- Il segretario: «No a chi dice che se vince uno questo non è più il suo partito». Il presidente emiliano da oggi in campo, verso la sfida con la sua ex vice, sostenuta da un pacchetto di mischia di giovani.
- Il congresso accelera, con lo spettro della sconfitta alle prossime regionali. Le primarie si faranno il 19 febbraio, se non coincideranno con il voto in Lazio e Lombardia. Malumori della sinistra. Un ordine del giorno per lo scioglimento delle correnti.
- Dubbi sulla tenuta del partito. Furfaro: «Facciamo un congresso, ma poi tutti insieme sosterremo la linea che vince, quella di un Pd che si è allargato». Ma “sciogliere i nodi” e “restare tutti insieme” fin qui sembrano due obiettivi, ma non per un solo partito.
Nel giorno in cui l’assemblea nazionale del Pd approva la norma ribattezzata “pro Schlein”, perché consente alla giovane neodeputata non ancora tesserata di partecipare alla corsa da segretaria, è Stefano Bonaccini a ptendersi la scena. Mentre ancora a Roma il confronto va avanti, il presidente dell’Emilia Romagna fa circolare la notizia che oggi lancerà la sua corsa.
Stamattina alle 11 e 30 sarà al circolo Pd di Campogalliano, dov’è nato, nel modenese. Il percorso congressuale «è definito», scrive sui social, «per chiunque voglia bene al Pd è il momento di impegnarsi». Lancio accorto, già si capisce: un omaggio alla tradizione di partito, parlerà ai suoi primi compagni di circolo ma farà la diretta sui social.
È la vera partenza del congresso, al di là della retorica del percorso “costituente”, fin qui molto nominato o poco praticato. Bonaccini è il primo dei veri papabili che ufficializza la corsa. Una corsa che potrebbe diventare un affare tutto emiliano se a sfidarlo sarà Elly Schlein, fino a poche settimane fa la sua vice in regione.
A Roma intanto Enrico Letta ha riunito l’assemblea nazionale per far votare la modifica statutaria che consente anche ai non tesserati di partecipare al congresso. E magari di vincerlo. I sostenitori di Schlein ne sono convinti. Lei ha sta mettendo insieme un pacchetto di mischia di giovani, fin qui si sa di Brando Benifei e Marco Furfaro. Ma per passare al “primo turno”, cioè al voto dei circoli, dovrà accettare, se non cercare, l’appoggio di alcune delle vituperate correnti: fin qui si parla di Areadem, guidata da Dario Franceschini, ma anche la sinistra interna di Andrea Orlando e Peppe Provenzano ci sta riflettendo.
Una segretaria appena iscritta, una movimentista già vicina alle sardine, sarebbe un cataclisma per il Pd. E forse anche un’arma “fine di mondo”. Per questo il segretario deve tenere uniti i suoi. Parla di «orgoglio Pd» per respingere «l’aggressione continua nei nostri confronti», ce l’ha con M5s e Calenda (che è un alleato nel Lazio però), ma anche con i commentatori che consigliano il Pd di sciogliersi.
Letta cerca di tenere alto l’umore dei suoi, ma sfortunatamente sembra tornare a toni della vigilia della sconfitta del 25 settembre quando dice che Alessio D’Amato nel Lazio e Pierfrancesco Majorino, i due candidati alle regionali di Lazio e Lombardia, «corrono per vincere». Le loro vittorie sono improbabili. Si capisce che comunque il segretario teme una scissione: «Non bisogna dare ascolto alle voci di chi dice che se vince uno questo non è più il suo partito e la stessa cosa se vince un altro».
Che confusione
Alla fine della discussione, le modifiche dello statuto passano a larga maggioranza (degli oltre mille componenti l’assemblea, i votanti sono solo 610. I sì sono 553, i no 21, 36 gli astenuti). Ma c’è confusione su tutto, dal percorso congressuale alle stesse modalità dell’assemblea in corso. Lo dimostra il primo intervento: una delegata calabrese si collega ma non sapeva che di poteva partecipare anche in presenza.
Dunque si tagliano i tempi del congresso. Secondo l’articolo dello statuto approvato la direzione nominerà il comitato costituente nazionale che entro il 22 gennaio 2023 elaborerà il «manifesto» del nuovo Pd. Potranno partecipare al congresso anche i cittadini che sottoscrivono l’adesione e gli iscritti ai partiti che aderiscono «con deliberazione degli organismi dirigenti», norma che solo Art.1 sembra voler usare. Entro il 27 gennaio saranno ufficializzate le candidature. In due settimane, e cioè entro il 12 febbraio 2023, i candidati e le loro piattaforme dovranno essere votati dai circoli, e una settimana dopo, entro il 19 febbraio avverrà lo spareggio fra i primi due nei gazebo aperti. Se quest’ultima data coinciderà con le regionali, le primarie slitteranno al 26 dello stesso mese.
Come da tradizione, arriva la rituale richiesta di «scioglimento delle correnti». Stavolta è formale, è un ordine del giorno promosso da Marianna Madia e Lia Quartapelle. «Da troppo tempo bloccano la capacità espansiva del Pd e l’affermarsi di leadership innovative» per Madia, bisogna evitare «che il congresso sia una conta correntizia» per Quartapelle. Viene assunto come raccomandazione, non votato. Peraltro raccoglie critiche: da questo punto di vista è difficile trovare un senza peccato nel Pd, sempreché sia peccato appartenere ad un’area culturale.
Restano dubbi anche in chi vota sì. Brando Benifei segnala che non si capisce «come si dovranno accogliere i contributi dei cittadini per evitare che il congresso costituente sia una nuova agorà». Quanto all’improvvisa mania per gli esterni, Gianni Cuperlo è severo: «Non accetto che il Pd sia considerato una bad company e che il bene sia solo fuori da noi». «Abbiamo salvato le date, ma non sono sicuro che abbiamo salvato il processo costituente», dice il vicesegretario Peppe Provenzano, «Io farò la mia parte. Ma resta il dubbio che qualcuno non ci creda davvero, e che aspetti solo la conta».
È un intervento molto “attenzionato” quello di Alberto Losacco, vicino a Franceschini: «Il percorso congressuale non deve ridursi al ritornello del “se vince quello me ne vado”», che è, dice, «un metodo manicheo», assicura che «dopo il congresso chiunque vinca mi sentirà a casa».
Areadem appoggerà Schlein. Circolano voci che una eventuale sua vittoria sarebbe seguita da un disimpegno del partito da parte dell’area riformista. Calenda e Renzi ci scommettono. «Il punto non è cacciare chi perde, il punto è l’opposto, è allargare il Pd», insiste Marco Furfaro, «Facciamo un congresso, ma poi tutti insieme sosterremo la linea che vince, quella di un Pd che si è allargato». Ma “sciogliere i nodi” e “restare tutti insieme” fin qui sembrano due obiettivi, ma non per un solo partito.
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