- Primarie del Pd anticipate di un mese: l’ipotesi del segretario che non regge più le spinte interne. Vuole riconsegnare il partito, ma si intesterà i flop delle regionali.
- Se entro sabato riusciranno a mettersi d’accordo i capicorrente: non più il 12 marzo 2023 ma il 19 febbraio. La data non è ufficiale ed il segretario spiega ai suoi che si tratta ancora di «un’ipotesi».
- Nel frattempo i sondaggi danno i Cinque stelle sopra il Pd. Ed è lo spauracchio del Lazio e della Lombardia: i candidati dem rischiano di arrivare terzi.
Fate presto. Il titolo del Mattino che dal 1980 torna a circolare nelle redazioni in ogni emergenza seria – all’epoca esprimeva la drammatica richiesta di aiuti per scavare sotto le macerie del terremoto dell’Irpinia – stavolta è l’allarme di chi, nel Pd, è rimasto vicino al segretario Enrico Letta. Meglio che le primarie, la famigerata “gazebata”, siano anticipate. E così andrà, se entro sabato riusciranno a mettersi d’accordo i capicorrente: non più il 12 marzo 2023 ma il 19 febbraio. La data non è ufficiale ed il segretario spiega ai suoi che si tratta ancora di «un’ipotesi», che «si deciderà sabato» all’assemblea nazionale che dovrà anche approvare le modifiche statutarie per consentire di votare anche gli ultimi che si iscrivono.
Tagliare i tempi
In ogni caso Letta, che in un primo momento ha tenuto un atteggiamento da garante, ormai si sarebbe arreso alle ragioni di chi chiede di stringere i tempi. Tant’è che a sostenere l’accelerazione oggi sono voci vicine al segretario, e per di più collocate a sinistra, e cioè l’area di Andrea Orlando che invece chiede tempi distesi per il congresso costituente. Non così Marco Furfaro: «Un partito si rinnova, si rigenera e torna ad acquistare credibilità con la lotta politica, facendo valere il ruolo di opposizione a questo governo reazionario». Insomma, è combattendo contro la destra che si ritrova la famosa identità perduta, santo graal dei congressisti dem di ogni corrente, «Si abbia il coraggio di accelerare, come ci chiede tutta la nostra comunità, si faccia partire il congresso».
Tagliare i tempi, dunque, e cioè cambiare la decisione che solo a fine ottobre era stata presa e votata dalla direzione: entro il 16 dicembre doveva essere approvata l’Assemblea costituente nazionale; entro il 22 gennaio, il percorso costituente. Entro il 28 di quello stesso mese l’approvazione del Manifesto dei valori e la presenzione delle candidature alla segreteria nazionale. Poi entro il 26 febbraio il voto degli iscritti, e infine il 12 marzo le primarie tra i due candidati più votati.
Invece si cambia già idea: si stringerà e si taglierà. Cosa, è complicato da capire, sicuramente si accorcerà il numero dei giorni che passano fra il voto del partito e quello dei gazebo. Di accelerare chiede da sempre Base Riformista, che sostiene Stefano Bonaccini, il presidente della Regione Emilia Romagna e candidato fin qui favorito. Certo la fretta non aiuterà la sfidante, ancora anche lei non ufficiale, Elly Schlein, che prima dei gazebo dovrebbe trovare un qualche consenso in un partito in cui non si è ancora neanche iscritta. Ma Letta, dal canto suo, capisce che prima consegna il Pd al successore (o alla successora), e meglio è. Nelle regioni che vanno al voto, si prefigurano già nuove sconfitte. Che saranno contabilizzate, anche quest e dopo l’orribile 25 settembre, sul conto del segretario.
In Lombardia il Pd non voterà Letizia Moratti, non ufficialmente: i due candidati in campo, Pierfrancesco Maran e Pierfrancesco Majorino, potrebbero essere scelti con le primarie ma non hanno grandi chance di vittoria, senza alleati, né terzopolisti né grillini. Stessa situazione nel Lazio per Alessio D’Amato, che da ieri è il candidato ufficiale di tutto il Pd. È sostenuto da Carlo Calenda, ma per questo rischia di perdere l’ala rossoverde, o di svuotarne il peso elettorale.
Nel frattempo i Cinque stelle superano il Pd nelle intenzioni di voto. Secindo ultima media dei sondaggi elaborata da Termometro Politico, relativa alla settimana dal 6 al 12 novembre, ormai il partito di Giuseppe Conte stazione al 17 per cento, mentre quello di Letta scende al 16,8.
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