«Se davvero la facessero ministra, in Forza Italia succederebbe il finimondo», era qualche giorno fa la sentenza di un influente senatore del partito di Silvio Berlusconi. Eppure è un fatto che Maria Rosaria Carfagna da sempre detta Mara, già ministra alle Pari opportunità ed ex pupilla del Cavaliere, sia entrata nel toto nomine in quota politica del governo Draghi. E alla fine sia stata eletta ministra per il Sud e la Coesione territoriale. Carfagna da Forza Italia «ha un piede dentro e uno fuori», ripete la retroguardia. Il piede fuori sarebbe “Voce libera”, l’associazione da lei fondata come think tank autonoma di analisi politica.

Da ottobre, poi, è in corso un’interlocuzione con “Cambiamo”, il movimento del governatore ligure Giovanni Toti, altro ex pupillo che però ha consumato definitivamente lo strappo dalle origini forziste. Ci sono state riunioni e si è parlato di un progetto autonomo che sta per nascere e per il quale Carfagna avrebbe rifiutato le lusinghe politiche di Italia Viva di Matteo Renzi. «Lei è davvero una donna di destra, non concepisce il passaggio con Renzi», dice chi l’ha sostenuta in questi anni. Del resto, il mito formativo dell’ex ministra rimane uno solo: il centrodestra del primo Silvio Berlusconi, a cui lei si sente ancora legata da un vincolo di fedeltà personale e del tutto svincolato dai colonnelli che ora amministrano il partito. I due si sentono spesso e proprio in questo filo mai spezzato sta la chiave per capire chi è davvero Carfagna.

Il legame con il Cav

Classe 1975 e nata a Salerno da una famiglia della buona borghesia cittadina, padre preside, madre professoressa e un fratello maggiore chirurgo plastico, Mara Carfagna si diploma col massimo dei voti al liceo scientifico, studia pianoforte e danza classica al teatro San Carlo di Napoli e poi a New York. Chi la conosceva tra i banchi di scuola si è stupito, quindici anni dopo, di ritrovarla in parlamento e poi, nel 2008, addirittura ministra. La politica, infatti, non ha fatto parte della sua adolescenza: all’epoca il suo sogno era fare la modella. Nel 1997 partecipa a Miss Italia e qualche anno dopo il primo lavoro è stato la televisione - appena ventenne e studentessa di giurisprudenza a Salerno – prima in Rai e poi sulle reti Mediaset. «Non è mai stata la più brava della classe, ma la più ambiziosa sì. Una che si prefiggeva un obiettivo e lo raggiungeva», racconta una ex compagna di scuola.

Nel 2002 arriva la folgorazione politica: Mara accompagna il padre, militante campano di Forza Italia, a incontrare Berlusconi a palazzo Grazioli. Il tema dell’incontro riguardava una questione scolastica, divenne l’avvio della sua fulminante carriera politica tra le file azzurre: coordinatrice del movimento femminile in Campania nel 2004, deputata nel 2006, ministra nel 2008 e oggi - al suo quarto mandato parlamentare sempre da eletta in Campania- vicepresidente della Camera. Nell’ultimo anno, proprio da Montecitorio Carfagna si è ritagliata un profilo sempre più autonomo rispetto alle gerarchie di partito e anzi è andata con loro pesantemente in rotta sul punto più dolente della parabola di Forza Italia: la scelta del successore di Berlusconi.

Chi non la ama la considera una che ha tradito il partito che l’ha paracadutata in parlamento e che oggi «si lancia in dichiarazioni da capo politico» senza alcuna legittimazione. Proprio questa, infatti, è l’accusa che tutti le rivolgono: una carriera politica giustificata solamente dalla simpatia del “capo”, calata dall’alto nel suo collegio elettorale su cui non esercita alcun controllo, dove non può contare nel sostegno dei sindaci né su voti propri. Anzi, a Salerno e in Campania la si vedrebbe poco se non quando ritorna a trovare la famiglia: i più benevoli la descrivono come una che «ha fatto il suo percorso nella segreteria nazionale», i maligni invece l’hanno sempre considerata una «emanazione del Cavaliere sul territorio».

