I migranti vanno rinchiusi in non luoghi, lontani dagli sguardi dei benpensanti moderati, in una sorta di carcerazione preventiva in attesa di espulsione. Ma mostrarsi tutori dell’ordine e degli interessi nazionali senza riuscire a controllare i flussi migratori con politiche serie rischia di non funzionare più
«Non credo sia competenza della magistratura definire quali sono i paesi sicuri e quali no». L’operazione Albania naufraga così. Sotto i colpi della magistratura italiana che nel rispetto delle leggi internazionali impone il rimpatrio a 12 migranti appena deportati nei centri di accoglienza e restituisce loro il diritto d’asilo nel nostro paese. Il governo grida al complotto ma si tratta solo di un clamoroso fallimento.
Perché il “modello Italia” sui flussi sarà pure visto con favore da alcuni paesi europei (in primis il blocco dell’est) ma non regge di fronte alle decisioni (vincolanti) della Corte di giustizia che ha applicato i principi stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: chi cerca rifugio da persecuzioni, discriminazioni e torture non può essere rimpatriato in un paese dove si violano i diritti umani.
I magistrati non sono dunque i nuovi nemici della patria. E insinuare l’esistenza di un complotto o di una cospirazione per boicottare le politiche migratorie del governo, non è solo rischioso per la tenuta dello stato di diritto (che fino a prova contraria nelle democrazie liberali si regge sulla separazione e l’equilibrio dei poteri) ma può sovvertire definitivamente quel rapporto di fiducia che deve esistere fra cittadini e giustizia. Senza contare che i principi di libertà stabiliti peraltro dalla nostra Costituzione, valgono molto di più del consenso elettorale chiamato a sostenere un governo in carica.
Fermi alla Bossi-Fini
Per la destra però sembra che il tempo si sia fermato alla Bossi-Fini: l’ingresso di migranti nel nostro paese è relegato a repressione della criminalità da decretare come emergenza (proprio come un tempo si faceva con la povertà o l’alcolismo); i migranti, vanno rinchiusi in non luoghi, lontani dagli sguardi dei benpensanti moderati, in una sorta di carcerazione preventiva in attesa di espulsione o di allontanamento coatto alla frontiera, anche se non hanno commesso reati.
Certo il conflitto sociale è ormai lontano. Perlomeno da quel 14 agosto 1991 quando una marea umana di oltre 15mila profughi albanesi si riversò nel porto di Bari, accolta da idranti e cariche della polizia. E forse qualcuno ricorderà la poca pietà mostrata verso i bambini coperti di stracci, sporchi e affamati, svenuti per la sete patita in mare. Qualcuno ancora grida all’emergenza e se incorre nelle inchieste della magistratura parla addirittura di processo politico (nemmeno si trattasse di Aldo Moro nelle mani delle Br).
Ma al di là della manipolazione continua sui dati dell’immigrazione (non siamo invasi dall’Islam se su cinque milioni e 308 mila arrivi, la percentuale di cristiani sfiora il 53 per cento) mostrarsi tutori dell’ordine e degli interessi nazionali, senza riuscire a controllare i flussi migratori con politiche serie, rischia di non funzionare più.
Sarebbe anche necessario parlare di un nuovo ordine mondiale non più basato sulle gerarchie fra i popoli e di una «strategia complessiva d’integrazione nello sviluppo mondiale, che non si ispiri alla criminalizzazione e all’uso della forza».
Ma servirebbe un personaggio della caratura di Ciampi per poterlo fare. Una politica seria dovrebbe quantomeno interessarsi del tema dei ricongiungimenti famigliari e dell’assistenza ai minori stranieri (arrivati molto spesso da soli nel nostro paese), visto che le carceri esplodono di adolescenti messi ai margini da una società che li invita a delinquere perché li condanna alla povertà, con una buona dose di odio e pregiudizio.
L’integrazione vera
Bisognerebbe poi avere il coraggio di lavorare davvero per l’integrazione, come fanno tante associazioni legate alla chiesa cattolica, che non procedono a colpi di leggi eccezionali, apparati repressivi e istituti detentivi, ma si prendono cura di tante donne, vittime di guerra, di tratta o di sfruttamento sessuale, che arrivano in Italia per lavorare come colf, come badanti per malati o disabili, come assistenti nei centri anziani o oppure schiave della manodopera agricola.
E al di là della retorica sul materno, sono proprio loro a innalzare il tasso demografico in un paese che non fa più figli. E sono sempre loro (in attesa di permesso di soggiorno) a non poter iscrivere i figli al nido comunale, a non poter usufruire dei consultori dove effettuare visite mediche, vaccinare i piccoli o ricevere tutela per gravidanza e maternità. Per fortuna, però, gli italiani sono meglio di quanto la narrazione della politica racconti.
Come mostra la storia di Carla, che mi è capitato di intervistare per un documentario Rai. Già madre di quattro figli, il parroco della sua città le chiede di entrare nel gruppo di “famiglie accoglienti” e lei accetta: apre le porte di casa sua a bambini stranieri (con la mamma in ospedale) o ragazze finite sulla strada, costrette alla prostituzione.
Una di queste è Miranda, una giovane mamma albanese con due bambini e un marito clandestino, senza permesso di soggiorno, che in Albania fa il poliziotto e che in Italia trova un posto come operaio edile, ma viene rispedito al suo paese per un documento scaduto.
Carla assume Miranda come colf, la mette in regola con un contratto affinché possa chiedere un ricongiungimento famigliare e far tornare il padre dei suoi figli. E poi si presenta in questura, scrive ai giornali e persino al presidente della Repubblica. E alla fine riesce a riunirla quella famiglia divisa, in nome del diritto umano delle genti. Così il marito di Miranda torna e riabbraccia il suo bambino più piccolo, Elvin, arrivato a Bari con lui, camminando nell’acqua, in un sacco di plastica dell’immondizia.
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