio Ferretti (Nims, Gruppo Lavazza), e Federalimentare, con a capo Paolo Mascarino, direttore Ferrero. Secondo Coop sono loro i primi che potrebbero intervenire sui prezzi. Pur a fronte di un rientro sui costi delle materie prime alimentari e di quelli energetici, non hanno ridotto i listini. Anzi, hanno aumentato i prezzi. La grande industria invece, continua a sostenere che l’energia e le materie prime, sono ancora un problema.
La guerra tra le categorie sembra vada verso una soluzione. Di fronte al sopravanzare dei discount, l’obiettivo adesso è sostenere la domanda.
Centromarca, Ibc, e Federalimentare, dopo intense interlocuzioni interne, hanno deciso che presenteranno una loro proposta a Urso: «I canali – ha detto D’Este – sono assolutamente aperti. Abbiamo incontri proprio prossimi, nella giornata di domani tramite le associazioni» e adesso «io sono molto ottimista». L’intenzione è individuare un paniere per ogni impresa: «Attività certificate», ha assicurato Marco Pedroni, presidente Ancc-Coop, alla presentazione del report. L’amministratore delegato della Ferrero era seduto in platea.
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