L’astensionismo rischia di essere il primo partito italiano alle elezioni del prossimo 25 settembre, con una percentuale stimata intorno al 35 per cento. Ciò rischia di tradursi in una distorsione della rappresentatività democratica delle istituzioni, a danno soprattutto dei giovani e dei più poveri, soprattutto al Sud.
- L’astensionismo rischia di essere il primo partito italiano alle elezioni del prossimo 25 settembre, con una percentuale stimata intorno al 35 per cento, accentuando la tendenza in corso da tempo.
- Come rilevato da una commissione di esperti, istituita nel 2021 dal ministro per i Rapporti con il parlamento, l’astensionismo dipende, in parte, da difficoltà nel recarsi al seggio; per altra parte, dall’espressione di protesta verso la politica.
- L’astensione concentrata nelle fasce più povere e tra i giovani, specie nel Meridione, determina una distorsione nella rappresentatività degli eletti.
L’astensionismo rischia di essere il primo partito italiano alle elezioni del prossimo 25 settembre. Secondo una stima di YouTrend, almeno il 35 per cento degli aventi diritto al voto non andrà al seggio. Il fenomeno avrebbe un peso più tangibile se il non-voto potesse trovare espressione sulla scheda elettorale, mediante l’indicazione «nessun partito mi rappresenta», e ciò si traducesse in una percentuale di poltrone vuote in Parlamento. Ma il nostro sistema costituzionale non lo consente. Gli effetti dell’astensionismo sul sistema democratico sono comunque concreti, e può essere utile spiegarli, dopo averne analizzato le cause.
Cosa dicono i dati
L’astensionismo può essere definito come la distanza dei cittadini dalla politica, quindi dai partiti. Tale distanza può essere tradotta in numeri. Tra il 1994 - dopo il tracollo dei partiti della prima repubblica con Tangentopoli - e il 2018, l’astensionismo alle elezioni politiche è aumentato di 14 punti percentuali. Nelle elezioni europee la percentuale è andata anche oltre (19 punti tra il 1994 e il 2019), e lo stesso è accaduto in elezioni a livelli inferiori (rispetto al ’93, l’affluenza alle comunali delle grandi città è calata di oltre 28 punti). Per dirlo con altri numeri, alle prime elezioni repubblicane per la Camera dei deputati (1948) partecipò al voto oltre il 92 per cento della popolazione; alle elezioni politiche del 2018 solo il 72,9 per cento. Alle elezioni europee del 2019 si è espresso meno del 55 per cento degli elettori. E, da ultimo, alle elezioni suppletive per la Camera dei deputati, in un collegio di Roma hanno votato circa il 12 per cento degli aventi diritto.
Chi sono gli astenuti
Cinque milioni di fuori sede verso l’astensionismo forzato
Il fenomeno è stato esaminato da una commissione di esperti con compiti di studio ed elaborazione di proposte per favorire la partecipazione al voto, istituita nel 2021 dal ministro per i rapporti con il parlamento. Nell’aprile 2022, la commissione ha presentato un libro bianco che indaga, innanzitutto, le cause dell'astensionismo. Una delle principali è «l’impossibilità materiale di recarsi alle urne a causa di impedimenti fisici o materiali, o di altro genere». In particolare, 4,9 milioni di persone lavorano o studiano in luoghi diversi da quello di residenza e, quindi, sono «più o meno disincentivate al rientro nel comune dove risultano iscritte nelle liste elettorali». Secondo la commissione, questo tipo di astensionismo potrebbe essere ridotto con strumenti che agevolino la partecipazione al voto. Tra gli altri, la digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali; la concentrazione delle scadenze elettorali in due soli appuntamenti annuali (election day); il «voto anticipato presidiato», che consentirebbe – in caso di difficoltà a recarsi al seggio nei giorni previsti - di votare nei giorni precedenti.
