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Dopo il disastro del 12 giugno, Salvini ha tre test politici, in cui mostrare fedeltà all’esecutivo oppure terremotarlo come tattica per guadagnare il consenso perduto stando al governo.
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Tuttavia, l’ala governista e i ministri capitanati da Giancarlo Giorgetti sarebbero scettici su iniziative estemporanee contro l’esecutivo, considerate pericolose per la tenuta di una maggioranza già stressata anche sul versante del Cinque stelle e poco paganti sul piano dell’immagine pubblica.
- I prossimi giorni saranno tesi, ma nella maggioranza prevale la sensazione che quelle della Lega siano solo schermaglie nel tentativo di recuperare terreno elettorale. Dentro la Lega, invece, la batosta del 12 giugno non è ancora stata assorbita e alimenta la tentazione di iniziative eclatanti.
Il calo di consensi delle amministrative e il flop del referendum mettono all’angolo la Lega e in particolare il suo leader, Matteo Salvini. Con il rischio che a farne le spese sia il governo Draghi e le riforme all’agenda del parlamento.
La valutazione del segretario leghista è tutta politica e l’incognita è se, in questa fase così difficile, sia più pagante il silenzio e la fedeltà all’esecutivo oppure il tentativo di differenziarsi andando all’inseguimento di Fratelli d’Italia all’opposizione. Alle porte ci sono tre test politici che diranno quale delle due strade sceglierà Salvini.
Riforma del Csm
Il primo test è fermo al Senato e riguarda la riforma dell’ordinamento giudiziario. Il tema è delicato perchè il ddl di fatto ingloba anche tre questioni che sono state oggetto dei referendum falliti: la raccolta firme al Csm; la separazione delle funzioni dei magistrati e il voto dei laici nei consigli giudiziari. Sin da quando il testo è arrivato alla Camera, la linea della Lega è sempre stata critica sul testo di mediazione raggiunto dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia.
Pur avendolo votato a Montecitorio, ha annunciato proposte di modifica al Senato che sono arrivate puntuali, proprio durante la campagna referendaria. Nelle ore che precedono l’arrivo del ddl in Aula, proprio la Lega ha bloccato il tavolo di maggioranza: il presidente della commissione Giustizia, Andrea Ostellari, ha fatto capire che la Lega non ritirerà gli emendamenti come è stato chiesto dal governo.
Così facendo, però, l'iter di approvazione verrà rallentato e il testo sottoposto a un pericoloso test d’aula, anche perchè gli emendamenti leghisti ricalcano i quesiti referendari. Dunque, i partiti di maggioranza che hanno fatto campagna per il sì – Italia Viva e Forza Italia – essere in difficoltà a non votarli. Questo creerebbe però un enorme pericolo per il governo: modificare il ddl significa rispedirlo alla Camera e quindi, di fatto, renderlo difficilmente approvabile entro il termine della legislatura.
Da via Arenula trapela la volontà di chiudere il testo il prima possibile, ma anche il convincimento che quelle della Lega siano schermaglie politiche senza vera potenzialità di nuocere alla riforma. Tuttavia, le prossime ore saranno determinanti per capire se Salvini intende portare avanti la sua linea anche a costo di creare un caso politico.
Ddl concorrenza
Gli altri due test, invece, avranno luogo alla Camera. Il primo riguarda il ddl concorrenza, che è già stato approvato al Senato ma, in base a un accordo politico di maggioranza, verrà modificato anche a Montecitorio. Dopo il braccio di ferro sui balneari, infatti rimangono aperte le norme su taxi e Ncc, a cui il centrodestra è stato particolarmente attento. La Lega, in particolare, ha chiesto lo stralcio della delega al governo a mettere mano al meccanismo delle licenze, e ha fatto sapere che darà battaglia.
L’ufficio di presidenza della commissione Attività produttive ha fissato per il 27 giugno il termine per gli emendamenti e i relatori sono Gianluca Benamati del Pd e Barbara Saltamartini della Lega, che vigilerà sugli interessi del suo partito. Anche in questo caso, come sulla questione dei balneari, dal governo trapela cauto ottimismo sulla possibilità di risolvere la questione senza strappi, nonostante le intransigenze leghiste.
Riforma fiscale
La riforma fiscale ha ripreso il suo iter in commissione Finanze alla Camera e l’obiettivo è farlo arrivare in Aula il 20 giugno. Il testo viene da sette mesi di polemiche e trattative e il nodo principale ha riguardato la riforma del catasto e i possibili conseguenti aumenti delle tasse. Almeno sulla carta, è stato trovato un accordo di governo con il centrodestra e l’articolo è già stato votato. Tuttavia, anche alla luce degli ultimi eventi politici, bisognerà verificare la tenuta del patto con il voto finale della riforma in commissione.
Su tutti e tre i testi di riforma, il problema della Lega sembra più politico che di merito. Fonti di governo sono convinte di poter arginare Salvini e garantiscono che tutti e tre i ddl verranno approvati, dalla Lega invece si fanno insistenti le voci dell’irrequietezza di Salvini. Il leader starebbe cercando un modo per riposizionarsi in modo elettoralmente più pagante e uscire dalla scia del governo sarebbe una delle strategie sul tavolo.
Tuttavia, l’ala governista e i ministri capitanati da Giancarlo Giorgetti sarebbero scettici su iniziative estemporanee contro l’esecutivo, considerate pericolose per la tenuta di una maggioranza già stressata anche sul versante del Cinque stelle e poco paganti sul piano dell’immagine pubblica.
Il rischio di tirare troppo la corda, infatti, è che si spezzi: Mario Draghi non è disposto a farsi logorare, mentre Salvini difficilmente potrebbe reggere il peso politico di aver fatto cadere il governo. Su questo contano i vari ministeri che seguono i tre dossier, tuttavia l’attenzione è massima. La Lega, infatti, potrebbe trovare utile sponda in Italia Viva, visto che anche il partito di Matteo Renzi sta facendo resistenza a ritirare gli emendamenti sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e ne ha presentati altri sulla riforma fiscale.
I prossimi giorni saranno tesi, ma nella maggioranza prevale la sensazione che quelle della Lega siano solo schermaglie nel tentativo di recuperare terreno elettorale. Dentro la Lega, invece, la batosta del 12 giugno non è ancora stata assorbita e alimenta la tentazione di iniziative eclatanti. C’è la volontà di «non cedere su ciò che riteniamo utile a riformare il paese», dice un parlamentare leghista della commissione Giustizia, tuttavia nessuno si sbilancia al punto di mettere davvero in discussione la tenuta dell’esecutivo.
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