Con il via libera della commissione Bilancio della Camera, è arrivato in aula il testo della manovra 2025, con 144 articoli che comprendono misure fiscali come il taglio del cuneo, le norme sulle pensioni e quelle sulla revisione della spesa. Dopo il voto di fiducia a Montecitorio, l’iter normativo porterà – entro il 31 dicembre – all’approvazione al Senato del ddl definitivo, per cui sono previste misure per 30 miliardi.

Tra gli aggiustamenti rispetto alla versione depositata a fine ottobre ci sono precisazioni sul riordino delle detrazioni: le spese sanitarie e quelle relative ai mutui per la casa saranno escluse dal tetto della revisione. È previsto un piccolo rialzo per le pensioni minime (2,2 per cento nel 2025 e 1,3 per cento nel 2026) e un’estrazione in più del Superenalotto, ogni venerdì.

Un percorso tormentato

La strada della legge sembrava in discesa a causa delle poche risorse e di un limitato spazio per nuove misure, ma i tempi per l’approvazione si sono allungati rispetto alle previsioni, con l’approdo in aula che è slittato al 19 dicembre. Ora l’obiettivo del governo è licenziare il testo, ricorrendo alla fiducia, il 20 dicembre. La manovra si sposterà poi in Senato, dove la commissione Bilancio la approverà senza ritocchi e l’aula darà il via libera definitivo entro la fine dell’anno, così da evitare l’esercizio provvisorio.

I ritardi sono legati alle mosse dei relatori di maggioranza, che hanno depositato molti emendamenti, tra cui quello sull’aumento degli stipendi per i ministri non parlamentari (poi riformulato). In una lettera al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, le opposizioni hanno criticato la mancata presenza delle relazioni tecniche, denunciando «l’impossibilità di valutare le misure». Fontana ha però confermato l’iter, dato che la manovra è «fisiologicamente eterogenea e comprensiva di vasti interventi».

Irpef a tre aliquote

All’articolo 2 della legge il governo ha confermato il doppio taglio di Irpef e cuneo fiscale, le misure simbolo della manovra 2024 e in scadenza a fine anno. I due provvedimenti, che insieme valgono circa 15 miliardi di euro, sono coperti per oltre la metà attingendo al Fondo per la riduzione della pressione fiscale e a quello per l’attuazione della delega fiscale.

La riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, ottenuta un anno fa con l’accorpamento dei primi due scaglioni all’aliquota più bassa del 23 per cento, vale 4,3 miliardi e riguarda 25 milioni di contribuenti nella fascia di reddito medio-bassa. A questi ha portato e porterà benefici fino a 260 euro l’anno, anche se va considerato il meccanismo del fiscal drag, per cui ciò che lo stato taglia in termini di tasse rischia di mangiarselo l’inflazione.

Niente da fare, invece, per un ulteriore taglio dell’Irpef, con l’abbassamento dell’aliquota intermedia dal 35 al 33 per cento. Non è bastato lo sforzo messo in campo con il concordato preventivo biennale, previsto anche per spingere su una nuova riduzione dell’imposta. I termini per le adesioni tardive al concordato sono scaduti il 12 dicembre, dopo il flop della prima finestra chiusa il 31 ottobre: l’esecutivo sperava di raccogliere almeno due miliardi di euro, ma le stime si fermano a 1,6 miliardi in due anni.

Il taglio del cuneo

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha reso strutturale anche il taglio del cuneo fiscale, cioè la riduzione della differenza fra il lordo e il netto in busta paga. Una misura che fino ad oggi consisteva in un taglio ai contributi Inps per 13 milioni di lavoratori (sostituiti da trasferimenti dal bilancio) e quindi «distorsiva per l’equilibrio previdenziale», come hanno notato Bankitalia e l’Ufficio parlamentare di bilancio.

A ciò si aggiunge la “trappola della povertà” denunciata in più occasioni dall’Upb, in cui cade il lavoratore il cui reddito si alza anche di poco rispetto ai valori soglia di 25mila e 35mila euro, che delimitano i confini del taglio del cuneo. Per questo l’azione del governo sarà doppia.

L’articolo 2 della legge alza la base delle detrazioni sul lavoro da 1.880 a 1.955 euro. Fino a 20mila euro di reddito è previsto il riconoscimento di un bonus non tassabile che varia in funzione del guadagno. Superato questo importo si passa a un meccanismo di detrazioni aggiuntive che vengono riconosciute in busta paga: mille euro tra 20mila e 32mila euro e poi un décalage fino a 40mila euro.

Estesa la flat tax

Il governo ha deciso di proseguire con l’innalzamento del tetto di reddito autonomo, incassato dai dipendenti in attività parallele alla principale, per accedere alla flat tax al 15 per cento: per i dipendenti e i pensionati titolari di partita Iva la legge prevede un mini rialzo – da 30 a 35mila euro – della soglia da non superare per godere dell’aliquota sostitutiva. Il rafforzamento della tassa piatta è stato voluto dalla Lega, che però avrebbe preferito estendere il tetto fino a 50mila euro.

Un’Ires premiale

Tra le mezze vittorie di Matteo Salvini c’è poi il taglio dell’Ires (Imposta sul reddito delle società), con una sforbiciata di quattro punti – dal 24 al 20 per cento – per le imprese che assumono e reinvestono gli utili. Alla misura accederanno solo le aziende che rinunciano alla cassa integrazione per gli anni 2024 e 2025, aumentando l’occupazione dell’1 per cento, e che negli ultimi tre anni hanno avuto una media di occupati non inferiore a quelli del 2025.

Inoltre, per beneficiare del taglio, gli imprenditori devono mantenere l’80 per cento degli utili in azienda, con un investimento minimo del 30 per cento per l’acquisto di macchinari nuovi e più efficienti. Da tempo la misura era chiesta a gran voce dal mondo imprenditoriale, con Confcommercio e Confindustria in testa. Per contenerne il peso per le finanze statali, si è stabilito che il costo complessivo del taglio non potrà superare i 400 milioni di euro.

Il contributo dalle banche

La manovra prevede poi un contributo di solidarietà deciso con banche e assicurazioni, da cui si conta di recuperare 3,5 miliardi in due anni. A questo proposito, è stato escluso un aumento dell’addizionale Ires (gli istituti già pagano un’addizionale del 3,5 per cento in aggiunta all’aliquota ordinaria del 24 per cento) o un incremento dell’Irap (che resterà al 4,65 per cento).

L’articolo 3 della legge prevede invece un contributo sulle somme portate ad aumento patrimoniale – e quindi non distribuite come dividendi – e un anticipo sulle Dta (le imposte differite attive), i crediti d’imposta derivanti da perdite passate delle banche. Nella stessa direzione va anche la stretta sulla tassazione delle stock option che vengono concesse ai manager. La misura vale tre miliardi, mentre altri 500 milioni li metteranno le assicurazioni.

Del resto, era da tempo che Lega e Forza Italia litigavano sull’idea di tassare gli extraprofitti. «Bisogna far pagare i banchieri», aveva detto Salvini ricordando che negli ultimi anni il settore, grazie alla corsa dei tassi di interesse, ha quasi raddoppiato gli utili. Un’insistenza per nulla apprezzata da Forza Italia: «È roba da Unione Sovietica», gli aveva risposto Antonio Tajani. Così l’ipotesi di una nuova tassa ha perso quota, sostituita da una forma di «contributo concordato».

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