In parlamento la norma del 2016 è stata approvata senza alcuna battaglia: la destra ha dato il via libera a un iter velocizzato. Oggi con la campagna elettorale è cambiato l’orientamento
Tutti d’accordo una decina di anni fa. Tutti in ordine sparso oggi, quando ormai migliaia di attività hanno aperto i battenti investendo risorse economiche.
Sulla cannabis light è cominciata la guerra di una parte politica, la destra è diventata apertamente ostile, nonostante in fase di approvazione non abbia affatto eretto barricate. Anzi.
Cannabis light senza intoppi
Tornando indietro nel tempo, gli atti parlamentari mettono nero su bianco la giravolta della destra: la legge è stata approvata sotto il governo Renzi, nel 2016, ma senza furenti dibattiti ideologici. Il via libera è arrivato in una clima di sostanziale unanimità con le opposizioni di centrodestra che hanno lasciato correre. Significativo è il fatto che sia passato nella sede legislativa (o deliberante): significa che l’okay è arrivato direttamente dalla commissione, senza portare il provvedimento in aula.
Una forzatura? No, l’esatto contrario: questo meccanismo è possibile solo se nessun gruppo muove dei rilievi e si oppone alla proposta. Dunque, all’epoca né Lega e né Fratelli d’Italia, rappresentata da una decina di parlamentari, hanno avuto da ridire. Hanno quindi acconsentito all’approvazione semplificata.
Alla Camera il confronto in commissione Agricoltura, sotto l’egida dell’allora sottosegretario renziano Giuseppe Castiglione, non sono stati mai presentati emendamenti barricaderi che puntavano a capovolgere la ratio della norma. Né è rimasto l’eco di strepiti proibizionisti. Perché la cannabis light non era considerata droga, in punto di diritto.
Certo, il cammino non è stato il più veloce possibile, ma per ragioni tipiche dei disegni di legge parlamentari. Il testo è stato incardinato a Montecitorio a gennaio del 2014 e solo nel novembre 2015 c’è stato il via libera. In mezzo, tuttavia, è rientrato il lavoro sui vari testi presentati e uniti in un’unica proposta. Fino a giungere alla definitiva approvazione in Senato alla fine del 2016.
Senza alcun intoppo e nonostante un clima infuocato politicamente dal referendum sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. Insomma, non proprio un’aria da concordia nazionale. Eppure l’apertura alla cannabis light non è stata mai messa in discussione.
Propaganda proibizionista
Cosa è cambiato da allora? Il clima di propaganda. Ancora di più la campagna elettorale delle europee ha esacerbato gli animi e favorito l’offensiva della maggioranza contro i negozi che vendono prodotti con un lieve contenuto dei derivati della canapa.
«Salvini e il governo hanno un’ossessione di lunga data per la cannabis, tanto da voler smantellare un provvedimento che nel 2016 venne approvato in commissione al Senato senza opposizione. Utilizzando per farlo il decreto sicurezza, come se si trattasse di una minaccia all'ordine pubblico», dice a Domani Francesca Druetti, segretaria di Possibile, il partito fondato da Pippo Civati.
«Di fronte a questo ennesimo atto violento e insensato, faccio un appello a tutte le forze di sinistra e progressiste», aggiunge Druetti, che invita a mettere da parte «timidezze e mezze misure. Il proibizionismo ha fallito ovunque: la strada deve essere quella del modello portoghese, con la legalizzazione della cannabis, la depenalizzazione di tutte le sostanze e un investimento serio sui servizi».
Sicurezza e cannabis
Agli atti, comunque, resta l’emendamento presentato al disegno di legge Sicurezza, in esame alla Camera (l’iter riprenderà dopo la pausa elettorale delle europee), equipara in sostanza la cannabis light alla cannabis vera e propria nonostante il thc, la sostanza psicotrope sia allo 0,2 per cento.
A spingere sull’acceleratore sono in particolare Lega e FdI, mentre Forza Italia si mostra un po’ più tiepida proprio per il fatto che in ballo ci sono migliaia di imprese. Lo stato gli ha detto che potevano investire nel 2016 e oggi con un tratto di penna rischia di metterli fuorilegge.
Eppure, la battaglia è stata ingaggiata senza dati alla mano, senza una motivazione concreta. Ignorando anche le decisioni del passato. Con una sorta di amnesia collettiva, da smemorati della cannabis.
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