Il ddl Lavoro amplia l’uso dei contratti interinali e incentiva il ricorso alla partita Iva al posto del contratto subordinato. Sul salario minimo continua la melina della maggioranza
Niente salario minimo, si punta al buon vecchio lavoro a cottimo mascherato da autonomo. Nessuna riduzione delle ore di lavoro a parità di retribuzione, si deve arrivare all’uso facile dei contratti a tempo, con meno vincoli possibili, sfruttando l’immarcescibile lavoro di somministrazione, l’interinale: il contratto precario per eccellenza.
Il governo Meloni non solo continua a respingere le proposte presentate dalle opposizioni, ma va in “direzione ostinata e contraria”. Arrivando a ridurre le tutele per i lavoratori. In che modo? Prima di tutto introducendo quello che l’opposizione definisce una sorta di ritorno delle dimissioni in bianco, cioè la firma delle dimissioni senza data contestualmente alla sottoscrizione del contratto: «Le nuove “dimissioni in bianco” espongono i lavoratori meno tutelati, donne, giovani, migranti, al rischio di perdere il lavoro contro la loro volontà», spiega Chiara Gribaudo, vicepresidente e deputata del Pd. Se «il datore di lavoro comunica l’assenza ingiustificata del lavoratore, questo è considerato dimesso. E non avrà accesso alla Naspi», spiega.
Rinuncia alla tutela
Pezzo dopo pezzo la maggioranza, con la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, sta portando avanti il proprio progetto. L’ultimo atto è il disegno di legge (ddl) sul lavoro, che ha fatto varare in Cdm lo scorso anno e che è stato approvato dalla Camera. Ora attende il via libera del Senato.
Il testo contiene una norma che è la stella polare della visione della destra al potere: la possibilità di applicare la flat tax ai lavoratori che hanno una partita Iva da affiancare ai contratti di lavoro sottoscritti con le società che li hanno assunti. In pratica lo stesso lavoratore lavora per la stessa impresa, in parte come lavoratore dipendente e, in altra parte del tempo, come lavoratore autonomo.
Sono i cosiddetti contratti misti, già previsti e usati in specifici settori, in particolare quello bancario e assicurativo. I dipendenti, grazie alle novità del ddl, potranno beneficiare del regime agevolato (del 5 o del 15 per cento in base all’anzianità della Partita Iva) per i servizi offerti a provvigione alle loro società: uno stimolo a reinventarsi.
«Si usano lavoratori dipendenti trasformandoli in lavoratori autonomi per scaricare su di loro il rischio di andarsi a procacciare i contratti», spiega l’ex sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra, ora deputata del Pd. Dietro c’è un’esca anche ghiotta: la promessa di pagare un’aliquota più vantaggiosa, con la flat tax appunto, rispetto a quella molto più alta prevista dal lavoro dipendente. A patto di rinunciare alle garanzie contrattuali. Una sostanziale spinta per il ritorno al “cottimo”. Ed è un cambio di paradigma drastico: dopo anni di lotta alle “false Partite Iva”, i rapporti finti autonomi – nei fatti con mansioni da subordinato – che hanno caratterizzato il mercato per anni, si salta direttamente all’incentivo di questa tipologia lavorativa.
Più interinali per tutti
Ma è solo un tassello di un mosaico più ampio. Alla base c’è il potenziamento dei contratti di somministrazione, in pratica il lavoro interinale, che nasce con un campo di azione ristretto: le aziende si rivolgono alle agenzie quando hanno necessità di specifiche funzioni. La riforma voluta da Calderone amplia le maglie.
Le assunzioni in somministrazione possono aumentare, superando gli attuali limiti (c’è una proporzione da rispettare). E soprattutto vengono eliminati alcuni requisiti per questo tipo di assunzione. «Si crea manodopera, sempre più derelitta, sempre più in difficoltà e sempre più povera, disponibile a lavorare a qualsiasi condizione, perché altrimenti non ce la fa», è l’accusa lanciata dal Pd durante il confronto a Montecitorio.
La maggioranza respinge al mittente questa critica: «L’obiettivo è di favorire l’assunzione di quelle fasce di persone più in difficoltà», ribatte Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia, che da presidente della commissione Lavoro alla Camera ha seguito da vicino il provvedimento.
Di sicuro la stabilizzazione resta una chimera. Poco male. Da FdI c’è la rivendicazione dell’ampliamento della platea di lavoratori stagionali riducendo le tutele. «Conciliamo la necessità di tutelare i lavoratori con quella di garantire alle imprese la flessibilità», sottolinea Rizzetto. Ma «così diventa tutto stagionale, indebolendo i diritti dei lavoratori», sintetizza Gribaudo.
La rotta è tracciata. Non stupisce che sia stato nascosto il progetto di legge sul salario minimo. Nello scorso dicembre, ormai quasi un anno fa, la maggioranza ha adottato un testo base, stravolgendo già i contenuti della proposta delle opposizioni, per una normativa sulla materia più vicina alla visione della destra. Ciononostante il testo è nei cassetti del Senato, solo il 2 ottobre è stata nominata la relatrice, la leghista Tilde Minasi.
Tempi e modi che lasciano intendere come non sia affatto una priorità del governo. Molto più attento a eliminare le regole viste come lacci. E, con una parafrasi sicuramente poco gradita alla destra post missina, riecheggia un monito: lavoratori di tutt’Italia, precarizzatevi!
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