Eugenio Giani era il candidato da cui non aspettarsi sorprese. Ma la Toscana, a causa sua e non solo, minaccia di riservare qualche brutta sorpresa al centrosinistra. In corsa per sostituire il presidente uscente, Enrico Rossi, Giani vuole continuare la striscia positiva che dal 1970, anno di istituzione della regione, vede il Granducato governato sempre dalla sinistra. Il suo è un curriculum da Prima repubblica: in aspettativa dal suo lavoro nell’ufficio legale della Usl 10 Firenze dal 1997, è entrato in politica nel 1990 quando, avvocato trentenne, è stato eletto per la prima volta al comune di Firenze in quota socialista. A palazzo Vecchio è rimasto ininterrottamente per 24 anni. Cinque mandati: prima come consigliere, poi per dieci anni assessore e, infine, presidente del Consiglio comunale. Passato dai socialisti al Partito democratico e confluito naturalmente nella corrente renziana, a Giani sarebbe piaciuto inaugurare il sesto mandato, nel 2014, con la fascia tricolore di sindaco di Firenze. Invece, è stato vittima eccellente della rottamazione: al momento di scegliere il suo successore, Matteo Renzi gli ha preferito il giovane vicesindaco, Dario Nardella.

Giani, da professionista della politica, ha quindi deciso di cambiare obiettivo. Dimenticato il comune, si è candidato alla regione, dove è stato eletto con oltre diecimila preferenze nel collegio di Firenze 1 ed è stato nominato presidente del Consiglio regionale. Da questa carica, che gli ha permesso di espandere la sua influenza in tutta la Toscana e di venire percepito come candidato naturale a palazzo Panciatichi, ha preparato scientificamente la corsa alla successione a Rossi.

Sport e politica

Grande appassionato di sport, dopo un mandato da assessore a Firenze, ha rafforzato i suoi legami con quel mondo grazie al ruolo di presidente del Coni provinciale (dal 2009) e di consigliere nazionale (dal 2013) alla corte di Giovanni Malagò. È questo uno dei suoi principali bacini elettorali, consolidato grazie a iniziative politiche in favore delle società dilettantistiche. Negli anni Giani ha coltivato la dimensione politica che più lo rappresenta: quella di “tagliatore di nastri”. Sempre in viaggio in lungo e in largo tra paesi e città della regione, a intessere e consolidare rapporti. A ogni inaugurazione di scuola, edificio pubblico o mostra, infatti, il presidente del Consiglio regionale si è fatto trovare pronto e presente. E lo sforzo è continuato nei mesi, anche durante la recente campagna elettorale.

Fiorentino colto ed elegante, a ogni evento Giani parla a braccio, attingendo dalla sua conoscenza enciclopedica della storia toscana. «È un appassionato autodidatta, per ogni borgo dove va in visita è in grado di raccontare un aneddoto di storia locale», dice un dirigente del Pd toscano. Così ha fatto anche a Siena, quando ha risposto a chi gli chiedeva della banca Monte dei Paschi: «Dopo che il re d’Inghilterra non pagò i debiti, i Bardi e i Peruzzi fallirono poi però arrivarono i Medici, gli Strozzi e Monte dei Paschi. La nostra storia può consentire di dare alla banca una nuova energia e noi possiamo renderci protagonisti del suo risveglio». Fuori dalla metafora politica ha spiegato così, in un’intervista alla Nazione, il ruolo che lui vorrebbe per il disastrato Mps: «Un istituto economico di riferimento per il territorio, che possa sostenere gli investimenti pubblici» e che sia «strumento con cui lo stato possa offrire misure per la ripartenza».

L’uomo dell’establishment

Giani incarna l’establishment della politica locale toscana. Considerato vicino alla massoneria fiorentina, è un professionista ben inserito nel tessuto economico e sociale su cui si fonda il sistema che governa da sempre la regione. Un tessuto fatto di industrie tessili, eccellenze pubbliche sanitarie che si contrappongono al modello della partnership pubblico-privato della Lombardia leghista, istituti finanziari come Mps, bellezze artistiche. Non a caso, la sua metafora preferita è quella del quadrifoglio «che ci porti fortuna nel mettere insieme lavoro, ambiente, salute, bellezza». Una foglia per ognuna delle componenti del «sistema Toscana».

Proprio questa dimensione così marcatamente locale è la sua forza ma anche il peccato originale che gli contestano i suoi detrattori, i quali avrebbero preferito un candidato sul modello di Stefano Bonaccini. Il presidente emiliano, fresco vincitore della sfida con la Lega, incarna tutto ciò che Giani non è: carismatico, capace di impegnarsi su temi di politica nazionale e non solo sui dettagli locali, in grado di dare un senso di discontinuità, anche solo comunicativa, rispetto al passato. Per questo, al posto di Giani, era stata immaginata la candidatura della segretaria del Pd regionale ed eurodeputata, Simona Bonafè. Una donna conosciuta a livello locale ma con un profilo nazionale che avrebbe impresso un marchio di novità alla campagna elettorale. L’ipotesi, però, è sfumata quando Bonafè ha scelto di rimanere in Europa.

