- A Montecitorio sono stati registrati circa 150 incontri in tre anni. La riforma al regolamento non garantisce una mappatura dei contatti e mancano gli ultimi dati aggiornati.
- Molte società di lobbying riferiscono di non aver mai incontrato i deputati all’interno del palazzo. È come se non avessero svolto il proprio lavoro. E non basta la scusa della chiusura per pandemia.
- Al Senato non c’è mai stata alcuna regolamentazione interna: il pass per accedere agli uffici viene assegnato su base sostanzialmente arbitraria.
Nessun freno ai lobbisti, che continuano a muoversi a loro piacimento e a fare il proprio lavoro lontano dai riflettori dei palazzi istituzionali. Al di là dei tentativi di regolamentazione. Nell’attesa che venga approvata la nuova legge sulla lobby, arrivata al Senato dopo il via libera della Camera e comunque tutt’altro che risolutiva, resta in vigore la normativa attuale che consente di muoversi nell’ombra. A Montecitorio esiste un registro delle lobby per documentare gli incontri tra deputati e i cosiddetti rappresentanti di interesse e tentare di contrastare l’antica prassi in cui ci si incontra faccia a faccia di fronte alle commissioni o nei corridoi del palazzo della Camera ma senza che nessuno lo sappia.
Numeri fuori dalla realtà
Sono molte le società di lobby italiane che offrono consulenze alle aziende per rappresentare i loro interessi nei palazzi istituzionali. Ognuna di queste invia i proprio lobbisti alla Camera e Senato per incontrare periodicamente i cosiddetti “decisori pubblici”, parlamentari, sottosegretari e ministri, e spiegare le ragioni dei loro clienti, illustrando richieste specifiche, emendamenti o addirittura proposte di legge.
Dalle relazioni ufficiali, stilate da queste società nel registro di cui abbiamo parlato, emerge che i contatti registrati con i deputati sono stati pochi, circa 150 dal 2018 al 2020. In tre anni, con l’esclusione delle grandi aziende (come ad esempio Leonardo o Enel) e delle associazioni e confederazioni (come Confindustria) che hanno un proprio comparto di relazioni istituzionali, è come se non avessero fatto il proprio lavoro.
Insomma molte società di lobby, secondo quanto rivelano loro stesse, non incontrano quasi mai i deputati all’interno della Camera. E a poco vale il discorso sulla chiusura per pandemia. Il parlamento, nei fatti, è rimasto inaccessibile solo per pochi mesi, all’inizio dell’emergenza da marzo a maggio del 2020. Le difficoltà logistiche ci sono state, certo, ma è difficile immaginare che i lobbisti abbiano rinunciato del tutto alla loro attività.
Al Senato va molto peggio
E dire che al Senato va addirittura peggio: non esiste alcuna parvenza di regolamentazione. Il pass per l’accesso all’interno della struttura viene concesso in maniera pressoché arbitraria, in un sistema privo di controlli. In questo caso non c’è nemmeno la possibilità di fornire una panoramica della situazione, anche solo parziale.
Il registro della Camera era un punto di partenza, un tentativo di tracciare una strada anche dietro la spinta del Movimento 5 stelle. Sulla limitazione alle lobby si sono sempre battuti, talvolta demonizzando la categoria. Il regolamento di Montecitorio individua varie categorie tra le persone giuridiche, dai gruppi di impresa alle associazioni professionali, dalle organizzazioni non governative a quelle sindacali.
L’interesse principale è tuttavia attirato dai «soggetti specializzati nella rappresentanza di interessi terzi». Le società di lobbying, appunto. L’iter per approdare alla riforma è stato faticoso. Nel 2017, l’allora presidente della Camera, Laura Boldrini, aveva introdotto la novità dopo una votazione della giunta per il regolamento. Un cambiamento significativo che aveva superato varie resistenze.
L’iniziativa fu accolta tiepidamente dal M5s. «Si tratta solo di un registro degli ingressi che non riteniamo assolutamente sufficiente, serve una legge sulle lobby», disse Danilo Toninelli. Il registro ha imposto una serie di procedure, come il rilascio di un apposito tesserino da lobbista, con «la descrizione dell’attività di rappresentanza di interessi che il richiedente intende svolgere e l’indicazione, anche sintetica, dei deputati che intende contattare».
Inoltre, è stato stabilito che, a differenza di quanto accadeva in passato, gli incontri non possono svolgersi in qualsiasi luogo della Camera, ma in locali appositamente individuati dall’ufficio di presidenza di Montecitorio. Tra i requisiti per ottenere il pass da lobbista c’è quello di non aver subito negli ultimi dieci anni «condanne definitive per reati contro il patrimonio o la pubblica amministrazione» e aver cessato il mandato parlamentare da oltre un anno.
Un tentativo di aggirare le porte girevoli tra lobbismo e politica, che però è vano: gli ex parlamentari hanno libero accesso ai palazzi. E, tra le prescrizioni, c’è quella di preparare una «relazione sull’attività svolta, che dia conto dei contatti effettivamente posti in essere, degli obiettivi conseguiti, dei mezzi impiegati». In caso di mancato rispetto delle osservanze, scatterebbero le sanzioni.
I ritardi della trasparenza
A un primo consuntivo, però, il registro non risulta un monumento all’efficienza. Proprio le relazioni riferiscono di contatti scarni. E c’è anche un ulteriore problema. Il dato andrebbe aggiornato con le informazioni relative allo scorso anno, quando il parlamento ha gradualmente riaperto, salvo rare eccezioni come la chiusura del Transatlantico.
Qui si pone anche un problema di ritardi, che incide sul principio di trasparenza. Sul sito della Camera, mancano le pubblicazioni dei documenti relativi al 2021, come prescritto. Negli scorsi anni, almeno, questo avveniva entro la fine di gennaio, al massimo inizio febbraio con la rendicontazione degli incontri.
Poco male, comunque. Perché, come emerso, le relazioni non appaiono sempre esaustive. Scorrendo i documenti si scopre che tante società di lobbying non hanno mai avuto contatti con i parlamentari. In alcuni casi, invece, c’è chi fornisce una rendicontazione dettagliata con una girandola di incontri. Uno sbilanciamento che favorisce la tesi su come gli incontri non avvengano a Montecitorio, ma altrove. O comunque fuori dai radar dei regolamenti.
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