- Dal 2019 ad oggi, ogni venti giorni nello scalo genovese getta l’ancora una delle sei navi cargo della Bahri, già carica di armamenti ed equipaggiamenti militari o pronta a caricarne di nuovi negli scali statunitensi verso cui fa rotta prima di tornare in Arabia Saudita.
- Il contenuto di queste “navi della morte” finisce poi nelle mani della Guardia civile saudita, tuttora impegnata in scenari di guerra come quello yemenita.
- ll Collettivo autonomo dei lavoratoti portuali Calp organizza una nuova protesta per il 22 luglio, in concomitanza con l’arrivo nello scalo genovese della Bahri Jazan.
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Tra le centinaia di compagnie italiane e straniere che attraccano ogni giorno nel porto di Genova ce n’è una che da due anni a questa parte ha attirato l’attenzione del Collettivo autonomo dei lavoratoti portuali (Calp): la saudita Bahri.
Dal 2019 ad oggi, ogni venti giorni nello scalo genovese getta l’ancora una delle sei navi cargo della Bahri, già carica di armamenti ed equipaggiamenti militari o pronta a caricarne di nuovi negli scali statunitensi verso cui fa rotta prima di tornare a Gedda, in Arabia Saudita. Il contenuto di queste “navi della morte”, come denunciato dal Calp e dall’osservatorio Weapon Watch, finisce poi nelle mani della Guardia civile saudita, tuttora impegnata in scenari di guerra come quello yemenita.
Genova negli ultimi anni è diventato quindi uno snodo fondamentale nella catena di approvvigionamento che collega l’Arabia Saudita e l’America del Nord, contribuendo suo malgrado ad alimentare quei conflitti che dilaniano tuttora il Medio Oriente. Contro questa complicità indiretta si sono alzate le voci di protesta dei portuali del Calp, che dal 2019 chiedono l’intervento dell’Autorità portuale e del Governo per fermare i traffici di armi diretti verso Paesi in guerra o che violano i diritti umani. Nel rispetto dell’articolo 11 della Costituzione e della legge 85/1990 che regola esportazione, importazione e transito di armamenti attraverso i porti italiani.
L’inizio della protesta
La protesta dei lavoratori del Calp ha avuto inizio a maggio del 2019, quando i portuali si rifiutarono di caricare sulla Bahri Yanbu due generatori registrati per uso civile ma che sarebbero stati in realtà impiegati dalla Guardia civile nel conflitto in Yemen. La nave, come rivelato in seguito da un’inchiesta giornalistica francese, trasportava anche carri armati Caesar destinati sempre alle forze della coalizione a guida saudita attive contro i ribelli houthi.
Quella prima azione di boicottaggio dei lavoratori contro la nave saudita fu un successo. La compagnia Bahri si vide costretta a rinunciare allo scalo di Genova, segnando così la prima vittoria per il Collettivo autonomo e dando inizio al braccio di ferro tra portuali e Arabia Saudita. L’impegno contro il traffico di armi nel porto di Genova, però, è costato caro a cinque lavoratori del Calp, finiti sotto inchiesta per associazione a delinquere e tuttora in attesa di processo.
Una reazione, quella della giustizia italiana, ben diversa dal sostegno dimostrato invece da Papa Francesco, che a luglio ha anche ricevuto una delegazione del Calp per esprimere la propria vicinanza al movimento anti-militarista nato nel porto di Genova.
Nonostante i problemi giudiziari, la battaglia dei lavoratori del Calp non si è fermata. Come spiegato più volte dagli stessi membri del Collettivo, le azioni di boicottaggio contro la Bahri continueranno finché Governo e Autorità portuale non adotteranno un codice etico di rifiuto dei traffici di armi verso Paesi coinvolti in teatri di guerra o che violano i diritti umani.
Queste stesse istanze sono alla base della protesta lanciata dal Calp per il 22 luglio, in concomitanza con l’arrivo nello scalo genovese della Bahri Jazan. Il cargo saudita, come specificano dal Collettivo, dovrebbe trasportare anche questa volta armi ed esplosivi, rappresentando tra l’altro una minaccia per la sicurezza degli stessi lavoratori, data la pericolosità del carico.
La mancanza di informazioni e di trasparenza sul contenuto delle navi che approdano a Genova è un altro dei problemi sollevati dai portuali del Calp, che chiedono alle autorità competenti la pubblicazione dei dati sui carichi in movimentazione e transito negli scali italiani. Ad oggi, infatti, le uniche prove che si hanno a disposizione sui traffici di armi della compagnia Bahri sono quelle raccolte dai portuali o da Weapon Watch e pubblicate in rete dallo stesso Collettivo.
Dio vi benedica
Un esempio recente è quello del carico della Bahri Hofuf, approdata a Genova il 4 luglio e contenente al suo interno dodici container con esplosivi ed elicotteri da combattimento Boeing Apache venduti dagli Stati Uniti all’Arabia saudita. Che ha anche chiesto alla compagnia produttrice di incidere sul fianco dei velivoli la scritta “God Bless You” (Dio vi benedica).
Nonostante le azioni di boicottaggio e le richieste avanzate dal 2019 dai portuali di Genova, ad oggi il Governo italiano non solo non ha fatto nulla per meglio regolamentare il traffico di armi, ma ha anzi allentato le restrizioni imposte alle esportazioni di materiale bellico verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, precedentemente sospese a causa del coinvolgimento di entrambi i Paesi nel conflitto in Yemen.
In mancanza di un intervento da parte delle istituzioni, al Collettivo non resta che la strada del boicottaggio e degli scioperi, riducendo così la competitività dello scalo di Genova e costringendo la Bahri a rinunciare volontariamente al porto ligure. In attesa di una regolamentazione sul traffico delle armi che metta al primo posto i diritti umani e non gli interessi economici.
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