Emiliano Nanni ne ha prodotte 31mila complessive di 157 personaggi: da Aldrovandi a Borsellino, da Siani a Zaki. Il ricavato sostiene azioni benefiche. L’ambizione di portarle nelle scuole, la questione dei diritti d’immagine
Quando Emiliano Nanni sfoglia la sua collezione, viene da credere che il mondo possa davvero stare tutto dentro a un album. «Il grande valore delle figurine è che fanno storia e cultura». Ne ha 55mila. Arrivano dall’Argentina, dal Brasile, dai Paesi della ex Jugoslavia. Ci sono le mitiche Panini e le straordinarie Topps, quelle confezionate negli Usa. Attraversano lo spazio. E il tempo, ovviamente. Come l’album del 1936 sui Giochi di Berlino, un librone alto così che sembra più un’enciclopedia e «che pesa una tonnellata». Emiliano lo sfiora quasi fosse un petalo. «Questo è un album incredibile: fatto immediatamente dopo le Olimpiadi. Ci sono le svastiche e Hitler. Ma c’è anche la figurina di Jesse Owens, che vinse quattro medaglie d'oro in faccia ai nazisti. Negli anni Venti e Trenta in Germania le figurine le davano coi pacchetti di sigarette. Da noi le compravi con caramelle e cioccolatini».
La genesi
Più che un collezionista, Emiliano è uno che sente la storia scorrergli fra le dita. La prima volta che incontrò le figurine era il ’77; a Bologna, dove è cresciuto, era la stagione delle lotte e delle rivolte studentesche e lui era un bambino. «Il giorno della morte di Francesco Lorusso tornavo con mia madre da una visita al Sant’Orsola. Un gruppo di manifestanti fermò l’autobus, ci fecero scendere e poi gli diedero fuoco. Fu uno choc. Mamma aveva fatto il ’68, sapeva come muoversi: entrammo in un bar, abbassarono la saracinesca e aspettammo. Più tardi, a casa, mio padre si presentò con un sacco pieno di figurine. “Tieni”, mi disse. Associo quella giornata drammatica anche a un’immensa felicità».
Con il tempo la passione di Emiliano si è trasformata in un’esperienza collettiva, più grande. Adesso che di anni ne ha più di cinquanta, le figurine sono diventate un modo per avvicinare i giovani al sociale. Dal 2015 ha messo in piedi il progetto Figurine Forever, un’associazione senza fini di lucro. Oggi vanta 30.913 figurine stampate di 157 personaggi. Dalla loro vendita e ridistribuzione sono stati raccolti 52.476,37 euro. I conti si fanno al centesimo perché ogni figurina è importante.
L’associazione ha sostenuto attività per Amnesty International, per l’Aned, per diverse onlus. Sono stati raccolti soldi per l’alluvione in Emilia-Romagna. All’inizio era solo un modo per far parte del «variegato mondo delle figu», ma non ci è voluto molto perché l’idea prendesse nuove e più ampie direzioni. «Ho pensato: usiamo il fascino di questo oggetto per fare qualcosa di diverso, per far conoscere, crescere e sensibilizzare. Insomma, per tenere viva la memoria storica».
Prima con “Adotta con una figurina”: l’associazione ritira i pacchi di doppie («Eddai, chi non ha una scatola di scarpe con le figurine dentro casa?»), le seleziona, le rimette sul mercato (ne hanno raccolte 700.000) e il ricavato va in adozioni in Madagascar e in Bosnia (a Tuzla). «Undici bambini, come una squadra di calcio. Da quest’anno le squadre le abbiamo fatte diventare due».
Ma anche in progetti in Siria e Iraq, in Argentina, per la natura, per le cucine popolari. Più tardi le idee di Emiliano si sono materializzate. «Cioè: figurine vere e proprie. Ma solidali e completamente realizzate da noi». Esistono quattro collane: le celebrative stickers, le fumetto card, le figure della memoria e le forever card.
