Se sul piano nazionale Forza Italia è stata buona dopo le europee, senza chiedere nulla al governo, nella regione Lazio le cose vanno diversamente. Senza troppe remore, i forzisti pretendono maggiore spazio in giunta e Fratelli d’Italia non vuole cedere.

In mezzo c’è il presidente della regione, Francesco Rocca, legatissimo a Giorgia Meloni, che ha assunto una posizione pilatesca. «I partiti trovino la soluzione», ha osservato. Un comportamento «sintomo di una sostanziale diffidenza verso la sua maggioranza», spiegano fonti di FdI.

Intanto il partito di Antonio Tajani si muove come una falange. Il coordinatore regionale, il senatore Claudio Fazzone, è sostenuto dal collega Claudio Lotito. Alle europee il partito è andato bene.

Ma prima del rafforzamento elettorale c’è stata la crescita del gruppo consiliare, passato da 3 a 7 unità, grazie all’arrivo di 2 eletti dal Movimento 5 stelle e altri 2 provenienti dalla Lega, che da parte sua è ridotta ai minimi termini: in consiglio regionale ha un solo rappresentante.

Rimpasto in vista

«Fratelli d’Italia ha la vicepresidenza della giunta con Roberta Angelilli, la presidenza del consiglio regionale con Antonello Aurigemma e la delega alla Sanità direttamente nelle mani del presidente Rocca. È oggettivamente esagerato», spiega una fonte forzista.

«Cosa c’è di male a fare un rimpasto?», è il ragionamento che viene fatto a microfoni spenti.

La tensione si è riversata sui vertici regionali, con Paolo Trancassini, potente deputato e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, ad arginare le richieste di FI. C’è stato un tentativo di portare la questione all’attenzione dei leader nazionali, con Tajani disponibile a parlare con Meloni. Ma la premier preferisce starne alla larga.

La crisi politica ha provocato una paralisi. Per oltre 70 giorni non ci sono state convocazioni del consiglio, mentre alle riunioni di giunta ci sono state “assenze tattiche” degli assessori di Forza Italia. Il 15 ottobre è arrivato Godot: c’è stato un consiglio regionale.

Ma senza rimpasto è stato un esercizio di stile. Il capogruppo di Forza Italia, Giorgio Simeoni, ha agitato lo spauracchio di un possibile appoggio esterno del suo partito. «L’unica certezza è che non si andrà a elezioni, una soluzione verrà trovata», assicurano in maggioranza.

E, se la battaglia per le poltrone è in atto, a meno di due anni dalla vittoria di Rocca emerge tutta la debolezza dell’operato della giunta di destra. Addirittura su quello che era il suo cavallo di battaglia: la sanità.

Il Lazio, secondo i dati Gimbe, nel 2023 ha avuto una delle incidenze più alte per la rinuncia alle prestazioni sanitarie: il 10,5 per cento della cittadinanza ha infatti preferito curarsi altrove. Un numero in aumento, rispetto al 2022, del 3,6 per cento. «I cittadini rinunciano alle prestazioni sanitarie per andare altrove. È molto grave», dice Alessio D’Amato, candidato per il centrosinistra alle regionali e ora consigliere di Azione.

Ma non è il solo problema. «Rocca somma la funzione di presidente e assessore alla Sanità: è un’anomalia insieme al commissariamento delle Asl», insiste D’Amato.

Soldi ai privati

E se, da una parte, i cittadini rinunciano a curarsi nel Lazio, dall’altra l’amministrazione regionale ha deciso di finanziare la sanità privata. Ha fatto discutere la scelta, assunta lo scorso dicembre, di destinare oltre 8 milioni di euro per il progetto “Pronto soccorso” alla Croce rossa, senza un bando di gara. La decisione di Rocca, in passato presidente della Cri, ha creato disappunto.

I consiglieri dell’opposizione hanno ricordato che, a oggi, i fondi regionali complessivi destinati dal presidente Rocca a strutture private per posti letto aggiuntivi sono quasi 50 milioni di euro, in tre diverse delibere, cui vanno aggiunti gli ulteriori oltre 8 milioni dati alla Croce rossa. Giancarlo Cenciarelli, segretario generale Fp Cgil Roma e Lazio, spiega che si sta assistendo «a un impoverimento costante del sistema sanitario pubblico. A oggi, in Lazio, non vediamo un’inversione di tendenza».

La giunta regionale ha stanziato peraltro 17 milioni di euro per garantire alle aziende sanitarie la possibilità di erogare 400mila prestazioni “fuori soglia”, ovvero esami e visite che superano i tempi di garanzia previsti per le liste di attesa dalla normativa vigente.

Per Cenciarelli «non sono fondi esclusivamente dati alla sanità pubblica. Una quota consistente andrà al privato accreditato». Nelle carte si legge che qualora non fosse possibile l’erogazione delle prestazioni aggiuntive o l’utilizzo dell’attività libero-professionale intramuraria, «le aziende sanitarie potranno far ricorso alle strutture private accreditate del proprio territorio». Un gioco facile: con la strutturale mancanza di personale, non si potrà mai far fronte, attraverso il solo servizio sanitario pubblico, alle prestazioni fuori soglia.

Da qui il ragionamento che circola in ambiti della sanità laziale: con gli otto milioni di euro dati alla Croce rossa si sarebbero potuti pagare circa 160 infermieri della funzione pubblica, senza esternalizzare i servizi.

C’è inoltre un grave problema legato alla scarsa adesione alle campagne di screening oncologici. Per l’Osservatorio nazionale sugli screening, nel 2023 il Lazio è risultato tra le regioni peggiori d’Italia in termini di prevenzione.

La consigliera del Pd, Eleonora Mattia, ha attaccato: «La maggioranza di centrodestra ha completamente definanziato, per il 2024, la realizzazione di programmi di screening condotti sulla popolazione a rischio di sviluppo di neoplasie polmonari, finanziati fino al 2023».

Le mancanze dal punto di vista degli screening oncologici riguardano anche la mancata estensione degli stessi per la diagnosi precoce del tumore della mammella dai 45 ai 74 anni. Ma poco male. Tra giunta e consiglio regionale la destra pensa a ripartire le poltrone.

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