Lei, invece, che sa di essere poco amata dalle gerarchie che oggi guidano il partito, ha sempre descritto ogni suo sforzo dentro Forza Italia come un tentativo di «rifondare il centrodestra su base moderata e liberale», contro i freni interni di chi non vuole rendere contendibili le cariche di vertice per «difendere lo status quo». Proprio questa sarebbe stata anche la ragione del suo gran rifiuto proprio al Cavaliere a far parte del nuovo coordinamento a 5 del partito, dopo che Berlusconi la aveva nominata insieme a Toti per riorganizzare Fi e l’incarico era durato solo qualche mese a causa di questioni interne.

Nei fatti, per ora è l’unica degli ex “delfini” del Cavaliere – da Angelino Alfano a Raffaele Fitto – ad avere ancora un ruolo negli equilibri politici. Tanto che, con gran fastidio dei suoi oppositori, la prima intervista di endorsement a Maria Draghi è stata la sua: datata addirittura 31 gennaio, prima ancora che il nome venisse pronunciato ufficialmente da Sergio Mattarella, si chiedeva «chi meglio di Mario Draghi potrebbe dar vita a un governo di salvezza nazionale?». Non a caso, quando Fi ancora tentennava per il sì al governo del presidente in attesa di valutare anche in base alle scelte della Lega, proprio intorno a lei si sarebbero radunati una trentina di deputati e una ventina di senatori. Tutti preoccupati da un no incomprensibile a Draghi e tentati dal seguire Carfagna nel sostegno al “governo dei migliori”. Oggi, a crisi rientrata, il suo nome rimane nel complicato rebus dei ministri.

L’avvertimento di Cossiga

Eppure, proprio la passata esperienza da ministra è stata la fase più dura della sua carriera. Certamente quella più densa di polemiche: sotto esame finirono il capitolo televisivo del suo curriculum, le foto del 2001 sulla copertina di Maxim e anche le sue relazioni sentimentali, vere o presunte. Berlusconi provò a difenderla a modo suo e forse ingigantendo il danno, definendola una «Maria Goretti». Erano gli anni delle manifestazioni “No Cav” e Carfagna venne attaccata soprattutto dalla sinistra: la comica Sabina Guzzanti la paragonò a Monica Lewinsky. Seguirono querela e risarcimento danni. A prepararla agli attacchi, però, ci aveva pensato l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che durante un incontro la avvertì: «Ricordati che in politica si perdona tutto, tranne che la bellezza».

Eppure, i temi di cui si è occupata nei tre anni da ministra le hanno dato fama, tra gli avversari politici, di persona disposta a mettere in discussione le proprie idee. Il suo percorso era iniziato in salita: nel 2008 toglie il patrocinio ministeriale al gay pride e definisce le coppie omosessuali «costituzionalmente sterili», ma l’anno successivo realizza la prima campagna contro l'omofobia promossa dal governo e si scusa pubblicamente per le sue parole, ringraziando la deputata dem Anna Paola Concia per«avermi aiutata a sfondare il muro della diffidenza della quale penso di essere stata allo stesso tempo vittima e inconsapevole responsabile». Da promotrice della legge sullo stalking è intervenuta sul recente Codice Rosso e in materia di violenza sulle donne. Nel corso degli anni, si è spostata dall’ala più conservatrice del partito a posizioni più moderate: non a caso è tra le politiche più cercate per l’ormai quasi mitologica “ricostruzione al centro”. Da Renzi a Carlo Calenda nell’area di centro che guarda a sinistra; da Toti a all’Udc in quella che guarda a destra. Lei, intanto, non ha fretta e, da sempre refrattaria a partecipare ai talk show, si limita a poche soppesate interviste. Negli scorsi mesi ha avuto una bambina dal compagno avvocato ed ex deputato Alessandro Ruben, già componente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e uomo di fiducia di Gianfranco Fini, che lo considerava il suo ministro degli Esteri ombra, e candidato e non eletto nelle liste di Mario Monti. Poi ha dovuto superare un brutto ricovero per una polmonite.

Carfagna però sarebbe stata serena anche senza la prospettiva di un dicastero e non ha alcuna intenzione di lasciare Forza Italia. Anzi, si gode quella che considera una sua vittoria: aver dirottato il partito nell’orbita di Draghi, senza rimanere subalterno alla Lega. Per tutto il resto, leadership compresa, ci sarà tempo.

 

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