Il testo inviato al parlamento mantiene il doppio taglio di Irpef e cuneo fiscale, che diventano strutturali. L’imposta sul reddito delle persone fisiche resta a tre aliquote e ci sono correttivi per la “trappola della povertà”. Per ora escluso l’aumento della flat tax per ricavi fino a 100mila euro: tutto dipenderà dalle entrate del concordato preventivo
In questa scheda aggiorneremo le novità della manovra 2025 sul tema fisco fino alla sua approvazione:
- Il testo depositato in parlamento chiude alla possibilità di una riduzione dell’aliquota Irpef intermedia, come invece sperava Forza Italia. L’ipotesi potrebbe essere ripresa in considerazione se le entrate del concordato preventivo fossero molto alte.
- Il 23 ottobre abbiamo dato conto del nuovo meccanismo per il taglio del cuneo fiscale: il décalage previsto fino a 40mila euro di reddito partirà da 32mila euro e non da 35mila, come inizialmente previsto.
Dopo la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è arrivato alla Camera il testo della manovra 2025, con 144 articoli che comprendono misure fiscali come il taglio del cuneo, le norme sulle pensioni e quelle sulla revisione della spesa. L’iter normativo porterà poi, entro il 31 dicembre, all’approvazione del ddl definitivo, per cui sono previste misure per circa 30 miliardi.
Tra gli aggiustamenti rispetto alle bozze riservate dei giorni scorsi ci sono precisazioni sul riordino delle detrazioni: le spese sanitarie e quelle relative ai mutui per la casa saranno escluse dal tetto della revisione. È previsto un piccolo rialzo per le pensioni minime (2,2 per cento nel 2025 e 1,3 per cento nel 2026) e un’estrazione in più del Superenalotto, ogni venerdì.
L’esame della manovra partirà quest’anno dalla Camera, in base al principio dell’alternanza. Le audizioni davanti alle commissioni Bilancio del parlamento dovrebbero iniziare il 28 ottobre, mentre il termine degli emendamenti sarà fissato tra l’8 e il 10 novembre. Tre i relatori di maggioranza ci sono Ylenja Lucaselli per Fratelli d’Italia, Mauro D’Attis per Forza Italia e Silvana Comaroli per la Lega.
Se lo scorso autunno i parlamentari di maggioranza avevano il mandato di non presentare emendamenti per non stravolgere l’impianto della legge, è difficile che lo schema si ripeta anche quest’anno, alla terza manovra del governo Meloni. Lo hanno già fatto capire le schermaglie fra alleati delle ultime settimane, a partire dal tormentone sulle tasse e sugli extraprofitti.
Irpef a tre aliquote
All’articolo 2 della legge il governo ha confermato il doppio taglio di Irpef e cuneo fiscale, le misure simbolo della manovra 2024 e in scadenza a fine anno. I due provvedimenti, che insieme valgono circa 15 miliardi di euro, sono già coperti per oltre la metà attingendo al Fondo per la riduzione della pressione fiscale e a quello per l’attuazione della delega fiscale.
La riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, ottenuta un anno fa con l’accorpamento dei primi due scaglioni all’aliquota più bassa del 23 per cento, vale 4,3 miliardi e riguarda 25 milioni di contribuenti nella fascia di reddito medio-bassa. A questi ha portato e porterà benefici fino a 260 euro l’anno, anche se va considerato il meccanismo del fiscal drag, per cui ciò che lo stato taglia in termini di tasse rischia di mangiarselo l’inflazione.
Taglio del cuneo
Giorgetti ha reso strutturale anche il taglio del cuneo fiscale, cioè la riduzione della differenza fra il lordo e il netto in busta paga. Una misura che fino ad oggi consisteva in un taglio ai contributi Inps per 13 milioni di lavoratori (sostituiti da trasferimenti dal bilancio) e quindi «distorsiva per l’equilibrio previdenziale», come hanno notato Bankitalia e l’Ufficio parlamentare di bilancio.
A ciò si aggiunge la “trappola della povertà” denunciata in più occasioni dall’Upb, in cui cade il lavoratore il cui reddito si alza anche di poco rispetto ai valori soglia di 25mila e 35mila euro, che delimitano i confini del taglio del cuneo. Per questo l’azione del governo sarà doppia.
L’articolo 2 della legge alza la base delle detrazioni sul lavoro da 1.880 a 1.955 euro. Fino a 20mila euro di reddito è previsto il riconoscimento di un bonus non tassabile che varia in funzione del guadagno. Superato questo importo si passa a un meccanismo di detrazioni aggiuntive che vengono riconosciute in busta paga: mille euro tra 20mila e 32mila euro e poi un décalage fino a 40mila euro.
Flat tax e concordato
È ancora incerto l’aumento della flat tax, l’aliquota sostitutiva del 15 per cento sulle partite Iva che non è inserito nel testo presentato alla Camera. Per accedere al regime forfettario, già scelto da 1,8 milioni di autonomi, bisogna avere ricavi annui inferiori a 85mila euro; ma nel 2024 ne può beneficiare anche chi resta sotto i 100mila euro, che confluirà nel regime ordinario dal 2025. La Lega vorrebbe ora stabilizzare la tassa piatta per i ricavi fino a 100mila euro: un’operazione ancora in forse che costerebbe almeno 500 milioni.
A questa incognita se ne aggiunge un’altra sul fronte delle risorse, a proposito dei proventi del concordato preventivo biennale e del ravvedimento collegato. Varando la misura, l’esecutivo sperava di raccogliere tre miliardi di euro. Un obiettivo che appare difficile da raggiungere nonostante gli incentivi, anche sotto forma di condono, a favore delle partite Iva.
La scadenza per le adesioni è fissata al 31 ottobre e la richiesta dei commercialisti, che vorrebbero rimandarla, sembra destinata a cadere nel vuoto. Se i fondi in arrivo dal concordato dovessero essere sufficienti, il governo potrebbe anche ridurre l’aliquota Irpef intermedia, che va fino a 50mila euro di reddito, dal 35 al 33 per cento. Se ne riparlerà in parlamento non prima di metà novembre.
Contributo dalle banche
La manovra prevede poi un contributo di solidarietà deciso con banche e assicurazioni, da cui si conta di recuperare 3,5 miliardi in due anni. A questo proposito, è stato escluso un aumento dell’addizionale Ires (gli istituti già pagano un’addizionale del 3,5 per cento in aggiunta all’aliquota ordinaria del 24 per cento) o un incremento dell’Irap (che dovrebbe restare al 4,65 per cento).
L’articolo 3 della legge prevede invece un contributo sulle somme portate ad aumento patrimoniale – e quindi non distribuite come dividendi – e un anticipo sulle Dta (le imposte direttive), i crediti d’imposta derivanti da perdite passate delle banche. Nella stessa direzione va anche la stretta sulla tassazione delle stock option che vengono concesse ai manager. La misura vale tre miliardi, mentre altri 500 milioni li metteranno le assicurazioni.
Del resto, era da tempo che Lega e Forza Italia litigavano sull’idea di tassare gli extraprofitti. «Bisogna far pagare i banchieri», aveva Matteo Salvini ricordando che negli ultimi anni il settore, grazie alla corsa dei tassi di interesse, ha quasi raddoppiato gli utili. Un’insistenza per nulla apprezzata da Forza Italia: «È roba da Unione Sovietica», gli aveva risposto Antonio Tajani. Così l’ipotesi di una nuova tassa ha perso quota, sostituita da una forma di «contributo concordato».
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