I personaggi
Dietro ogni collezione c’è un universo di cultura. Immortalano vecchie glorie dello sport: da Bud Spencer quando era il grande nuotatore Carlo Pedersoli fino a Gino Bartali e a Giacinto Facchetti. Ma anche Carlo Castellani, l’attaccante che fu deportato a Mauthausen e a cui è intitolato lo stadio di Empoli.
Le figurine tengono viva la memoria di chi non c’è più e di chi è diventato un simbolo di lotta, di resistenza, di vita. Oggi verranno annunciate quelle di Salvador Allende e di Victor Jara a 50 anni dal golpe in Cile.
A settembre quella di Don Pino Puglisi, nel trentennale della scomparsa. Solo poche settimane fa è stata lanciata quella di Argentina Bonetti Altobelli, fondatrice della Cgil e stampata in 1.893 copie in occasione dei 130 anni della Camera del Lavoro. Ne hanno realizzata una di Patrick Zaki, mentre era ancora in carcere in Egitto per aver scritto alcuni post su Facebook; un’altra per Blue Girl, Sahar Khodayari, la ragazza iraniana andata allo stadio per vedere il calcio e incarcerata dal regime. Per protesta si diede fuoco, è morta nel 2019.
C’è la figurina di Paolo Borsellino, e quelle dei partigiani Bruno Neri e Vittorio Bellenghi. Lo scorso febbraio è uscita quella di Giuseppe Salvia, il vicedirettore del carcere di Poggioreale ucciso per volontà del camorrista Raffaele Cutolo nel 1981. «Ho parlato con Antonino, il figlio, che lavora al Ministero di Grazia e Giustizia. L’abbiamo presentata a Poggioreale. Spero che si possa fare anche in una scuola, perché puoi parlare e parlare e parlare ma dare in mano una figurina a un ragazzo è tutta un’altra cosa. Il messaggio arriva di più». E poi ci sono le figurine legate alle antimafie, realizzate con i Maestri di strada, a Napoli, in memoria del diciannovenne Ciro Colonna e del giornalista Giancarlo Siani uccisi dalla camorra.
I diritti d’immagine
Il punto più delicato del lavoro di Nanni riguarda le liberatorie. La questione è complessa. Lo è anche per case editrici di grande distribuzione come Panini o Topps, figuriamoci per lui. Fino a Euro2016 per esempio, era la Topps a detenere i diritti per la nazionale inglese.
Tant’è che negli album Panini i giocatori dell’Inghilterra non potevano indossare la maglia ufficiale. I casi sono tanti. Eclatante quello dell’Iran a Francia ’98 che aveva ceduto i diritti alla Ds, un editore modenese. L’album Panini di quel Mondiale uscì senza la nazionale iraniana. Danno d’immagine per chi non concede i diritti? Difficile dirlo. Di sicuro ci sono zone del mondo in cui le restrizioni sono meno severe. In Perù, per esempio, nel 2018 vennero realizzati quasi sessanta album diversi per il ritorno della nazionale ai Mondiali.
Le figurine si vendono e dunque per ogni creazione l’attenzione deve essere totale, Emiliano lo sa. «Chiediamo i permessi agli interessati o alle famiglie. Riceviamo anche dei no». Per la stampa si sono affidati all’editore Qubotondo di Venezia, che fa anche da grafico. Ma il resto è tutto by Emiliano. «Non è facile. Magari ti presenti da una famiglia che ha perso una persona cara, che ha vissuto tragedie e tu gli dici: “Vogliamo fare una figurina”. Ti prendono per pazzo». C’è chi capisce, allora si apre uno squarcio nell’eternità. «Il padre di Federico Aldrovandi teneva la figurina di suo figlio tra le mani. Mi disse che per un istante aveva provato un attimo di serenità. L’obiettivo primario è questo: condividere, mantenere attiva la memoria, sensibilizzare». Cose da attaccare sugli album della nostra vita.
© Riproduzione riservata