C’è poi l’«astensionismo di protesta», oltre a quello per «indifferenza», diffuso tra coloro i quali nutrono sentimenti di sfiducia, insoddisfazione, delusione nei riguardi della politica. Nella campagna elettorale in corso se ne rinvengono alcune motivazioni: ad esempio, la sensazione dei cittadini di non contare molto, specie nella scelta dei propri rappresentanti. Si pensi alla formazione delle liste elettorali, con poca democraticità da parte dei segretari dei partiti. Partiti che hanno uno scarso radicamento sociale ed esprimono candidati talora non legati al territorio. E candidati che, potendo presentare la propria candidatura in più collegi, e scegliere quale accettare in caso di vittoria plurima, sostanzialmente decidono l’assegnazione del seggio al secondo classificato. Inoltre, non incentivano al voto partiti politici che stilano programmi elettorali come una sorta di lista della spesa, anzi delle spese, con punti irrealizzati (e forse irrealizzabili) di programmi precedenti, anziché raccogliere le istanze dei cittadini, i quali per reazione smettono di votare. D’altronde, in Italia i partiti si palesano loro solo al momento delle elezioni.
I gruppi non rappresentati
Un’indagine di Tecnè Italia sulle ultime elezioni amministrative rileva che solo il 28 per cento degli elettori a basso reddito è andato al seggio. Le percentuali salgono per le classi a reddito medio (63 per cento) e a reddito alto (79 per cento). Come afferma il professor Riccardo Cesari su Lavoce.info, ciò spiega «una quota elevatissima (63 per cento) della variabilità interregionale dell’astensione»: con l’eccezione dell’Abruzzo, tutte le regioni del sud mostrano livelli record di astensione e di povertà. E «la povertà colpisce in misura più che doppia i giovani rispetto agli anziani». Con riguardo ai giovani, un recente sondaggio Swg per Italian Tech attesta che, nonostante l’88 per cento degli appartenenti alla fascia dai 18 ai 24 anni ritenga il voto «un dovere civico» e il 64 per cento reputi che il voto del 25 settembre sia «uno spartiacque», solo il 41 per cento considera la politica «fondamentale». Del resto, l’87 per cento di loro teme che «con questa classe dirigente le cose non cambieranno mai». Sul voto dei giovani incide anche il fatto che ci sono molti studenti fuori sede - secondo l’Istat, nel 2017 erano quasi un milione – con le difficoltà a spostarsi, rilevate nel citato libro bianco, e l’impossibilità di votare nel comune di domicilio, anziché in quello di residenza.
L’impatto sul sistema democratico
L’astensionismo concentrato in certe fasce della collettività determina una distorsione democratica. Come spiega ancora Cesari, «se, per conoscere l’opinione di una popolazione, se ne intervistasse un campione del 60 per cento si otterrebbero risultati molto rappresentativi. Tuttavia, è così solo perché quel 40 per cento che non si è contattato o che non ha risposto è un gruppo casuale e la sua assenza non inficia la rappresentatività del restante 60 per cento. Se, viceversa, quel 40 per cento di assenze è un gruppo sistematico, per esempio tutte donne, o tutti meridionali, o tutti del nord, o tutti giovani, il risultato di quel sondaggio uscirebbe fortemente distorto e per nulla rappresentativo dell’intera popolazione». Lo stesso accade per il voto elettorale: l’astensione concentrata nelle fasce più povere e tra i giovani, specie nel Meridione, determina una distorsione nella rappresentatività degli eletti. E questo è un vulnus per la democrazia.
Il buon funzionamento di una democrazia è connesso all’effettiva rappresentatività delle istituzioni. E le istituzioni sono realmente rappresentative quando c’è un’ampia affluenza dei cittadini alle elezioni, sì che le persone delegate da questi ultimi ad adottare decisioni, attraverso atti normativi, manifestino le istanze dell’intera collettività.
È la partecipazione al voto che legittima le istituzioni e le rende forti, in quanto concreta espressione di sovranità popolare. Ma in Italia si parla di astensionismo solo in prossimità delle elezioni. Cos’hanno fatto finora i politici per favorire l’esercizio del diritto di voto, e quindi il migliore estrinsecarsi della democrazia, a parte eventuali appelli di recarsi al seggio? Sarebbe bene che nelle interviste, in campagna elettorale e non, venisse fatta loro anche questa domanda.
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