Enrico Letta fermerà per un giorno, oggi, l’ecotour a bordo del bus elettrico con cui dovrebbe toccare tutte le città italiane. Se l’impresa di fare del Pd il primo partito italiano sembra sfumare nei sondaggi (ma venerdì al Nazareno ne circolava uno di Emg con il Pd addirittura sopra FdI), l’avanzata del veicolo ecologico è segnata: venerdì è partito da Brescia alla volta di Bergamo, ma a una media di 50 km all’ora, con rari picchi di 70, non gli consentirà di andare troppo lontano entro il 25 settembre.

Oggi il segretario comunque volerà a Taranto, accolto dal sindaco “giallorosso” Rinaldo Melucci, eletto lo scorso autunno da una coalizione fra centrosinistra, M5s e altre liste civiche. Ci saranno anche i due ingombranti grandi elettori del Pd Sud Michele Emiliano, presidente della Puglia, e Vincenzo De Luca, presidente della Campania, accompagnato dal figlio Piero, candidato a Salerno.

Senza sconti

La war room del Nazareno venerdì provava a segnalare il giro di boa: ovvero dare come concluse due settimane «horribilis» della risalita di M5s nei sondaggi, della flessione del Pd, degli attacchi furibondi del Terzo Polo. venerdì sono arrivati numeri migliori dai collegi uninominali in bilico di Prato e Napoli. In caso di insuccesso, il segretario sa che dal 26 settembre nessuno gli farà sconti. A partire dai suoi.

Per questo non lascia niente di intentato: solo venerdì ha rilasciato interviste a una decina di quotidiani locali, dalla Gazzetta del Mezzogiorno all’Eco di Bergamo alla Gazzetta di Parma alla Provincia di Cremona. Tutti giornali letti in territori dove il Pd prova la rimonta. Per questo sono allertati tutti i sindaci di area, capitanati da quello di Pesaro Matteo Ricci e di Firenze Dario Nardella. Il 18 settembre, a meno di una settimana dal voto, a Monza è convocata la kermesse degli amministratori democratici delle «città per l’Italia».

Nicola Zingaretti, Eugenio Giani e Stefano Bonaccini sono considerati in pieno servizio. Eppure boatos ormai insistiti danno Bonaccini come pronto, in caso di sconfitta, a lanciarsi alla guida del partito in un nuovo congresso. Non in nome di una corrente – anche se il presidente dell’Emilia-Romagna è vicino a Base Riformista di Lorenzo Guerini –, anzi “contro” le correnti ma a nome di uno schieramento di amministratori e sindaci.

L’assedio

Le stesse voci sostengono che anche il primo cittadino di Bari Antonio De Caro sarebbe della partita. Letta in questi giorni è assediato: dagli attacchi degli avversari, dalle perplessità di alcuni notabili del partito. I suoi rifiutano questa immagine e restituiscono quella di un leader «combattivo», impegnato contro «i draghiani senza Draghi», ovvero Renzi e Calenda, e i «melenscioniani senza Mélenchon», leggasi Giuseppe Conte.

Eppure la rottura con i Cinque stelle, che in un primo momento tutti avevano sostenuto, ha perso padri e madri: ora che i numeri dicono che se ci fosse stato l’accordo con Giuseppe Conte lo spernacchiato campo largo sarebbe stato in partita. Comunque vada, la riapertura del dialogo sarà il tema del 26 settembre, sempreché l’ordine del giorno del Pd non sia più grave.

Lo si capisce da molti segnali. Uno chiaro arriva da Bologna. Il sindaco Matteo Lepore, giovane talentuoso dell’area sinistra del Pd, ma autonomo dalle correnti, ha chiamato il collega di Napoli, l’ex ministro Gaetano Manfredi, a sottoscrivere un «patto» operativo fra due amministrazioni su questioni concrete: politiche urbane, innovazione, giovani. Il protocollo sarà firmato a Napoli dopo il voto. «Dall’esperienza dei sindaci delle città a guida progressista si può costruire un’agenda nazionale urbana che guardi ai bisogni delle persone», dice Manfredi.

Riunire i progressisti

Lepore spiega però che l’idea è più larga ed è quella «riunire dopo le elezioni il centrosinistra parlando delle questioni sociali», «iniziare a lavorare su alcune politiche urbane molto importanti», «due città progressiste come Bologna e Napoli che nelle ultime elezioni amministrative hanno avuto il consenso e il mandato per avere delle coalizioni ampie debbano dare un segnale di cambiamento forte per le persone».

Ma c’è di più, e questo di più non è “dietro” questo primo incontro, è davanti: è rimettere insieme un’area progressista – che in autunno, all’epoca della loro elezione, si poteva ancora chiamare «campo largo», definizione ormai bandita dal lessico politico del centrosinistra – «quella che ha portato quei sindaci a governare le città, e che invece alle elezioni politiche si è presentata divisa e rissosa. A Roma Giuseppe Conte attacca quotidianamente Letta.

Nelle città i sindaci progressisti tengono botta e proteggono le loro maggioranze.Spiega Lepore: «Vogliamo coinvolgere tanti colleghi, e pensiamo che dopo le elezioni si debba riunire il centrosinistra, pensiamo che il nostro compito sia quello, al di là delle appartenenze politiche. Manfredi non è iscritto al Pd, io sì, ma siamo persone libere che hanno costruito un progetto progressista».

Il concetto viene articolato la stessa sera alla festa dell’Unità, in cui Lepore e Manfredi si confrontano con il sindaco di Verona Damiano Tommasi, che anche lui ha vinto con quello che definisce «un campo lungo», e la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero, che invece ha vinto con una coalizione fra Pd e civici che a sua volta comprendeva il Terzo Polo. Il ragionamento di Lepore e Manfredi non dà per scontata la vittoria delle destre, anche perché in campagna elettorale è vietato darsi per già sconfitti. Quello che si dà per indispensabile è, comunque vada, la necessità di ricomporre la rottura fra Pd e Cinque stelle.

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