- Amleta ha aiutato le lavoratrici dello spettacolo a segnalare molestie e violenze sessuali. Finora ne ha raccolte 223 e nel 93 per cento dei casi la vittima è una donna. Gli autori sono per oltre il 41 per cento registi.
- La particolarità dei casi sta anche nel rapporto di lavoro: lavori intermittenti, in cui le attrici sono messe alla prova volta per volta, sottoposte a continui provini con datori di lavoro diversi.
- Dopo l’ondata del MeToo i teatri si sono dotati di protocolli antiviolenza. Ma la maggior parte, dopo aver firmato il protocollo, non ha introdotto strumenti per renderlo concreto. Con l’eccezione dell’Elfo Puccini di Milano e del teatro di Ferrara.
«Nei casi che stiamo trattando tutti i datori di lavoro conoscevano da tempo la situazione e, in alcuni teatri, i molestatori agiscono da trent’anni indisturbati». Chiara Colasurdo è avvocata di Differenza Donna esperta di diritto del lavoro e, in una stretta collaborazione tra le due associazioni, si sta occupando dei casi di molestie e di violenze sessuali denunciate da Amleta, un collettivo fondato da 28 attrici.
Vittime e molestatori
Amleta ha aiutato le lavoratrici dello spettacolo a segnalare molestie e violenze sessuali. Finora ne ha raccolte 223 e nel 93 per cento dei casi è una donna ad aver subito queste condotte. Gli autori sono per oltre il 41 per cento registi, attori per il 15,7 per cento e per il 5,38 per cento insegnanti. In due casi segnalati all’associazione le molestie sono addirittura state agite da spettatori: mentre le attrici sono scese in platea durante lo spettacolo sono state palpate dagli spettatori. «Ecco, quella palpata non è goliardia è violenza sessuale», sottolinea Cinzia Spanò, presidente di Amleta.
Le attrici lavorano con il corpo e in condizioni psicologiche particolari, «perché ci affidiamo alle persone che ci guidano», spiega Spanò, «e questo rapporto di fiducia è essenziale per la buona riuscita degli spettacoli». A ciò si aggiunge il pregiudizio culturale, dice l’avvocata Colasurdo, secondo cui «il corpo di chi lavora nel mondo dell’arte è un corpo disponibile». Ciò emerge dal rapporto di Amleta, che raccoglie alcune delle frasi rivolte alle donne: «Un’attrice deve essere perversa, non deve avere blocchi o inibizioni; deve sedurre, eccitare il pubblico», «Vuoi fare l’attrice? E allora non sei tu a decidere cosa mostrare di te».
La particolarità di questi casi sta anche nel rapporto di lavoro: lavori intermittenti, in cui le attrici sono messe alla prova volta per volta, sottoposte a continui provini con datori di lavoro diversi. Una precarietà strutturale che per Colasurdo le espone maggiormente a queste condotte. Denunciare è difficile perché si rischia di non lavorare più.
Questione di sicurezza
In Italia è il Codice delle pari opportunità a disciplinare questi casi. Per l’avvocata di Differenza Donna è indispensabile collocare queste condotte nell’ambito del rapporto di lavoro, perché generano un trauma e il datore di lavoro è responsabile della salute, della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, e dei rischi sui luoghi di lavoro. Quello della tutela civilistica è un binario parallelo alla tutela penale: da un lato si può denunciare l’autore delle molestie, dall’altro si può agire contro il datore di lavoro per un risarcimento dei danni se, a conoscenza di queste condotte, si è reso inadempiente non avviando un procedimento disciplinare.
In alcuni casi, racconta Colasurdo, il responsabile della sicurezza del teatro andava via prima, faceva firmare le presenze prima del termine delle prove e, «conscio delle condotte, liberava lo spazio dalla presenza di supervisori per lasciar fare».
Un reato che non esiste
D’altra parte però nel nostro paese non esiste il reato di molestia sessuale – è stato presentato un disegno di legge in Senato – per cui o si applica il reato più grave di violenza sessuale o si derubrica a violenza privata, reato che si può integrare anche se si impedisce a una persona di entrare in casa propria mettendo un lucchetto al cancello.
Dopo l’ondata del MeToo negli Stati Uniti i teatri si sono dotati di protocolli antiviolenza. In Italia è stato firmato, tra i sindacati di base e Federvivo, nel 2019 un documento di tre pagine che dichiara tolleranza zero verso discriminazioni e molestie sui luoghi di lavoro. «Ma di fatto questo protocollo non lo vediamo mai nei nostri contratti, né nelle nostre bacheche di teatro. Non viene mai consegnato ad attori o attrici», spiega Spanò, sottolineando che in questo modo non viene agevolata l’emersione di abusi e violenze. «Per noi è rimasto lettera morta», dice.
