Giovedì la fiducia alla Camera, venerdì sera il voto finale. Il Senato approverà il testo solo tra Natale e Capodanno, smentendo gli auspici di Giorgetti. Le forzature della destra possono provocare ulteriori rallentamenti nel via libera
Forzature e strappi sono il manifesto della manovra del governo. L’esatto contrario della narrazione della premier, Giorgia Meloni, che ha addirittura parlato di una concordia sull’apposizione della fiducia. L’operazione è stata condotta in maniera spregiudicata, con strategie al limite della correttezza delle procedure istituzionali.
A un certo punto, raccontano a Domani gli esperti degli uffici legislativi di Montecitorio, sono arrivati «documenti che sembravano bozze e che invece venivano messe ai voti, senza relazione tecnica, senza capire nemmeno da chi fossero proposte».
Le manovre sono sempre un grande caos, «ma una cosa così non l’abbiamo mai vista». Per alcuni è stato già un premierato di fatto.
E risuona la frase del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Non è più tanto usuale in Europa approvare le leggi di bilancio in Parlamento. Vedo che altri non lo fanno», ha detto nei giorni scorsi. Nonostante abbia aggiunto «noi continuiamo a farlo», l’affermazione ha fatto scattare qualche sospetto.
Strategia pericolosa
Nel diluvio di riformulazione di emendamenti e di avanzamento di nuove proposte, talvolta arrivate di notte, la destra ha usato un escamotage: gli emendamenti firmati dai relatori della maggioranza, Ylenja Lucaselli (Fratelli d’Italia), Silvana Comaroli (Lega), Mauro D’Attis (Forza Italia) e Francesco Saverio Romano (Noi Moderati), e non dal governo.
Non si tratta solo di un puro tecnicismo. In questo modo la relazione agli emendamenti non doveva essere bollinata dal ministero dell’Economia. Avevano maggiore libertà di azione.
Questa spericolatezza, però, comporta un rischio: l’ulteriore rallentamento, per il rinvio in commissione del testo, e l’esigenza di un esame supplementare. «Non ci sorprenderebbe la necessità di un ritorno in commissione del testo della manovra, un rinvio che non è solo tecnico ma anche politico. Troppi emendamenti non solo non avevano una scheda tecnica, ma neanche coperture», dice Massimo Grimaldi, vice capogruppo di Avs a Montecitorio e in prima linea contro il modus operandi della maggioranza. Un fatto è comunque certo: «Dicevano che entro domenica notte la finanziaria sarebbe nata. Avranno sbagliato settimana», ironizza Grimaldi.
A conti fatti, è finito solo il primo tempo della manovra, quello delle modifiche e del mercanteggiamento di emendamenti vari. Un suk che, come ampiamente chiaro, ha fatto accumulare ritardi.
Ma la partita è ancora tutta da giocare, perché a questo punto i tempi supplementari, al Senato, sono già messi in conto: l’approvazione arriverà tra Natale e Capodanno, probabilmente il 28 dicembre. «Non è un dramma, ci sono cose peggiori», minimizzano dalla maggioranza.
Matteo Renzi solleva una questione sullo stato di salute delle istituzioni: «Chiedo un fioretto per Natale e per il prossimo anno: potete riportare in questo Paese il bicameralismo paritario in cui i parlamentari possano discutere?», attacca il senatore di Italia viva, riferendosi al fatto che a palazzo Madama il provvedimento sarà votato senza alcuna possibilità di modifica.
Certo, è avvenuto con tutti gli ultimi esecutivi. E Meloni ripete pedissequamente il copione.
Manovra debole
E se lo scarso rispetto verso il parlamento è un problema serio, la debolezza della manovra preoccupa. «Non c’è una visione in questo provvedimento in un momento delicato per l’economia», spiega a Domani Vinicio Peluffo, deputato del Pd.
«Da 21 mesi cala la produzione industriale», aggiunge l’esponente dem, «ma il governo non ha pensato a interventi a favore della crescita. Occorreva concentrare gli sforzi sul settore dell’automotive, che vive una fase delicata, e investire di più sulla sanità che è una grande priorità per il paese. Invece hanno elargito mancette, perdendo ore e ore su queste cose».
La vicenda dell’aumento dello stipendio ai ministri non eletti è stata quasi utile: ha drenato gran parte dell’attenzione mediatica, per ovvie ragioni. E intanto è stato inserito un rimborso spese, fornendo risposte ai diretti interessati. Agli atti restano vari aumenti di prelievi, come per alcune tasse aeroportuali, mentre è stato scongiurato solo il rincaro per le autostrade.
In questo clima si innesta l’insoddisfazione che serpeggia nella maggioranza. Forza Italia ha portato a casa quasi niente a differenza di Matteo Salvini che ha ottenuto il massimo, compresi i soldi (1,4 miliardi di euro) per il Ponte sullo Stretto.
«Per questo motivo Tajani si è impuntato per cambiare la norma che piazzava i rappresentanti del Mef o dei ministeri a controllare i conti delle società pubbliche», raccontano fonti parlamentari di FI. Insomma, quantomeno bisognava evitare il peggio.
Il segretario del partito e ministro degli Esteri ha mandato in avanscoperta i fedelissimi per tenere alta la tensione. «Dobbiamo valutare un ulteriore taglio delle tasse con l’intervento sulle aliquote Irpef», incalza il capogruppo di FI alla Camera, Paolo Barelli.
Le risorse provenienti dal concordato, circa 1,8 miliardi di euro, sono state già impegnate da Tajani. Senza nemmeno un minuto di tregua, parte il pressing su palazzo Chigi. E ancora di più sul Mef di Giancarlo Giorgetti, uscito ridimensionato dalla legge di Bilancio in cui sono state cassate tutte le sue misure-bandiera. In ultimo proprio il controllo dei conti per le società beneficiarie di soldi pubblici.
Ma prima di volgere lo sguardo al futuro, occorre rispettare l’obiettivo del governo: approvare la manovra. Così si parte oggi di buon mattino, in aula alla Camera, con la discussione generale sulla manovra. E c’è la questione di fiducia per rimandare tutto a domani (il regolamento di Montecitorio prevede uno stop dei lavori per 24 ore dopo l’apposizione della fiducia), venerdì, per il tour de force delle votazioni. La road-map prevede di chiudere nella tarda serata. Ma la terza legge di Bilancio dell’era Meloni ha insegnato che i desideri del governo non corrispondono sempre alla realtà.
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