Il leader del sindacato si sente al centro di un «attacco politico. Mai successo». Con l’esecutivo incontri «inutili». Poi denuncia i numeri del fallimento dell’esecutivo e annuncia il ricorso contro il nuovo Cnel che fa dimagrire la rappresentanza dei sindacati confederali
La maggioranza «decide di fare un’interpellanza e dice di dover vigilare sulla Cgil. È un fatto gravissimo, non è mai successo nella storia del nostro Paese». È un Maurizio Landini ad alzo zero quello che ieri nel primo pomeriggio ha chiamato i cronisti alla sede nazionale della Cgil per dire quello di cui si è convinto: c’è un «attacco politico» contro la Cgil. Nell’impennata di decibel c’è, senza dubbio, l’intenzione di far crescere la mobilitazione in vista della manifestazione del 7 ottobre. E di chiamare intorno al sindacato tutta la sinistra sociale, buona parte della quale è già nel comitato promotore del corteo.
Ma c’è anche, forse soprattutto, la preoccupazione per un clima che sente crescere intorno al sindacato. Un tiro al bersaglio, detonato dalla vicenda del licenziamento dello storico portavoce di tanti suoi predecessori Massimo Gibelli. Una scelta, impugnata, di cui a Corso d’Italia qualcuno ha sottovalutato le conseguenze: l’accusa di licenziare come un “padrone” qualsiasi. Di lì è stato un crescendo.
Landini entra fin nel dettaglio di questa brutta storia, sulla quale però ora deciderà il giudice. «Non abbiamo nulla da nascondere», il vituperato jobs act non c’entra, «nella riorganizzazione interna abbiamo ritenuto che il ruolo di portavoce non fosse più necessario e che si potesse arrivare alla soppressione della funzione nel rispetto delle leggi del contratto giornalisti». Anche la società Futura Lab è finita sotto la lente della stampa, e i rapporti della Cgil con l’imprenditore della comunicazione, ma anche amico personale e da sempre, Gianni Prandi: Futura, dice Landini «è una società di proprietà interamente del sindacato» e Prandi «lavora da 4 anni a titolo totalmente gratuito e non gli è stato nemmeno pagato un caffè».
I dati
Ma quello che è insopportabile per lui è che il sindacato sia diventato un «vigilato» speciale del governo. Per questo Landini rovescia una valanga di dati che parlano di omesse vigilanze del governo sul paese. A partire dai dati della sicurezza sul lavoro: nei primi sette mesi dell’anno, scandisce, 559 morti sul lavoro, con una media di 80 decessi al mese.
La contabilità dei fallimenti è sterminata: «Sono quattro milioni gli italiani che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie, pari al 7 per cento della popolazione. Sono 800mila le persone in condizione di bisogno che percepivano il reddito di cittadinanza e che ora sono lasciate sole», «Sono 8 milioni i lavoratori in attesa di rinnovo del contratto, 3.365.000 dei quali nel settore pubblico. Gli occupati che lavorano da 1 a 11 ore settimanali sono 1,037 milioni, mentre la diminuzione del reddito dei pensionati a causa dell’inflazione tra il 2018 e il 2022 è pari al -10,6 per cento».
Fra sindacato e governo il rapporto è inesistente, l’incontro che si è svolto poco prima a palazzo Chigi sull’inflazione «è stato un altro incontro finto», «Siamo di fronte a chiacchiere e slogan», «Su molti punti non ci hanno risposto, non hanno detto quali provvedimenti confermeranno», «Il 90 per cento delle nostre proposte non viene accolto». C’è anche un altro fronte: la Cgil ha depositato il ricorso al Tar e chiede la sospensiva della nuova composizione dell’assemblea del Cnel perché mette «in discussione la reale rappresentatività di Cgil, Cisl e Uil» e dà posti a sindacati non rappresentativi. La cosa può avere dei riflessi sul salario minimo: il Cnel deve consegnare a giorni una proposta al governo.
Per Landini invece «deve essere il governo a sciogliere il nodo. Se il Cnel mette a disposizione dati, bene. Ma non è quella la sede per decidere». Se Meloni non ascolterà le ragioni della piazza del 7 ottobre, è la promessa, le mobilitazioni andranno avanti, si intende avanti fino allo sciopero generale.
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