- La procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiuso le indagini sull'orribile mattanza compiuta nel carcere Francesco Uccella, il 6 aprile 2020, dagli agenti della polizia penitenziaria, coperti e sostenuti dall'intera catena di comando.
- Sono coinvolte 120 persone che rispondono a vario titolo di tortura pluriaggravata, abuso di autorità, frode processuale, falso in atto pubblico, depistaggio, calunnia...
- In quel pestaggio di stato un detenuto algerino di 27 anni, Lamine Hakimi è morto dopo le botte, le violenze subite e un duro e ingiustificato regime di isolamento.
La procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiuso le indagini sulla mattanza compiuta nel carcere Francesco Uccella, il 6 aprile 2020, dagli agenti della polizia penitenziaria, coperti e sostenuti dall'intera catena di comando.
A distanza di neanche 18 mesi dall'evento, i magistrati hanno inviato agli indagati l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Sono coinvolte 120 persone che rispondono a vario titolo di tortura pluriaggravata, abuso di autorità, frode processuale, falso in atto pubblico, depistaggio, calunnia, ma anche di cooperazione nell'omicidio colposo di un recluso.
Perché in quel pestaggio di stato, che Domani ha documentato anche pubblicando i video, un detenuto algerino di 27 anni, Lamine Hakimi è morto dopo le botte, le violenze subite e un duro e ingiustificato regime di isolamento.
La morte di Hakimi, il 4 maggio, rappresenta una pagina buia che rende quel pestaggio organizzato nei confronti di detenuti inermi, una delle giornate più nere della storia recente del nostro paese.
I magistrati, nell'avviso di conclusione delle indagini, evidenziano che hanno acquisito, attraverso numerosi interrogatori svolti, altri elementi indiziari in merito all'omicidio colposo di Hakimi.
L'orribile mattanza
Durante il primo lockdown, deciso per contenere il contagio da Covid-19, in carcere non ci sono mascherine, acqua potabile, biancheria e arriva anche il virus che contagia un recluso. Lo stato risponde con un pestaggio generalizzato, con un abuso di potere. Una violenza definita «orribile mattanza» da Sergio Enea, giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza con cui ha disposto 52 misure cautelari (arresti e interdizioni) per agenti e dirigenti, incluso il provveditore regionale per le carceri della Campania, lo scorso giugno.
I video di quella mattanza hanno confermato le denunce e le nostre inchieste giornalistiche sugli eventi del 6 aprile nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere.
Quel giorno 283 agenti della polizia penitenziaria hanno partecipato alla caccia ai detenuti, una repressione furiosa, contro persone disarmate e inermi del reparto Nilo, quello dove sono presenti prevalentemente persone con problemi di tossicodipenza o disturbi mentali.
«Li abbattiamo come vitelli», «domate il bestiame», «chiave e piccone», dicono gli agenti penitenziari nelle chat finite agli atti dell'inchiesta della procura, guidata da Maria Antonietta Troncone che ha coordinato l’indagine insieme al procuratore aggiunto Alessandro Milita (pm Daniela Pannone e Alessandra Pinto). Un'inchiesta che ora arriva a un punto di svolta con la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, preludio della possibile richiesta di rinvio a giudizio.
In 120 rischiano il processo
Sono 177 le persone offese, all'epoca detenute presso il carcere di Santa Maria, vittime della mattanza di stato, gli indagati sono 120, tra questi c'è anche l'allora provveditore regionale Antonio Fullone, rimasto al suo posto nonostante, come altri, fosse coinvolto nell'indagine.
La procura chiarisce i numeri delle contestazioni e i detenuti coinvolti, da vittime sacrificali, nella spedizione punitiva. «Per gli abusi, pestaggi, lesioni, maltrattamenti e comportamenti degradanti e inumani, attuati nella giornata del 6 aprile 2020, era stata ritenuta la gravità per il delitto di concorso in tortura ai danni di 41 detenuti; di maltrattamento aggravato ai danni di 26 detenuti; di concorso in lesioni personali ai danni di 130 detenuti», scrivono i magistrati sammaritani.
La procura richiama un altro aspetto che completa aggravandolo il quadro. «I delitti sono aggravati dalla minorata difesa, dall'aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la funzione pubblica, con l'uso di arma (il manganello) e dell'aver concorso nei delitti un numero di persone di gran lunga superiore alle cinque unità», scrivono i pubblici ministeri.
Un ultimo aspetto, più volte denunciato e che chiamerebbe il ministero della Giustizia a un'assunzione di responsabilità maggiore, riguarda i tanti agenti, muniti di caschi, non ancora identificati e provenienti da altri istituti penitenziari. Agenti che continuano a svolgere servizio per conto della repubblica italiana.
Un'indagine che si avvia rapida verso il processo e che mette sotto accusa l'intera catena di comando. Le istituzioni avevano risposto con il silenzio e con la menzogna nonostante l'esposto del garante dei detenuti Samuele Ciambriello, le denunce di Antigone, le inchieste di Domani.
L'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini aveva difeso gli agenti spiegando che non potevano certo rispondere con le 'margherite' alle violenze, violenze che non c'erano mai state. Ma non solo lui. Il secondo governo Conte, il 16 ottobre 2020, attraverso il sottosegretario Vittorio Ferraresi, aveva definito la perquisizione straordinaria del 6 aprile nel carcere di Santa Maria Capua Vetere «una doverosa azione di ripristino di legalità». La legalità delle botte e del pestaggio.
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