Il presenzialista

Dopo la vittoria già scritta alle primarie, il team di comunicazione ha provato a costruire per Giani un profilo più nazionale, ma le difficoltà sono state subito evidenti. «Lui è un collettore di preferenze, abituato a fare micro-campagna di paese in paese. Non è tagliato per dettare l’agenda ai giornali o per trovare la chiave polemica contro Susanna Ceccardi», dice chi ha lavorato con lui e ha dovuto accettare di avere per le mani un candidato per nulla portato all’attacco, a differenza dell’avversaria leghista. Un elemento che ha reso tutto più complicato, nonostante la gestione mediatica del personaggio sia stata affidata a Jump, l’agenzia di comunicazione di Marco Agnoletti, spin doctor di Matteo Renzi e artefice della campagna di Bonaccini in Emilia Romagna.

Eppure, a pochi giorni dal voto, anche i più scettici sulla caratura del personaggio hanno scelto di mettere da parte i dubbi e di correre per tirargli la volata. «Scommettere troppo sulla discontinuità sarebbe stato un rischio: non ci saremmo fatti capire dal nostro elettorato, soddisfatto dell’amministrazione uscente», dice un parlamentare toscano del Pd, tra i contrari alla candidatura di Giani. Scegliere un candidato di rottura, infatti, avrebbe contraddetto il principio fondante di tutta la campagna elettorale del centrosinistra secondo cui poche regioni, in Italia, sono così ben amministrate come la “rossa” Toscana. Giani è l’incarnazione ideale di questo principio: è un catalizzatore di preferenze soprattutto a Firenze e nelle provincie limitrofe che contano circa un terzo dell’elettorato, ma è abituato a battere il territorio palmo a palmo. Ogni giorno fa quattro colazioni in quattro bar diversi e divide le portate del pranzo: antipasto alla sagra, primo al circolo Arci e secondo a un incontro con qualche rappresentanza locale. Chi lo segue passo passo in questo tour de force stila una mappa del territorio: «Vinceremo, anche se non con agilità. Firenze e Prato sono nostre, anche a Livorno siamo fiduciosi, dopo gli anni di amministrazione grillina. I problemi maggiori li abbiamo a Pisa, Grosseto e Arezzo. Lucca e Pistoia, invece, sono in bilico». La contesa è storica: Firenze contro le province periferiche, in uno scontro che assume plasticamente la fisionomia dell’aeroporto fiorentino di Peretola. Giani sostiene la creazione della nuova pista di cui si discute da anni, ignorando gli attacchi degli ambientalisti e a costo di innescare le ire dei territori tirrenici, che temono un indebolimento dell’aeroporto di Pisa.

Tuttavia, da veterano delle campagne elettorali, Giani ha saputo costruire intorno a sé un blocco politico ampio, che va dalla sinistra di Articolo 1 fino a Italia viva, passando per il Pd, i socialisti, +Europa ed Europa verde. E proprio nella composizione delle liste a sostegno del candidato presidente, Giani ha consumato la vendetta postuma nei confronti del suo ex capocorrente, Matteo Renzi, che gli negò la fascia di sindaco.

I timori di Italia viva

La Toscana è il primo vero test elettorale per Italia viva, reso ancora più significativo dal fatto che da qui proviene buona parte della dirigenza del partito: Renzi e Francesco Bonifazi sono fiorentini, Maria Elena Boschi di Arezzo, il romano Roberto Giachetti è stato eletto a Sesto Fiorentino. Per questo il coordinatore nazionale del partito, Ettore Rosato, ha parlato di «obiettivo 10 per cento». L’accordo politico prevedeva che Giani non presentasse una propria lista che avrebbe potuto drenare consensi centristi penalizzando Iv. Invece, con buona pace del patto con Renzi, il candidato si è lasciato convincere dal Pd, che lo ha spinto a presentare la lista civica Orgoglio Toscana per replicare lo schema già utilizzato da Bonaccini in Emilia, la cui fortuna elettorale è stata costruita anche grazie alla lista del presidente che ha conquistato il 5,8 per cento, facendo eleggere tre consiglieri. Nonostante lo sgarbo, Renzi non ha lesinato sforzi, ben sapendo che in gioco c’è la sopravvivenza della sua creatura politica.

Lo stesso ha fatto anche il Pd, per cui un fallimento in Toscana sarebbe l’ennesima picconata alla segreteria di Nicola Zingaretti. Nell’ultima settimana di campagna elettorale, il partito si è mobilitato con 500 punti di incontro in tutta la regione e il segretario con una manciata di ministri ha presidiato le città con iniziative ed eventi. Del resto, i sondaggi pubblicati prima del silenzio elettorale non offrono rassicurazioni. Ipsos, ad esempio, ha registrato un testa a testa, con il candidato del Pd in vantaggo di appena un punto con il 42,5 per cento contro il 41,5 per cento di Ceccardi. Ora, a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale in piazza Santissima Annunziata a Firenze, Giani conferma la sua proverbiale calma e si mostra sicuro di vincere: «Perché conosco questa regione davvero e perché da trent’anni la percorro e la ascolto».

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