Non solo non si informano i lavoratori e le lavoratrici che esistono strumenti di contrasto, ma non si crea nemmeno un clima di consapevolezza sul carattere sistemico della molestia, giustificata come goliardia.
Il ruolo dei teatri
La maggior parte dei teatri, dopo aver firmato il protocollo, non ha introdotto strumenti per renderlo concreto. Nel rapporto dell’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura si legge che soltanto un grande teatro di Milano ha istituito una figura a cui rivolgersi in caso abusi e violenze. «In una prima ricerca fatta un anno e mezzo fa», spiega la presidente di Amleta, «ci siamo accorte che nessuno dei teatri controllati – tranne due o tre – si era poi adeguato a creare le condizioni per arginare la problematica».
Le eccezioni
Così il Teatro di Ferrara e l’Elfo Puccini di Milano sono tra i pochissimi ad aver concretamente dato seguito ai protocolli. Dopo la firma, «noi abbiamo immediatamente recepito il protocollo», spiega Cesin Crippa, direttrice di produzione dell’Elfo Puccini, «e all’interno del cda ci siamo posti l’obiettivo di applicarlo, perché un conto è il protocollo, un altro è andare a tradurlo nella propria realtà».
Quella dell’Elfo Puccini è una realtà particolare: un gruppo coeso di artisti, che lavora insieme da molti anni. Non capita mai che registi esterni sconosciuti facciano provini alle loro compagnie.
Anche per la natura degli spettacoli che porta in scena, spiega Crippa, il teatro è attento a questi temi e, quando sono state recepite le direttive europee per cui le molestie e le violenze sono state inserite nella sicurezza aziendale, «per noi è diventato ovvio che anche queste tematiche dovessero rientrare nei nostri protocolli».
L’Elfo Puccini sottopone quindi ai lavoratori un questionario anonimo sulla valutazione dello stress lavoro-correlato ogni due anni e assicura corsi di formazione sulla sicurezza sul lavoro. Esiste poi un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza – uno dei dipendenti della struttura – che è a disposizione per qualsiasi tipo di segnalazione. «In tempi recenti non è capitata alcuna segnalazione», spiega la direttrice di produzione, «ma qualche anno fa all’interno di uno dei questionari anonimi una persona aveva riferito di aver subito alcune molestie verbali».
È stato poi comunicato che chiunque avesse volesse segnalare lo poteva fare ma non è mai capitato. «Secondo me non possiamo dire di esserci dotati di chissà quali strumenti», dice, evidenziando che le tutele messe in campo sono previste dalla legge. Ma questo non accade nelle altre strutture dove il protocollo è rimasto solo sulla carta. E conclude: «Semplicemente cerchiamo di far capire al gruppo che il benessere dei lavoratori è seguito con attenzione».
Prendere posizione
Molto spesso le donne non denunciano perché vengono lasciate sole. I datori di lavoro non prendono posizione creando così un clima di rifiuto e di colpevolizzazione di chi denuncia. «Chiedo alle direttrici e ai direttori dei teatri di condannare pubblicamente la violenza, di stare dalla parte delle donne che denunciano e di accogliere le voci delle vittime», dice Cinzia Spanò.
I direttori dei teatri, contro cui Differenza Donna e Amleta stanno agendo in giudizio, sono «responsabili tanto quanto gli autori delle molestie, se non conniventi», sottolinea Colasurdo, secondo cui le norme esistono ma manca una concreta applicazione.
La Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 2019 fa un lavoro importante sulle definizioni intendendo per lavoratore anche le persone in stage, apprendisti, lavoratori in formazione, autonomi, chi lavora in nero. E ciò è rilevante nel mondo dello spettacolo dove i contratti di lavoro sono spesso atipici, lavoro autonomo o in nero, o ancora rapporti di lavoro mascherati da rapporti di formazione.
Che fare
Per applicare concretamente le leggi, dice l’avvocata, bisogna informare lavoratrici e lavoratori, che se subiscono queste condotte esistono degli strumenti, attivare una figura preposta alla sicurezza, sportelli interni ed esterni ai luoghi di lavoro. Ciascun teatro potrebbe stringere accordi con un centro antiviolenza. Gli ispettorati del lavoro dovrebbero poi formare ispettrici e ispettori sui temi della violenza di genere. E ancora, bisogna intervenire sui corsi di formazione professionalizzante, vie di accesso al mondo del lavoro, perché la violenza e le molestie perpetrate in questi luoghi portano a naturalizzare gli abusi.
Sarebbe infine necessario introdurre, secondo Colasurdo, un reddito di intermittenza che, per lavori discontinui come quelli nel mondo dello spettacolo, offre «la garanzia di un reddito minimo che può dare la libertà di dire no».
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